Sosteneva che la parola impossibile non appartenesse al vocabolario francese, come per escludere se stesso dal campo semantico del fallimento o dell’irrealizzabilità, ma è proprio analizzando la filmografia che lo vede protagonista, in più di un secolo di narrazione in pellicola e in tutte le produzioni di nazionalità differenti, che l’affermazione si rivela fallace, non all’altezza delle sue ambizioni e potenzialità. Il cinema con Napoleone Bonaparte è come se avesse puntualmente una lente da obiettivo danneggiata: il più delle volte non mette bene a fuoco la figura, frenata in trame da romanzo rosa con poca politica (Désirée di Henry Koster, 1954, uno dei pochi insuccessi di Marlon Brando), spesso è scheggiata e taglia fuori dall’immagine parte della storia che il flashback non riesce a restituire (N – Io e Napoleone di Paolo Virzì, 2006), oppure, si allarga troppo sul campo lungo dei combattimenti disperdendo il personaggio (Waterloo di Sergej Fëdorovič Bondarčuk, 1970, oppure La battaglia di Austerlitz di Abel Gance, 1960). Sono opere che pretendono l’attributo di «grandi» per essere definite, che partono con aspirazioni all’immortalità, con interpreti eccellenti (Waterloo aveva come tridente in attacco Orson Welles, Christopher Plummer e Rod Steiger) e spese di lavorazione esorbitanti, ma si ritrovano il più delle volte a contare i danni di una campagna di Russia, come toccò a Dino De Laurentiis per l’insuccesso commerciale di Waterloo.
E più la fotografia è curata al dettaglio, i costumi pregiati e il numero di comparse elevato, più il film si scontra con l’incontestabile sospiro dello scontento dell’«eppure»: qualcosa all’immagine sembra sempre sfuggire. E ciò che sfugge dallo schermo è proprio Napoleone. È come se messo da parte ogni tentativo di evasione da Sant’Elena, l’unica fuga realizzabile rimasta sia quella dalla macchina da presa. Se la storia dei manuali di scuola l’ha condannato alla sconfitta, l’arte figurativa ad un’eternità di brevi attimi, la musica di Beethoven non più a un’esistenza «eroica» ma deludente, allora meglio eludere la definizione del cinema, magari in technicolor. È proprio Paolo Virzì a intuirlo e sottolinearlo, rincorrendo Daniel Auteuil sull’isola d’Elba in N – Io e Napoleone: nella prima parte del film, il profilo dell’imperatore in esilio schiva lo sguardo e il giudizio del maestro Martino Papucci, interpretato da Elio Germano. Nel porto affollato si distingue a malapena il suo copricapo, il «Petit chapeau», e quasi a prendersi gioco della telecamera, Napoleone ama nascondersi dietro i passanti, aumentare l’andatura o cambiare senso di marcia all’improvviso, tutto per non essere messo a fuoco e condannato dalla storia. Un’attitudine all’evasione che più di cinema storico, si potrebbe pensare a un nuovo filone di cinema carcerario. Tanto è sconfortante l’incontro tra la pellicola e l’imperatore francese, da risultare più avvincenti e ben riusciti i film mai realizzati. Se il paradosso da Flaiano può apparire un’esagerazione, la sua veridicità si basa sui due esempi di progetti eccellenti mai conclusi: i Napoleone di Charlie Chaplin e Stanley Kubrick. Se neanche la grandezza di due maestri ha saputo conquistare l’imperatore e rinchiuderlo in un’inquadratura viene da domandarsi: è più forte la volontà di Napoleone a sfuggire al cinema o è il cinema che non riesce a contenere l’ambizione di Napoleone? È il desiderio postmortem di non essere giudicato ed equiparato a qualsiasi dittatore contemporaneo, leader politico accentratore oppure c’è l’impossibilità di poter convertire parole, sogni e magnificenza in pellicola?
È il 1936 quando Charlie Chaplin conclude la sceneggiatura – insieme all’ intellettuale inglese e simpatizzante del movimento comunista John Strachey – dal titolo Napoleon’s return from Saint Helena (Il ritorno di Napoleone da Sant’Elena). La stesura del progetto è ispirata a due libri: Memoriale di Las Cases e il romanzo di Pierre-Eugène Veber, con fantasiosa ricostruzione degli ultimi giorni dell’imperatore, La seconde vie de Napoléon Ier. Chaplin, seguendo le sue idee pacifiste, concentra l’attenzione sull’aspetto umano di Napoleone, tessendo il film sul tema dell’esilio; predilige una trama illusoria e lontana dalle fonti storiche che crea un finale alternativo, lontano dalla morte solitaria nell’isola di Sant’Elena, con una nuova visione eurocentrica, il rientro nel vecchio continente e l’ennesimo fallimento dei piani di conquista. Come Danny Boyle dona una seconda occasione a John Lennon in Yesterday (2019) – non più vittima dell’attentato a New York ma uomo felice ritirato a vita privata – anche Napoleone per i registi è una rockstar di cui si fa fatica ad accettarne una fine violenta o tragica. Sarà Alan Taylor, quasi settanta anni più tardi, a realizzare in parte il progetto di Chaplin con I vestiti nuovi dell’imperatore (2001): riuscendo a fuggire dall’esilio sull’isola nell’Atlantico e tornato a Parigi, Bonaparte cerca di convincere chiunque che egli sia il vero imperatore, ma nessuno è disposto a credergli. Non portando a termine il film Napoleon’s return from Saint Helena, Chaplin farà confluire il pacifismo e l’urgenza per la creazione di uno spazio politico europeo, in cui i popoli possano convivere di comune accordo, nella lavorazione di un’opera indimenticabile: Il grande dittatore (1940).
Un destino simile toccherà a Stanley Kubrick. Il suo Napoleon, nel caso fosse arrivato alle fine delle riprese, avrebbe dovuto essere «il miglior film mai fatto». È una vera fascinazione quella che Napoleone esercita sul regista americano, tanto che in un’intervista Kubrick dichiara: «La sua vita è stata descritta come un poema epico d’azione. La sua vita sessuale è degna di Arthur Schnitzler. Fu uno di quei rari uomini che muovono la Storia e foggiano il destino dei loro tempi e delle generazioni a venire – in senso stretto, il nostro mondo è il risultato dell’epica di Napoleone, così come la mappa politica e geografica dell’Europa postbellica è il risultato della Seconda Guerra Mondiale». Con la sceneggiatura conclusa nel 1969, l’incredibile macchina operativa del regista – per avere un’idea della maniacale ricerca del dettaglio e del rigore, c’è il documentario S Is for Stanley – Trent’anni dietro al volante per Stanley Kubrick (2015) di Alex Infascelli – volta alla ricerca di fonti, riproduzioni in dettaglio di costumi e sopralluoghi in tutta Europa, si mette in marcia. Kubrick studia i piani delle battaglie, setaccia ogni dettaglio biografico, analizza l’amore e passione ossessiva per Giuseppina, decidendo di portare sullo schermo non un frammento della vita di Napoleone, ma tutto il suo percorso terreno, dalla nascita in Corsica nel 1769 fino alla morte a Sant’Elena nel 1821. Nessun problema sembra scalfire l’ostinazione del regista, tanto da rilasciare interviste incredibilmente ottimiste sui tempi di lavorazione: «Le riprese all’esterno – battaglie, riprese in esterni, ecc. – dovrebbero essere completate entro due o tre mesi. Dopodiché, il lavoro in studio non dovrebbe richiedere più di altri tre mesi». Tanto meno sembra dargli pensiero il piano economico. Ma è proprio la Metro-Goldwyn-Meyer, con cui è stato siglato l’accordo di pre-produzione per stabilire un programma e un budget, a bloccare l’ambizione di Kubrick. I costi eccessivi per più di 50.000 figuranti da militari, riprese in tutta Europa e la ricerca costante della perfezione tecnica del regista, non convincono gli investitori. Nel frattempo, l’arrivo del poema epico, prodotto da Dino De Laurentiis, Waterloo (1970), decreta la sospensione definitiva del disegno cinematografico. Ma non tutto è perduto. Tutte le ricerche per Napoleon sono necessarie per la realizzazione di Barry Lyndon (1975), film in cui Kubrick sperimenta delle idee innovative per i drammi in costume: usa un obiettivo ultraveloce da 50 mm, in modo che le scene possano essere riprese solo con l’illuminazione possibile nel periodo storico di riferimento: candele, lampade ad olio e sole.
Come per A.I. – Intelligenza artificiale (2001), è Steven Spielberg a ridiscutere, molti anni più tardi, con le case di produzione la realizzazione di Napoleon dal progetto incompiuto di Stanley Kubrick. Una miniserie, forse un film, poi di nuovo il silenzio. Ogni tentativo del cinema di catturare l’imperatore nell’immagine corrisponde a nuova Waterloo. Perché se da un campo di battaglia Napoleone è uscito sconfitto, non sarà certo un campo lungo a restituirgli la gloria.