Boeviki, con le copertine sgargianti e combattenti (dai quali la denominazione di genere) dai petti muscolosi e coperti di cartucciere, quanti se ne vuole. D’altra parte, siamo in Russia, il Paese in cui un recente sondaggio ha mostrato che i militari sono la quarta professione più rispettata del Paese dopo gli scienziati, i medici e gli insegnanti. Detektivy in abbondanza, a partire da quelli della decana Aleksandra Marinina, che esordì nel 1995 ed è arrivata ormai al 52° libro sulla scorta di un passato di agente di polizia distaccata presso il ministero degli Interni.
Ed è proprio da lei che partiamo per un breve viaggio in un piccolo mistero della letteratura russa contemporanea. Ha detto la Marinina in una recente intervista che per inventarsi una storia gialla, nera o thriller basta la testa e un po’ di fantasia, ma per poterla raccontare bene occorre “la comprensione e la precisa conoscenza di come funziona il sistema, quali sono le sue componenti, chi ne fa parte, che cosa è possibile che accada e che cosa non è possibile”.
La domanda quindi è: se questa è la regola aurea, perché si scrivono così poche storie di spie nel Paese in cui da vent’anni è Presidente un ex agente del Kgb e tanti altri suoi ex colleghi occupano posizioni di grandissimo rilievo politico? Decenni di osservazione del potere non hanno generato le necessarie conoscenze? Nessuno ha sentito la necessità di raccontare una situazione così particolare?
La spy story russa più coinvolgente
A ben vedere, infatti, il romanzo di spionaggio più appassionante e drammatico lo scrisse Julyan Semyonov che, nel 1966, diede il via alla serie dedicata alla spia “bianca” Stierlitz, che lo avrebbe poi accompagnato per venticinque anni in dodici romanzi e diverse serie Tv.
Semyonov era un grande personaggio. Era figlio di Semion Aleksandrovic Lyandres, direttore delle Izvestiya che nel 1932 era stato arrestato come complice di Bukharin, pestato a ridotto sulla sedia a rotelle. Il figlio Julyan, nel 1953, si laureò all’Istituto di Studi Orientali e divenne insegnante di pashto (la lingua più comune in Afghanistan) all’Umniversità Lomonosov di Mosca.
In un’epoca in cui il tipico giornalista russo era automaticamente considerato una spia, lui girò il mondo intervistando ex gerarchi nazisti, mafiosi, rivoluzionari africani e trafficanti di droga asiatici. Nel 1986 fondò e a lungo presiedette l’Associazione Internazionale del Romanzo Poliziesco e Politico. Nel 1989 lanciò Sovershenno sekretno (Top secret), bollettino dedicato appunto ai misteri e agli intrighi politici ed economici della Russia. Nel 1990, però, fu colpito da un ictus che lo immobilizzò a letto, fino alla morte avvenuta il 15 settembre del 1993.
Subito dopo i funerali, però, cominciarono a circolare voci secondo cui Semyonov era stato in realtà avvelenato dal Kgb che voleva così bloccare il suo ennesimo scoop: una serie di rivelazioni sul passato di spie del patriarca Aleksii II e di altri suoi collaboratori, basate su materiali ottenuti da padre Aleksandr Men’, un sacerdote “contestatore” che era stato assassinato da sconosciuti appena prima che Semyonov subisse l’insulto fatale.
La vera “spia venuta dal freddo”
Questa, come si vede, è una vera storia di spie. Ma appartiene alla realtà, come purtroppo è successo in tanti altri casi nella Russia post-sovietica. È la fiction semmai a deludere. Perché alla fin fine la vera spia “venuta dal freddo” in questi ultimi tre decenni è lo scombiccherato Erast Fandorin creato da Boris Akunin (pseudonimo di Grigorij Shalvovic Ciartishvili), altro scrittore impallinato con l’Oriente (sarà un caso?) e grande appassionato della Russia di fine Ottocento.
Fandorin, che ha vissuto in Giappone ed è esperto di arti marziali, non è esattamente una spia. Ma tra un ballo a corte e un’incursione nei bassifondi di San Pietroburgo e Mosca risolve problemi e scioglie intrighi più o meno al servizio dello zar, o meglio della Russia, in dodici romanzi pubblicati a partire dal 1998, che hanno avuto anche un buon successo internazionale.
Ho intervistato Akunin, una volta. Coltissimo, ironico e perfetto conoscitore dell’epoca in cui la Russia zarista si dibatteva tra voglia di riforme e inerzia autocratica. La stessa epoca, tra l’altro, che tanto piace a Vladimir Putin. Ma lontanissimo dal desiderio di misurarsi con i grandi temi del presente, come in fondo hanno fatto i grandi della spy story, da Le Carré in giù.
Il momento della verità di Bogomolov
E poi che cosa resta? Qualcuno ascrive al genere persino Sergey Lebedev, geologo, giornalista e poeta, che ha, però, ambizioni assai più alte. In certi suoi libri si scava e s’indaga, certo, ma con una fortissima inclinazione a riflettere sulla storia recente della Russia e sulle sopravvivenze del passato. Insomma, siamo altrove.
Alla fin fine, anche nella Russia di oggi quando si dice “scrittore di spie” è facile che il pensiero vada ad autori sovietici che hanno scavallato, con i loro libri, nell’epoca post-sovietica. Nikolay Leonov, per esempio, un capitano della polizia che lasciò il servizio per darsi alla letteratura nel 1965. Jurij Kostrov, pubblicato per la prima volta nel 1975 con La variante Omega, dedicato a una spia sovietica nella Tallinn (Estonia) occupata dai nazisti. Valentin Pikul’, già ufficiale di marina durante la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi romanzi nell’epoca di Caterina II.
Per concludere con il personaggio forse più famoso, dalla biografia paragonabile a quella dell’avventuroso Semyonov, ovvero Vladimir Bogomolov, nato nel 1924 e scomparso nel 2003. Arruolatosi ancora adolescente nell’Armata Rossa come soldato semplice, Bogomolov (che tradotto dal russo più o meno vuol dire “colui che prega Dio”) uscì dal conflitto mondiale come pluridecorato comandante di compagnia. Dalla fine della guerra al 1950 lavorò come ufficiale dell’intelligence militare sovietica nella Germania occupata, poi finì in carcere per un anno senza mai essere processato e infine fu congedato dall’esercito. Uno dei suoi primi racconti, L’infanzia di Ivan, divenne poi un celebrato film di Andrey Tarkovskij.
Il romanzo che tutti ricordano, pubblicato nel 1973, s’intitola Il momento della verità e racconta la storia degli agenti sovietici che nel 1944 agiscono dietro le linee e lavorano per agevolare la vittoria sovietica. In parte basato su documenti autentici, il romanzo ebbe oltre cento edizioni, fu tradotto in molte lingue e per due volte trasformato in film.
Letteratura di genere e politica
Che in un Paese con tante spie orgogliose di esserlo (state) si fatichi a trovare una spy story nuova, non deve poi stupire. E che gli autori più tipici del genere siano ancor quelli di ieri nemmeno. Corrisponde perfettamente all’umore del Paese e agli orientamenti di coloro che lo dirigono. Il dibattito storico, culturale e politico è ancora fortemente centrato sul passato sovietico e soprattutto sulla Seconda Guerra mondiale, che i russi chiamano Grande Guerra Patriottica, momento decisivo per l’autocoscienza del popolo, per lo stalinismo e per il ruolo internazionale del Paese ieri, ma anche oggi e domani. Spiare tutto questo non è facile.