L’escalation che fa paura nel romanzo di Ken Follett

Ci sono recensioni di tre righe che possono dare più soddisfazione di un servizio di dieci pagine. Come questo tweet dell’11 febbraio scorso che (tradotto) dice: “Ken Follett non scrive mai un brutto libro e Per niente al mondo è il suo migliore. È terrificante. Sfido chiunque a smettere di leggere una volta arrivati alle ultime 150 pagine”. Firmato: Stephen King.

E se lui, che ha creato i mostri e gli incubi più spaventosi degli ultimi cinquant’anni, usa la parola “terrificante”, c’è da credergli. Oggi, purtroppo, più che mai.

L’ultimo romanzo di Ken Follett, pubblicato da Mondadori

Sì perché quello che Follett, con la solita sapienza, dipinge nelle pagine di Per niente al mondo, il suo ultimo romanzo, uscito lo scorso novembre (Traduzione di Annamaria Raffo, Mondadori, pagg.701, 27 euro) è uno scenario apocalittico da terza guerra mondiale. E il fatto che a spingere verso un conflitto nucleare sia un reciproco scambio di colpi bassi tra le due Coree non lo rende meno credibile e attuale.

Sono tre i luoghi di questo romanzo: Stati Uniti, Ciad e Cina.

La protagonista delle pagine americane è, manco a dirlo, la prima presidente donna Pauline Green, alle prese con una figlia adolescente complicata, un matrimonio che funziona sempre meno e decisioni di giorno in giorno più difficili. Soprattutto se hai un potenziale rivale nella prossima corsa alla Casa Bianca che vorrebbe nuclearizzare il resto del mondo e che considera ragionevolezza sinonimo di debolezza.

In Cina invece si muove Cheng Kai, viceministro dei servizi segreti esteri felicemente sposato con una delle attrici più belle e amate della TV, figlio di un uomo del regime che mette il comunismo al di sopra della famiglia.

Kai farà di tutto per convincere il presidente Chen – considerato a sua volta un debole dai falchi dell’esercito – a evitare mosse azzardate, ma sarà costretto a scoprire che non sempre basta citare L’arte della guerra di Sun Tzu per vincere.

Infine c’è la storia che si snoda nel cuore dell’Africa Sahariana, tra Ciad, appunto, Sudan e Libia. Qui troviamo l’agente della CIA Tamara Levit e il suo collega francese Tab Sabdoul – spoiler: si innamorano – sulle tracce di un gruppo terrorista islamico.

Ad aiutarli nell’impresa Abdul, agente sotto copertura che parte per un viaggio della speranza con dei trafficanti d’uomini dove incontra una Kiah, vedova tanto temeraria quanto bella, e il suo bambino. Non poteva mancare, sul posto, un direttore della CIA idiota e misogino e, a capo del Paese, un dittatore sanguinario e inetto.

L’abilità di Ken Follett di far rimbalzare il lettore da una vicenda all’altra, passando dalle sabbie del deserto allo Studio Ovale fino al traffico delle vie di Pechino, è evidente.

Così come la sua capacità di trascinarti nell’ineluttabilità degli eventi: passare dall’uccisione di un militare in uno scontro a fuoco all’affondamento di una portaerei e poi al bombardamento di una base militare fino all’invasione di uno Stato è un attimo.

Il tutto con gente chiusa in un ufficio o in un bunker che si telefona – rispettando i fusi orari, per carità – e  dopo le formalità di rito si dice cose che tradotte suonano come: “Hai sparato al mio soldato? Adesso io ne ammazzo dieci dei tuoi. Con permesso, eh…”.

Escalation: così la chiamano gli esperti di questo tema, sempre più numerosi in questi giorni.

Quando io ho chiuso il libro, non ho trovato definizione migliore di quella di King: terrificante.

E del resto lo ha detto esplicitamente lo stesso Follett con un altro tweet, il 24 febbraio: “Con le notizie di oggi dall’Ucraina spero che Per niente al mondo non sia TROPPO veritiero…”

Lo speriamo tutti, caro Ken. Davvero.