Jurij Gagarin e il futuro sprecato

Gagarin, ja vas ljubila (Gagarin, l’ho amata) è una canzone del 2001 di un gruppo musicale russo-ucraino, gli Undervud (dal nome della Underwood, leggendaria macchina da scrivere) diventata una delle principali hit d’inizio secolo. Erano passati quarant’anni dal primo volo di un essere umano nello spazio, l’Unione Sovietica già apparteneva per alcuni al passato prossimo, ma la leggenda del cosmonauta era stata in grado di resistere ai crolli geopolitici e agli sconvolgimenti sociali che avevano travolto il paese.

Di anni ne son passati sessanta, e Gagarin ancora oggi è una figura in grado di unire, anche al di fuori degli attuali confini russi. Essere il primo uomo nello spazio non è impresa da poco, ma questo non basta a spiegare il perché di una popolarità che coinvolge tutti, una icona che però non ha nulla della distanza di cui si nutrono gli idoli e il loro ricordo. Forse sarà stato per quel sorriso sconfinato nelle fotografie, forse sarà stato il suo «poechali!» (andiamo) in risposta ai comandi per il lancio del razzo Vostok, detto con grande naturalezza come se si fosse trattato di andare a farsi una birra, ma il fascino di Gagarin non è racchiuso solo nei 108 minuti in orbita attorno al pianeta Terra. Il volto del primo cosmonauta è la faccia di un’epoca particolare della storia sovietica, dove le speranze si confondono con le delusioni e le possibilità di sviluppo vengono evocate ma difficilmente realizzate, nel contesto delle contraddizioni allora presenti nella società.

Il “disgelo” era animato dai processi interni (come la destalinizzazione e il lancio dei programmi sociali) e esterni, quali la decolonizzazione e le lotte nel mondo, da Cuba al Congo, in grado di fornire nuovo slancio all’Unione Sovietica, e i successi del programma di conquista del cosmo sembravano testimoniare questa nuova ritrovata energia del sistema, ne garantivano la sincerità e la qualità.

D’altronde da decenni, sin dalla tarda età imperiale, gli immensi spazi stellari e le possibilità di nuovi pianeti da raggiungere avevano conquistato l’immaginario intellettuale russo e poi sovietico. Ai piedi del monumento ai conquistatori dello spazio, un razzo con una scia alto 107 metri, vi è la statua di Konstantin Ciolkovskij, geniale autodidatta e pioniere dell’astronautica, che già all’inizio del XX secolo, nel 1903, aveva disegnato il primo modello di navicella spaziale, e i cui studi sui dirigibili erano stati presi in considerazione anche da Dmitrij Mendeleev. Ma non vi era solo Ciolkovskij: il cosmismo russo, corrente intellettuale di grande preveggenza e fascino visionario, era riuscito a guadagnare un posto importante nel contesto culturale a cavallo dei secoli, e a influenzare personaggi diversi tra loro, ma accomunati dall’attrazione verso i misteri e le profondità dello spazio.

Aleksandr Bogdanov, figura imponente di teorico e dirigente bolscevico, spesso in polemica con Lenin, pubblicò nel 1908 La stella rossa, romanzo che racconta del viaggio di un militante rivoluzionario, Leonid, su Marte, pianeta dove si era instaurata una società comunista avveniristica. Un interesse scientifico che diventa sì base per romanzi e volumi di fantascienza, ma che non raccontano mai solo di mondi immaginati, come testimonia Noi, opera di Evgenij Zamjatin dove tra le righe che descrivono la società del futuro assoggettata alla matematica pura si legge la critica all’esperimento sovietico, ancora acerbo nel 1920. La popolarità dei romanzi dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij nella tarda età sovietica conferma questa vitalità della fantascienza come possibile chiave di lettura di una realtà considerata lontana dalle aspirazioni iniziali.

Ma cosa resta oggi dell’icona di Gagarin? Forse sorprendentemente, forse no, per ora le celebrazioni previste sembrerebbero limitarsi a una rituale commemorazione dell’evento, in un paese dove strade e edifici sono ancora intitolati al primo uomo nello spazio. Secondo Arsenij Žilaev, artista poliedrico e animatore del canale Telegram Černozëm i zvëzdy (La terra nera e le stelle), ci sono vari elementi sul perché del tono dimesso della retorica ufficiale sul sessantesimo anniversario, e ne abbiamo parlato insieme. L’artista sottolinea questa voluta sobrietà, e ne vede le ragioni in un elemento peculiare. «Vi è l’impressione che l’interesse statale verso il cosmo sia diminuito. Roskosmos (l’agenzia spaziale russo) appare nei lanci di stampa più che altro a causa delle polemiche e delle battute via social network del suo capo, Dmitrij Rogozin, mentre spesso si vola ancora su apparati progettati negli anni Sessanta e Settanta, perché gran parte dei programmi spaziali son stati sospesi. Il nuovo cosmodromo Vostočnyj è famoso perché è in costruzione da più di dieci anni, fra scandali di corruzione e scioperi dei lavoratori, spesso lasciati senza stipendio».

Di Gagarin oggi resta un celebre meme, dove il volto sorridente ma anche un po’ perplesso del cosmonauta è accompagnato dalla scritta «Jurij, scusaci, abbiamo mandato tutto a puttane», e ogni tanto riemerge nello spazio web russo. Ma allora, cosa rappresenta Gagarin per i russi? Žilaev pensa che dipenda dalla prospettiva dell’interlocutore. «Per i giovani il cosmonauta è il protagonista di innumerevoli meme sulle potenzialità di un futuro sprecato, mentre per le generazioni più anziani è il simbolo dei successi di una giovinezza piena di speranze, ma per gli intellettuali Gagarin è ancora una figura tragica, in grado di suscitare interesse e fantasie. L’autore della biografia più popolare sul primo uomo nello spazio, Lev Danil’kin, ha avanzato l’ipotesi di come sarebbe stato possibile vedere Gagarin a capo dell’Urss, se non fosse deceduto durante un volo di esercitazione nel 1968».

Attenzione però a sottovalutare la possibilità di utilizzare il cosmo e il passato glorioso fatto di satelliti e viaggi in orbita da parte del Cremlino. Infatti, non è un caso che a presentare tra le modifiche costituzionali poi approvate nel referendum del 1 luglio 2020 l’introduzione della possibilità per Vladimir Putin di poter concorrere alla presidenza per altri due mandati, sia stata Valentina Tereškova, prima donna nello spazio e deputata della Duma di Stato. Una modifica molto discussa, da coprire con il prestigio e le suggestioni provenienti da altre epoche.

Ma il fascino del sorriso di Gagarin, la profondità degli occhi che han visto da vicino le immensità dello spazio, continuano a parlarci di un’età dell’umanità forse più ingenua, però capace di suscitare emozioni e di suggestionare la fantasia di tutti noi. E chissà se non ritornerà un’età dove semplici uomini e donne riusciranno a rappresentare quell’ambizione tutta terrena dell’ascesa verso i cieli.