Il Grand Tour in Italia di Pierre-Auguste Renoir

Tutto un altro Renoir. Se avete in mente la gioia festosa e la pennellata veloce de Le Moulin de la Galette, uno dei capolavori dell’Impressionismo francese (realizzato nel 187, è conservato al Museo d’Orsay di Parigi e tutti lo abbiamo visto riprodotto da qualche parte), questa mostra sul “Renoir italiano” sarà capace di stupirvi perché racconta un lato meno noto, ma non meno importante della lunga carriera del francese Pierre-Auguste Renoir (1841-1919).

Diciamo subito che Renoir. L’alba di un nuovo classicismo, a Palazzo Roverella di Rovigo, fino al 25 giugno merita il viaggio fino nel capoluogo del Polesine. Palazzo Roverella si sta consolidando da anni come centro espositivo e di ricerca di eccellenza e questa mostra, ben curata da Paolo Bolpagni, con un allestimento chiaro ed elegante, impreziosito da utili e sintetici apparati didascalici, ce lo conferma ancora una volta.

Due impressioni sbagliate

Di sala in sala, capiamo che abbiamo sempre avuto due “impressioni” sbagliate su Renoir: la prima è che fosse uno dei massimi esponenti dell’Impressionismo. Certo che lo fu: ma non fu solo questo.

La seconda riguarda la sua stagione matura quando, dopo un viaggio in Italia a lungo desiderato, stravolge la sua tavolozza e il suo modo di dipingere e mette su tela un universo nuovo, basato su una forma di bellezza più armonica, trattenuta e controllata della veloce pennellata impressionista, più vicina alla grande arte italiana (a partire da Tiziano e Tintoretto) che lo folgorò durante il Grand Tour.

Ritratto di Adèle Besson, 1918

E proprio dal suo legame con il Bel Paese che la mostra a Rovigo comincia: le prime due sale sono infatti dedicate, con opere pregevoli, ai cosiddetti “italiani di Parigi” che vivevano nella Ville Lumiere e i cui studi Renoir frequentava: Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi con la loro tavolozza piena di luce e gli eleganti ritratti influenzarono moltissimo l’universo immaginifico di Renoir.

Il viaggio in Italia

Con un efficace confronto tra i lavori di Veronese, Tintoretto, Tiepolo, la mostra procede con le opere che Renoir realizza a Parigi dopo la felice stagione impressionista, guardando ai maestri italiani del passato.

Siamo infatti agli inizi degli anni Ottanta dell’Ottocento e l’artista, ormai ben conosciuto e apprezzato dal mercato, non è soddisfatto. Vorrebbe cambiare registro, vorrebbe smettere di dipingere “en plein air” per provare a catturare in modo diverso la luce, vorrebbe smarcarsi dagli altri compagni (Degas, Manet, Monet). Soprattutto, vorrebbe venire in Italia.

Con fatica, tra l’ottobre del 1881 e il febbraio del 1882 organizza un lungo viaggio che da Venezia passa per Firenze, Roma, Napoli, attraversa la Calabria e arriva in Sicilia, alla ricerca della luce “vera” del Mediterraneo. A Palazzo Roverella il viaggio di Renoir è ben documentato anche, come si diceva, dal confronto con le opere dei maestri che Renoir vide nei musei e nelle chiese.

La “bagnante bionda”

Capolavoro della mostra e “star” dell’esposizione è il quadro del 1882 La Baigneuse blonde, prestato dalla Pinacoteca Agnelli di Torino, che ritrae la musa, modella e futura giovane moglie di Renoir, Aline Charigot, come un’antica Venere al bagno. Lo sfondo blu, i capelli appena mossi dal vento, le forme opulente: la donna pare uscita da un dipinto classico, ha uno impatto quasi scultoreo che non può non ricordare i volumi di Michelangelo che Renoir ha visto durante il suo soggiorno a Roma.

La Baigneuse blonde, 1882

Da questo punto di avanti – e la sezione dedicata alle bagnanti lo dimostra molto bene: è una delle sale più belle dell’esposizioni – Renoir ripensa e rivede l’Impressionismo e cerca una nuova via. Sceglie, e porterà avanti questa tecnica sino alla fine dei suoi giorni, uno stile che potremmo definire di moderno classicismo: a molti sembrerà un’involuzione, ma non lo è affatto. Renoir, riprendendo anche la lezione di Rubens e Ingres, mescola toni caldi e scintillanti a un’iconografia classicheggiante.

Un moderno classicismo

Lo osserviamo meglio nella deliziosa sezione dei ritratti femminili o in quella che raccoglie i paesaggi di campagna (Renoir si ritira con la famiglia in Costa Azzurra, nella sua tenuta dove fa erigere anche un atelier) e gli amati fiori: Pierre-Auguste Renoir abbandona la gioia superficiale dell’impressionismo e abbraccia una pittura più matura, che verrà ripresa e apprezzata negli anni Venti del Novecento anche in Italia.

Roses dans un vase, 1900

La sua pennellata resta tuttavia densa e materica, inconfondibile. Ridotto ormai sulla sedia a rotelle, con una distrofia che gli limita i movimenti delle mani, si fa legare i pennelli ai polsi per poter dipingere fino alla fine dei suoi giorni. Una immensa lezione, la sua, di devozione all’arte.