Vent’anni dalla parte del torto o quarant’anni dalla parte della ragione?
Erano gli anni Settanta e Ottanta, e a fare pubblicità erano – con una definizione che per un periodo poi ne fece delle star – i “creativi”. I layout delle loro campagne potevano essere cestinati perché “troppo”, e una mostra a Milano ne ha mostrato esempi meravigliosi.
Tante volte invece gli annunci, le affissioni, anche quelli che non erano più caroselli ma spot riuscivano a vedere la luce. Merito dell’entusiasmo dei direttori creativi, ma anche della forza compatta delle agenzie e – perché no? – della lungimiranza di alcuni clienti.
Piccolo riassunto di bocciati e promossi, su una infinità di suggestioni raccolte nel libro Estinti saluti, uscito lo scorso anno.
Bocciato: “You can even put Jesus Christ in touch with Mohammed”. Cliente la Olivetti dell’ingegner De Benedetti intenzionato a promuovere un computer degli albori, quando ancora la rete era quella dei pescatori e non del web. Reazione: “Cos’è questa, una presa in giro?”. Risultato: litigatona, via i layout e addio. (Sandro Baldoni).
Approvato: “Forza Italia”. No, non il partito di Berlusconi. La storia – racconta Cesare Casiraghi – andò così: la Democrazia Cristiana contatta l’agenzia Rscg (quella di Marco Mignani, inventore della famigerata “Milano da bere”), perché sa che fra 40 giorni cadrà il governo a ha bisogno di aver pronta una campagna.
La casa madre francese con il super creativo Jacques Séguéla aveva lanciato la fortunatissima formula “La force tranquille” per le elezioni di Mitterand. Mignani suggerisce alla D.C. lo slogan “Forza Italia”. È il 1987, nel gruppo democristiano c’è anche Gianni Letta e a distanza di qualche anno… Non solo il cavaliere recuperò il nome ma riciclò anche lo spot. Unica variante: non c’era più la musica di Ennio Morricone.
Passato, dal patròn. Una compagnia di assicurazioni come si pubblicizza? Attraverso il “negative approach”, ricorda Ambrogio Borsani. Headline (altrimenti detto slogan): “Cerchiamo guai”. La quarantenne doberman veronese si inviperisce, parla di provocazione inutile e controproducente. Ma chi comanda è l’anziano proprietario. Promosso: è un linguaggio fresco ed è giusto, perché i clienti amano “riconoscersi in un pubblico più giovane”.
Passato, nonostante il patròn. E nonostante una presentazione finimondo in cui il layout fu tirato in testa a Marco Ferri e Roberto Conti. Titolo: “Viva la fica”. “Ma cosa dice mia mamma se lo legge?” (Emma Bonino, infuriata).
Nell’annuncio, però, si spiega la ragione del titolo: “La volgarità è tipica dei maschi”, ma da quando le donne possono assumere anticoncezionali, divorziare e abortire “sono meno soggette all’arroganza del patriarcato”. Mica facile decidere, se sei i Radicali, il partito della libertà. Così, si fa un referendum interno. Marco Pannella boccia l’annuncio, le donne lo promuovono (accusando il leader di essere vetero) e il tutto esce su Panorama.
Oggi bocciabile, ieri godibile. La testa calva di un nero fotografato da dietro, con sull’orecchio una matita che somiglia a una sigaretta. “Omo biango fuma bene”, Lele Panzeri art e Sandro Baldoni copy di uno dei diversi soggetti proposti per pubblicizzare (senza metterne il nome: già allora era vietato) le Camel. Con grande gioia del titolare Emanuele Pirella, che di tutta questa generazione (senza nulla togliere agli altri) era forse il più geniale
Promosso, oggi come ieri. Animal Amnesty chiede uno spot che parli anche ai cacciatori: fili d’erba, la preda non si vede, si sente solo un cuore che batte, sempre più piano. Il terrore dell’animale senza colpo (visivo) ferire e con molti premi a seguire (Franco Bellino).
Sono 450 pagine. Sono le storie che Lele Panzeri e Marco Ferri hanno raccolto rivolgendosi ai loro compagni di allora, con cui hanno diviso layout, riunioni.
Anche nottate sotto la scrivania, perché – ricorda Lele – quando la “giornata” di lavoro si concludeva alle tre di notte e non avevi un mezzo per raggiungere casa, ti conveniva sdraiarti sulla moquette e, per evitare il neon, nasconderti sotto il tavolo.
Tutto con i tempi del passato, adesso la pubblicità è altra cosa, basta accendere la tv o fare un giretto su Internet. È altra cosa nei linguaggi, frutto di clienti sempre più rigidi, e meno dotati di sense of humour. E lo è nella gestione della “fu” creatività.
Come già intuiva Gerardo Pavone, direttore creativo in trasferta americana, stupefatto da ritmi in cui “tutti vengono al lavoro alle 8 e alle 5 vanno via puntuali come un orologio”. Dopo aver fatto – “tutti” – la pausa pranzo alle 11.30. Ognuno, ogni singolo copywriter e art director, dotato di una propria stanza: zero comunicazione, zero creatività.
Tornando a oggi, il brief affidato ai pubblicitari era: parla di “ieri”. Evitando preferibilmente i toni nostalgici del bel tempo che fu. D’altra parte, se dal festival internazionale di Cannes (quello “sfigato”, che si svolge un mese dopo l’appuntamento cinematografico, senza red carpet ma con abbondanti red cocktails) volevi portare a casa un Leone, dovevi essere incisivo per l’azienda e al tempo stesso leggero, divertente. Come oggi i pubblicitari, non più creativi, rarissimamente riescono a essere.
Estinti saluti a tutti.