Duemila anni di saggezza

Nel romanzo La madre, pubblicato da Maksim Gorkij nel 1906, la cui protagonista è Pelageja Nilvona Vlasova, moglie del fabbro ubriacone Vlasov, si legge una frase che non invoca saggezza o cose simili: “I proverbi sono la maniera di pensare dello stomaco; con i proverbi lo stomaco fabbrica delle briglie per l’anima, per poterla governare più facilmente”.

Ci è venuta in mente aprendo la ponderosa opera, a cura di Emanuele Lelli, dal titolo Proverbi, sentenze e massime di saggezza in Grecia e a Roma (Bompiani, pp. 2592, euro 65). Una raccolta che spazia da Pitagora all’Umanesimo.

Se il primo autore presente è, appunto, Pitagora, e siamo nel VI secolo a. C., l’ultimo è Michele Apostolio, nato a Costantinopoli verso il 1422, morto intorno al 1480, che dopo la caduta dell’impero bizantino riparò in Italia, trovando accoglienza presso il cardinal Bessarione. Duemila anni di saggezza, insomma.

O, per dirla in soldoni, questo volume è un vero e proprio giacimento del sapere proverbiale greco e latino. A volte è opera di compilatori quasi sconosciuti (i “paremiografi”, per esempio); in altri casi ci troviamo dinanzi a testi classici, come le “Massime capitali” di Epicuro o le “Sentenze” di Publilio Siro o gli “Apoftegmi” di Plutarco.

Sono raccolte che per secoli hanno costituito un riferimento culturale, anche se gli autori non hanno rispettato uno statuto letterario. Da esse derivano non soltanto formule di saggezza popolare ma anche indicazioni che si ritrovano nel sapere filosofico.

Il lavoro curato da Lelli, che nell’ampia introduzione ripercorre storia e funzione del proverbio da Omero al Medioevo, offre per la prima volta numerose traduzioni di testi. C’è da perdersi per chi desiderasse soffermarsi, anche brevemente, sull’immenso materiale raccolto.

Un oceano di parole cariche di saggezza vi porta senza requie, attraverso un’odissea vorticosa, dai Sette Sapienti ai monostici di Menandro (il quale sosteneva: “Se sei un giovane, ricordati che un giorno sarai vecchio”); dalle sentenze di Appio Claudio ai Proverbi della Bibbia greca o ai papiri con le raccolte private di massime morali o ai “proverbi popolari” di Diogeniano, grammatico del periodo di Adriano. Autore, quest’ultimo, che raccolse simili perle: “Un amore inopportuno non è diverso dall’odio”.

E ancora ecco, tra i molti, i Sentenziari bizantini o i proverbi che circolavano nella Costantinopoli medievale. Non mancano le raccolte latine dei monaci d’occidente, né bisogna dimenticare che il già citato Michele Apostolio diventò il suggeritore principe degli “Adagia” di Erasmo da Rotterdam. Di lui ricordiamo, tra le mille possibilità: “Un cattivo dono è come una punizione”.

Un indice lemmatizzato di oltre trentamila proverbi e sentenze completa il volume e permette di orientarsi dai “Precetti” di Pitagora (c’è anche questo: “Non orinare sulle unghie e sui capelli tagliati, e non calpestarli”) ai “Proverbi popolari illustrati” di Michele Psello. E tale filosofo, scrittore, politico e storico bizantino sosteneva che “chi sputa al cielo sputa sulla propria barba”.

Non è facile trovare una frase che possa compendiare una simile raccolta, giacché nel libro che stiamo cercando di presentare c’è di tutto e anche il contrario. La saggezza si adegua ai tempi e, per ritornare a Gorkij, quelle briglie dell’anima che sono i proverbi offrono una verità che non è assoluta ma che in qualche modo ha una sua utilità.

Senza contare che in queste pagine si trovano anche traduzioni di testi che sanno modellare la verità, quelle frasi che per singolare privilegio sono sempre attualizzabili. Ci accomiatiamo con un esempio tratto dalle “Massime capitali” di Epicuro: “Nessun piacere è di per sé un male, ma i mezzi che producono certi piaceri recano danni maggiori dei piaceri stessi”.