Il Codice civile, capolavoro di Napoleone

Da sempre per la sinistra è un impostore che ha tradito gli ideali della Rivoluzione, per la destra un ibrido scomodo, un misto tra «un cane e un lupo», tra repubblica e monarchia. Dopo duecento anni dalla morte, cosa fare di Napoleone Bonaparte? Denigrarlo o limitarsi alla commemorazione? Celebrarlo o dimenticarlo? Nella società francese sempre più divisa e frazionaria, dalla politica alla cultura, tra chi rivendica Bonaparte come figura centrale della nazione e chi lo rinnega con proteste delle associazioni antirazziste, il presidente Emmanuel Macron ha affrontato come uno stallo alla messicana, con il grilletto puntato dell’opinione pubblica, la decisione di omaggiare il bicentenario della scomparsa dell’imperatore a Sant’Elena. E se «commemorare non è festeggiare», come ha tenuto a ribadire l’Eliseo, la prova della sua incertezza è la procrastinazione dell’annuncio: il capo di stato ha aspettato fino al giorno prima della ricorrenza, il 4 maggio, per confermare il suo discorso su Napoleone all’Institut de France e la cerimonia di deposizione per una ghirlanda di fiori vicino alla tomba a Les Invalides. Napoleone è il tabù e l’orgoglio, la divisione che perseguita la Francia dal suo impero. E se il ministro delle pari opportunità, Élisabeth Moreno, lo definisce «uno dei più grandi misogini», sono gli storici – tra tutti Jean Tulard e Patrice Gueniffey – a suggerire un punto di vista da un’angolazione diversa. Perché se le sconfitte, sia sociali che militari, devono essere condannate, come la reintroduzione della schiavitù, non si può escludere l’importanza internazionale di cui Napoleone è investito. Non si può dimenticare lo sviluppo dell’amministrazione per lo stato moderno, il Code pénal (1810), ma soprattutto il codice civile, Code civil des français o Code Napoléon (1804) che, come specifica Jean Tulard, ha permesso di «consacrare le conquiste della Rivoluzione: l’uguaglianza, la fine dei diritti feudali». Un’opera che i giuristi francesi, suoi contemporanei e successivi, non mancano di definire come un «momento incomparabile, capolavoro di unità, di chiarezza e precisione», non solo perché primo esempio di «vera codificazione dopo le grandi compilazioni di Giustiniano», ma per averne eguagliato prestigio e splendore.

Un’opera che non affascinò solo gli addetti ai lavori del diritto, ma che costrinse il drammaturgo e poeta tedesco Heinrich von Kleist a interrompere il suo lavoro letterario per intraprenderne la traduzione e diventò, con la sua lettura, esercizio necessario e giornaliero per Stendhal – come scrive in una lettera indirizzata a Honoré de Balzac – mentre componeva La Certosa di Parma; il codice civile non finì mai di essere apprezzato dallo scrittore francese come inarrivabile lezione di stile. Lo stesso Paul Valéry non mancherà di definirlo «un capolavoro della letteratura». Un testo che come racconta lo stesso generale Charles de Montholon non smise di confortare Napoleone durante il suo esilio finale a Sant’Elena: seppur cosciente che Waterloo avrebbe distrutto la sua carriera di vittorie militari e l’avrebbe condannato per sempre alla damnatio memoriae, l’imperatore non mancava di sottolineare «Ciò che non potrà essere cancellato, ciò che vivrà per sempre, è il mio codice civile».

Per capire l’importanza della codificazione napoleonica, occorre salire sul torrione più alto per ottenere la panoramica geo-legislativa della Francia al tempo della Rivoluzione e, come il Duca d’Auge de I fiori blu di Raymond Queneau, «considerare un momentino la situazione storica». Anche in questo caso è poco chiara. Un mosaico legislativo senza nessuna unità. Particolarismo giuridico di derivazione feudale e pluralità di fonti e norme che venivano applicate in base all’appartenenza del ceto sociale, in più, se al nord della Loira vigeva il diritto consuetudinario e orale di origine germanica, nelle regioni meridionali operava il diritto scritto di matrice romanistica. Una confusione che lo stesso Voltaire fotografò con ironia nella frase: «Un uomo che viaggia nel suo paese cambia legge così facilmente e allo stesso modo in cui cambiano i cavalli di guardia». È in questo quadro di ingiustizie e privilegi che la costituzione rivoluzionaria annuncia nel 1791 l’imminente codificazione civile, comune a tutto il regno. Come spiegò Stefano Rodotà per Repubblica «non v’ è bisogno di filologia giuridica per rendersi conto del fatto che l’approdo a un testo fondamentale dei tempi moderni è stato reso possibile dall’ incontro tra un uomo ed una situazione». Dopo vari tentativi fallimentari di redigere un testo unico, quello che ormai veniva definito «il codice impossibile», Napoleone ha l’intuizione, salito al potere, di uscire da una fase di stallo e portare a termine una legge che per chiarezza lessicale, semplicità ed elegante brevità è un’opera che apre un’epoca nuova. Riunita la commissione per la stesura della compilazione, con quattro giuristi rappresentanti dei vari diritti vigenti, sarà Napoleone a definire le grandi linee del progetto, presiedendo alla metà delle riunioni del consiglio. Il risultato è la fusione di tutti gli elementi, la confluenza della tradizione consuetudinaria al diritto romano e ai valori di uguaglianza e libertà della rivoluzione, ma soprattutto – scrive Pietro Rescigno in Codici, storia di una geografia e di un’idea – «l’affermazione del primato della legge e istituzione di una graduatoria che assorbe, e in un certo senso distrugge, tutto il materiale di diversa derivazione». È come se Napoleone, non immune all’aspirazione da scrittore, avesse scritto il grande romanzo francese in cui convivono l’illuminismo di Voltaire e la tradizione di Charles Perrault, la lingua d’oil del nord e quella d’oc dei poeti trovatori.

Se l’uguaglianza davanti alla legge e l’eliminazione dell’Ancien Régime sono il grande merito della codificazione, la struttura dell’opera si basa sul pilastro portante della proprietà. Tutti i beni comuni, l’insieme appartenente al clero e all’aristocrazia, sono confiscati e venduti alla borghesia e ai ricchi contadini, questo è il grande affare e punto di snodo della rivoluzione. Al centro della legislazione ci sono sì i rapporti individuali – il primo libro è dedicato completamente alle persone – ma soprattutto «i diritti di ciascuno in relazione alla proprietà» definita come potere «di godere e disporre nella maniera la più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalla legge o dai regolamenti». Un titolo non più riconosciuto per classe sociale, ma universale. Non è un caso che proprio Napoleone nel suo proclama del 18 brumaio si presentò come il difensore di «libertà, eguaglianza e proprietà». Avrà giustamente da criticare Karl Marx nel 1849 definendo il codice «il prodotto della società borghese», ma è proprio tramite i diritti garantiti che Napoleone compie un capolavoro di manovra politica, garantendosi l’ascesa e il consenso trasversale della società francese. Come scrive lo storico Pierre Branda: «I contadini lo apprezzano perché santifica la vendita dei beni nazionali. La sua base sociale è composta anche dall’esercito e da buona parte del mondo operaio a cui dà lavoro». E se giustamente il ministro Élisabeth Moreno in questi giorni ha da lamentarsi per le disposizioni che stabiliscono un disegno famigliare che ruotava attorno all’uomo, come unico titolare della patria potestà e un nucleo dove moglie e marito non avevano gli stessi diritti e doveri, non bisogna dimenticare – afferma Patrice Gueniffey – che erano il riflesso della società contadina e patriarcale del tempo e che il codice ha garantito la tutela dei minori, l’adozione e il divorzio.

Durante l’esilio a Sant’Elena, spesso Napoleone si interrogò, rammaricandosi, sul perché il proprio capolavoro non fosse stato preso ad esempio per un progetto di legge europeo. In realtà le più grandi vittorie del Code Civil l’imperatore non ha avuto il tempo necessario per assistervi. Diventando il modello per il Código Civil spagnolo (1889), Codice civile italiano del ministro Giuseppe Pisanelli (1865) e Codice civile italiano (1942), il Code Napoléon diventerà il canone della maggior parte dei testi dell’area sudamericana. La più grande conquista, quella ottenuta senza imposizioni militari sul mondo, andata oltre i confini nazionali e il tempo, che ha sconfitto il privilegio feudale e garantito l’individuo, sopravvive ai tribunali della memoria, alle celebrazioni in tono dimesso e alle critiche. Perché il codice civile francese è quello che Alighieri Boetti avrebbe definito Mettere al mondo il mondo, determinare le coordinate per disporre, da persona, il proprio peso nella realtà che ci circonda. E forse è anche per questo motivo, per questo testo di 2281 articoli, che Emmanuel Macron non può fare a meno di affermare: Napoleone è parte di noi.