Hitler, Putin e l’orrore sempre uguale della guerra

La guerra di H. Così si intitola l’ultimo romanzo, pubblicato da Piemme, di Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice. Un titolo volutamente ambiguo, perché quell’iniziale farebbe pensare a Hitler, mentre sta, in realtà, per Heinrich.

Heinrich Stein, un bambino tedesco che ha attraversato con la sua famiglia la seconda guerra mondiale. Dall’invasione della Polonia, nel 1939, al 1945, quando suo padre viene “cortesemente” prelevato a casa da due uomini della Gestapo poco prima della fine del conflitto. E oltre. Perché l’uomo tornerà tempo dopo, liberato dagli americani, salvo essere arrestato di nuovo dai russi e rimanere per anni in un campo di prigionia. Mentre il resto della famiglia cerca di sopravvivere come può.

Ha cominciato a scrivere il libro dopo l’invasione Russa in Ucraina. Non può essere certo un caso.

Non lo è. Il fatto è, che seguendo le dichiarazioni di Putin, le ho trovate incredibilmente simili, in certi casi identiche, alle motivazioni di Hitler. Frasi come: “Andiamo a difendere i nostri fratelli che soffrono”. Il romanzo prende il via un anno prima dell’aggressione alla Polonia, che fu giustificata da una serie di fake dell’epoca. E che portò alla seconda guerra mondiale. Un orrore che ha danneggiato anche i tedeschi. Un aspetto, quest’ultimo, di cui quasi mai si parla. È stato per questo che mi sono ricordata della famiglia Stein e ho deciso di raccontarne la storia.

Quindi è una storia vera?

Assolutamente sì. Sono amici che ho frequentato per tanti anni. In realtà, avrei voluto lavorare al libro con Heinrich, ma era troppo fragile e malato per farlo. La ragione per cui non l’avevo scritta prima era che non volevo correre il rischio che qualcuno pensasse che stessi facendo l’apologia del Reich. Ma dopo aver pubblicato due libri sulla Shoah in Ungheria, ho sentito la necessità di raccontare l’altro lato della guerra. Ci scandalizziamo di quello che la Germania è stata capace di fare, ma in un’intervista che feci tanti anni fa, il direttore della Christian Science Monitor di Boston mi disse sarcasticamente: “Dopo la fine della guerra c’è stato un enorme incremento della popolazione italiana. Prima c’erano 46 milioni di fascisti e dopo 46 milioni di anti fascisti”. La differenza è che, mentre i tedeschi hanno preso coscienza dei crimini del nazismo, gli italiani non hanno fatto lo stesso con il fascismo, scaricando le responsabilità sui repubblichini. Persino Heinrich Stein ha vissuto tutta la vita con un senso di rimorso. Ingiustificato perché all’epoca era solo un bambino.

Però c’era il dubbio che suo padre avesse collaborato con il Reich.

Ho parlato con i familiari e letto il diario di suo padre, ma non c’è modo di risolve il mistero, definire se abbia avuto un ruolo nel Reich e nella persecuzione degli ebrei. Di certo, durante la guerra, 1300 prigionieri ebrei vennero usati come operai nella fabbrica di aerei che dirigeva. La sua giustificazione è sempre stata che, in quel modo, li aveva preservati. Con il suo tornaconto, evidentemente, perché c’era bisogno di manodopera. La verità non la sapremo mai. Io credo che non sia stato un grande colpevole e, certamente, neppure un eroe. Ma il vero scopo di questo libro è parlare della follia della guerra. La mia opinione, e non solo la mia, è che se Putin vincesse non si fermerebbe all’Ucraina.

Dietro questo romanzo, come per i precedenti, però, c’è anche la storia della sua famiglia, della sua formazione. Intanto, lei è ebrea.

Mio padre era ebreo, mia madre cattolica. Quindi, in virtù del rapporto matrilineare, per gli ebrei sono cristiana. Ma quando l’Ungheria, dove ero andata a vivere con mamma – come fossimo finite lì è un’altra storia molto avventurosa che ho raccontato nel libro La promessa del tramonto – è stata invasa dalla Germania ho rischiato di essere fatta fuori come sangue misto. Sono stata salvata da mia madre, che era una vera “tigre”. Ne La guerra di H volevo raccontare le conseguenze del conflitto sulla popolazione tedesca. Perché Hitler ha ammazzato 6 milioni di ebrei, ma la sua guerra ha ucciso anche almeno 7 milioni di tedeschi. E altri 13 milioni, come accadde alla famiglia Stein, furono costretti a fuggire dalle loro case, lasciandosi tutto alle spalle. Come tanti profughi di oggi.

In Ungheria la sua famiglia è rimasta anche dopo la fine del conflitto. Fino a che età è cresciuta sotto il regime sovietico e indottrinata dalla propaganda comunista?

Siamo tornati in Italia nel 1951, quando avevo circa 10 anni. Aver fatto le elementari lì mi ha aiutata a capire la formazione nazista di Heinrich Stein. I metodi utilizzati dalle dittature sono simili. L’orgoglio della patria, la potenza delle uniformi… Mio fratello che ha 5 anni meno di me, già piccolissimo parlava della bellezza del comunismo. Io stessa indossavo la divisa, gonna blu, camicia bianca, cappello a bustina e fazzoletto rosso al collo. “Rosso”, ci dicevano “perché intriso del sangue dei martiri della patria”.

Nell’infanzia di Heinrich, però, c’erano anche figure di riferimento che andavano contro quel tipo di ideologia, come la meravigliosa cuoca anarchica che viveva con loro. E lo stesso dev’essere stato per lei, considerato chi erano i suoi genitori.

Sì ma tutti stavano molto attenti a quello che dicevano. Anche i genitori con i figli. A prescindere dalle loro vere idee, se ne guardavano bene dal fare un’opposizione troppo esplicita. Era rischioso. Mio fratello, aveva 4 anni quando alla maestra dell’asilo disse qualcosa tipo: “Mio padre sostiene che le cose che ci insegnate sono tutte cavolate”. Per fortuna, quella donna era una paziente di mio padre e, invece di denunciarci, si precipitò ad avvisarlo di tenere la bocca chiusa con noi bambini.

Tutti i personaggi del libro sono veri? Anche lo zio e la tata nazisti e così via?

Sì. Anche se per alcuni personaggi minori mi sono presa qualche libertà. Ed è vera anche la cugina di Heinrich che, a 18 anni, passò il confine, rischiando grosso, per andare a recuperare i nipoti. Le donne della famiglia Stein fecero un lavoro grandioso. Compresa la madre di Heinrich che ha cresciuto cinque figli, facendo di loro persone gentili e generose. E potrei dire lo stesso delle donne della mia famiglia che erano un po’ cavalli pazzi. Mia nonna, per dire, nel 1941, dall’Italia venne in Ungheria per essere presente alla mia nascita. Correndo rischi pazzeschi.

Un’ultima domanda: un libro, a parte il suo, che possiamo consigliare per capire meglio la seconda guerra mondiale?

L’ordine del giorno di Éric Vuillard che racconta come gli industriali e le potenze straniere, gli stessi americani e la Gran Bretagna di Churchill, abbiano aiutato l’ascesa di Hitler perché rappresentava la barriera contro l’avanzata del comunismo. Gli alleati, alla fine della guerra, avrebbero voluto cancellare completamente la Germania. Non lo hanno fatto per una serie di ragioni, ma hanno fatto pagare ai civili le colpe del Reich. Sono tutte cose che nei libri di scuola non si trovano.