La bella confusione che ha fatto grande il cinema italiano

Grandi storie e grandi trame hanno occupato il cinema italiano. Racconti con alte ambizioni, politiche, sociali, romantiche, da meritare la proiezione in esteso sullo schermo nelle sale.

E se negli ultimi anni, purtroppo, si registra un calo, una perdita di potenza, un allontanamento umano delle narrazioni che lo compongono, ecco che il cinema italiano stesso, con i suoi intrecci, diventa un indimenticabile soggetto. La bella confusione (Einaudi Supercoralli, 2023, pp. 246) di Francesco Piccolo ne è un esempio.

Partendo dal corpo di Claudia Cardinale, oggetto e forma già indagati in una celebre intervista da Alberto Moravia, lo scrittore e sceneggiatore inizia ad allargare il campo visivo per illustrare una rivalità tra due maestri del cinema – Luchino Visconti e Federico Fellini – che si contendono nello stesso periodo l’attrice –  e il suo colore di capelli – per i loro rispettivi capolavori: Il Gattopardo e 8 ½.

Un punto di contatto tra mondi in conflitto, ma per Piccolo anche occasione di affrescare i contesti in cui questo contrasto prende forma. È l’universo intellettuale degli anni cinquanta e sessanta, un cinema che non nasconde le proprie riserve durante i festival nei formali complimenti di rito, ma misura la sua forza dai litigi, dalle contese politiche e teoriche.

E passando dalle inquadrature alle pagine dei quotidiani, come a quelle delle prefazioni, anche il mondo editoriale non manca di mostrarsi come teatro di scontri, con le sue ritorsioni meschine e faziosità. Non possono mancare i Deus ex machina: il potere cattolico, con il suo diritto di veto e censura, e il Partito Comunista Italiano, una chiesa non riconosciuta dai concili vaticani, ma guidata e tenuta in scacco egualmente dai suoi papi, correnti e voti di obbedienza, mentre Palmiro Togliatti, da scacchista migliore di Kasparov, appiana insanabili disparità critiche tra Louis Aragon, György Lukács e Mario Alicata.

Non appena riscossa la gestione di questo teatro di prosa a Piccolo non resta che mostrare i personaggi come nella promenade finale di 8 ½: un Girotondo che farebbe invidia ad Arthur Schnitzler, con concatenazioni di amori, tradimenti, gelosie, non necessariamente legate al sesso.

Suso Cecchi D’Amico ed Ennio Flaiano, Mario Soldati e Giorgio Bassani, Lucio Piccolo e Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Una bella confusione – titolo che in origine Flaiano aveva suggerito per 8 ½ – in cui si sommano ricostruzioni, confessioni e le versioni della verità che “sono sempre più di una”.

Un libro con ambizione e architettura da albo illustrato pop up: per puntare all’effetto, ogni capitolo si regge sull’equilibrio di dati e collaborazioni, corrispondenze e opposti – i ruoli di Ettore Giannini e Marcello Mastroianni, chiari, scuri e presagi: “È morto e adesso verrà premiato” così commenta Tomasi di Lampedusa la vittoria di Rocco Scotellaro, non sapendo di avere un destino comune – , coincidenze filmografiche e biografiche – l’arrivo a Roma di Visconti e Fellini nel 1938, e la simultaneità delle date di uscita di alcuni film.

In questa struttura, come marchio finale, Francesco Piccolo inserisce sia l’autobiografia che l’inseparabile io narrante, un elemento dominante volto sempre a determinare la profondità degli incontri, l’ingiustizia delle valutazioni di parte, soprattutto politiche, il peso delle relazioni, con un bilanciamento diverso rispetto all’ambito lavorativo o umano.

Un giudice insindacabile che attraversa i decenni passati, entrando e uscendo dai circuiti intellettuali, dalle proiezioni a Venezia, dalle segreterie di partito, restando fisicamente nella solitudine pandemica. “Ero nel 1954, nel 1962, nel 1963, in un mondo distante da quello che stavo vivendo, chiuso in casa e in isolamento. Questo libro mi ha permesso di vivere gran parte della giornata con la testa lontana da quello che succedeva intorno”. Tutto quello che la buona letteratura e il buon cinema dovrebbero assolvere come compito puntualmente.

È una giostra di ritratti e letture notturne, taciti disprezzi e risse, libri mai letti prima e film rivisti più volte in una settimana.

Il merito de La bella confusione di Francesco Piccolo è di proporsi come invito al viaggio per scoprire un mondo perduto. Un modo di fare e scrivere, dibattere e conversare di cinema e letteratura, che non può più appartenere al contemporaneo.

Un’esposizione, dalle pagine agli schermi, in cui ogni elemento appare sovradimensionato: ambizioni e rivalità, sentimenti e litigi. Un universo in cui si discuteva su un libro per più di un anno. Una danza, come nel finale de Il Gattopardo e di 8 ½, in cui il passato e il futuro potevano ancora sommarsi e convivere.