Lo yoga, la Russia e la prova dell’ “orso” secondo Carrère

Racconto le mie miserie per capire qualcosa di più dell’esistenza“.
Emmanuel Carrère sonda le sue esperienze più intime e le vite degli altri nel punto in cui si incrociano, e la ricerca di un filo rosso tra le due è diventata la sua cifra. Nei romanzi, nei reportage giornalistici e nei film.

Nel suo ultimo libro, Yoga (ed. Adelphi), il 64enne autore francese, considerato tra i più grandi scrittori contemporanei, mette a nudo la sua fragilità psichica – e gli anni di meditazione per tenerla a bada – accanto a eventi che hanno toccato profondamente lui e tutti noi (l’attentato a Charlie Hebdo, gli sbarchi dei migranti in Grecia).

In un recentissimo reportage descrive i giorni trascorsi in Russia, dove la famiglia materna ha origine (Sua madre, Hélène Carrère d’Encausse, è figlia di un georgiano e una russa, oltre che studiosa della cultura del Paese), proprio mentre iniziava l’invasione in Ucraina e, per puro caso, è stato testimone della cortina mediatica calata dalla dittatura e della repressione di chi protestava.

Nei cinema, invece, è uscito da poco il suo terzo film da regista: Tra due mondi, con Juliette Binoche e un gruppo di attrici non professioniste, ci porta tra le lavoratrici precarie che fanno le pulizie sui traghetti francesi.

Un’immagine del film “Tra due mondi” –
© Christine Tamalet

La storia è ispirata al libro-inchiesta di Florence Aubenas che, per denunciare le condizioni di lavoro, si era finta disoccupata e aveva pulito cabine e toilette dei ferry-boat diretti in Gran Bretagna (La scatola rossa, ed. Piemme, 2011).

Nella sua sceneggiatura, l’autore de L’avversario (ed. Adelphi) e Vite che non sono la mia (ed. Einaudi) ha, però, creato un personaggio femminile che gli somiglia: Marianne (Binoche appunto) non mantiene il distacco giornalistico, ma diventa amica di quelle donne che nessuno vede (“Anche se nessuno vi nota, dovrete salutare e sorridere” le istruisce un formatore), prova empatia per chi vive in condizioni più disagiate rispetto alla sua, e soffre per aver nascosto la sua identità in nome di un’inchiesta da svolgere rigorosamente in incognito.

Emmanuel Carrère e Juliette Binoche sul set di “Tra due mondi”

Com’è iniziata quest’avventura da regista?
Sono state Florence Aubenas e Juliette Binoche a coinvolgermi, e non so perché abbiano voluto proprio me visto che c’erano altri candidati alla regia. In realtà, Florence non voleva neppure che il suo libro diventasse un film, ma Juliette ha insistito per anni e quando si mette in testa qualcosa di solito la ottiene… così Florence ha accettato ponendo la mia regia come condizione. Forse perché il mio modo di raccontare si avvicina al documentario e perché, anche per me, la scrittura nasce dall’esperienza diretta, dall’incontro con l’altro raccontato in prima persona.

È stato attratto anche dalla denuncia sociale?
Direi di sì. Florence Aubenas è una grande giornalista e, dopo la crisi del 2008, ha voluto fare luce su una realtà che oltretutto è peggiorata negli ultimi anni. Non so se avrei trovato un tema che mi premeva altrettanto, se fossi partito da un’idea mia. Non giravo film dal 2005: L’amore sospetto era tratto dal mio romanzo I baffi, ma non era stata una buona idea, il risultato è rimasto un po’ astratto mentre Tra due mondi è molto più vivo e umano. (Nel 2003 aveva debuttato con il documentario Ritorno a Kotelnich, tratto da un altro suo romanzo, La vita come un romanzo russo, ed. Einaudi, ndr).

Che cosa le dà piacere nel girare un film, rispetto a scrivere?
La scrittura è un’attività solitaria mentre il cinema è lavoro di squadra, quindi è molto diverso. Ma c’è un punto in comune, il montaggio. Il lavoro di cucitura che si affronta quando si monta un film mi ha insegnato qualcosa anche nella scrittura, cosa che non è capitata all’inverso. Nel gergo francese lo chiamano “orso”: nessuno, trovandocisi di fronte una gran mass di materiale, crederebbe di poter tirar fuori qualcosa di guardabile – o di leggibile se si tratta di un libro – finché ci si mette all’opera, si assembla, si taglia, si sposta…. E a poco a poco quella specie di magma comincia a prendere forma, e spesso ha una forma inaspettata. Ad alcuni artisti non piace che il risultato sia diverso da come lo immaginavano. Per altri, e io sono tra questi, è il contrario: meno il film o il libro somigliano all’idea iniziale, più il risultato li sorprende, e più siamo contenti.

Tra due mondi è interpretato da molte attrici non professioniste, alcune fanno proprio il lavoro che è al centro dell’inchiesta. Anche questa è una scelta che ha portato sorprese?
Per me è il vero nodo del film, e ho voluto creare questo tipo di situazione pur temendo le reazioni di queste lavoratrici davanti a una star come la Binoche. Quando è arrivata sul set erano intimidite, ma in poche ore le ha conquistate e poi l’hanno adorata. Juliette è un’attrice straordinaria, ma io stesso non conoscevo la sua grande umanità: è umile, generosa, capace di valorizzare gli altri. La sua semplicità ha reso l’atmosfera gioiosa ed è stata la cifra del film. E io non ho dovuto fare sforzi per dirigere un cast fatto principalmente da non professionisti.

Come succede in Vite che non sono la mia e in altri suoi libri, nel film si percepisce il senso di colpa della scrittrice per le persone che incontra. È il suo apporto personale?
È quello che si prova quando ci si avvicina a chi vive in condizioni molto più difficili delle nostre, e io sentivo di poterlo raccontare. Fra l’altro l’amicizia nata fra la scrittrice e una delle lavoratrici non esiste nel libro.

Quindi lei l’ha un po’ tradito…
Sì, ma sono assolutamente a favore del tradimento. Non mi disturba neanche quando lo fanno i registi che portano i miei, di libri, sul grande schermo. (Nel 2002 è uscito L’avversario di Nicole Garcia, tratto dall’omonimo titolo di Carrère; nel 2011 Tutti i nostri desideri di Philippe Lioret, ispirato a Vite che non sono la mia, ndr).

Lei scrive spesso reportage, l’ultimo dalla Russia nei primi giorni della guerra. Qual è il suo rapporto emotivo con questo Paese, che appartiene alla storia della sua famiglia? 
Ho una relazione molto forte, anche e proprio per le origini della mia famiglia materna. Parlo un po’ la lingua, purtroppo non benissimo. Ho scritto libri ambientati lì come Limonov. Pur senza esserne un vero conoscitore, sono innamorato della loro cultura. Per questo sono costernato da quanto sta accadendo. Anche se preferisco pensare che sia Putin, e non la Russia, il vero e unico artefice di questo disastro.