L’arte “sociale” da Giacomo Ceruti a David LaChapelle

Per tanti anni la storia dell’arte lo ha soprannominato “il Pitochetto”, per la sua capacità di fissare sulla tela i poveri e i derelitti ricoperti di stracci.

In realtà Giacomo Ceruti (1698-1767), pittore barocco e originale, maestro di realismo e di tecnica, è stato un artista avventuroso e geniale del Settecento. E Brescia – che quest’anno insieme a Bergamo è Capitale italiana della Cultura – ha deciso di dimostrarlo con un corposo progetto di tre mostre, da qui fino a maggio, che costituiscono peraltro un’ottima occasione per visitare la città lombarda.

Miseria e nobiltà

Bisogna recarsi al Museo di Santa Giulia (la cui sezione di antichità romane merita, da sola, il biglietto) e dedicare almeno un paio d’ore a Miseria e nobiltà. Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento, una mostra curata da Roberta D’Adda, Francesco Frangi e Alessandro Morandotti (fino al 28 maggio), coprodotta da Fondazione Brescia Musei e Skira in collaborazione con il Getty Museum di Los Angeles (che ne ospiterà da metà luglio una sezione).

Scuola di ragazze di Giacomo Ceruti

Il percorso si snoda in 100  opere, di cui 60 firmate da Ceruti: è davvero la più grande mostra mai dedicata al pittore lombardo che Giovanni Testori amava poeticamente chiamare “l’Omero dei diseredati.

Grazie a notevoli prestiti da collezioni private e con la presentazioni di 14 tele appartenenti dal cosiddetto “Ciclo di Padernello”, scoperte per caso negli anni Trenta del Novecento in un castello del bresciano, questa mostra testimonia la poliedricità di un artista capace tanto di rappresentare con realismo e partecipazioni le classi più umili (tanto che oggi i critici lo definiscono “il virtuoso degli stracci” per la capacità di sfruttare tutte le sfumature della tavolozza che vanno dal grigio al marrone), quanto di interpretare con garbo e sagacia i ritratti dei nobili dell’epoca, specie in Lombardia e Veneto, dove Ceruti era chiamato da varie committenze.

Il virtuoso degli stracci

Certamente la sezione più affascinante della mostra è quella iniziale: vediamo i primi ritratti (compreso un autoritratto con le vesti da mendicante) dedicate a bambini che portano ceste, lavandaie, lavoratori umili, contadini, mendicanti.

Autoritratto in veste di pellegrino di Giacomo Ceruti

Ceruti si inserisce nel filone della pittura pauperistica in Lombardia, è un campione nel ritrarre le fragilità umane, ma senza il sarcasmo o l’ironia tipiche del Settecento. Ceruti solidarizzava davvero con la classe più umile? Si sentiva parte di loro? La sua biografia è troppo piena di buchi per rispondere a queste domande ma sappiamo che nel testamento espresse il desiderio di voler essere sepolto “da povero” perché tale si sentiva.

Di certo la sua pittura “di polvere e di stracci” che tanto colpì anche il grande critico Roberto Longhi e che contribuì alla riscoperta, nel Novecento, di Giacomo Ceruti, rappresenta uno dei punti più alti dell’arte italiana del Settecento.

La sala dedicata al Ciclo di Padernello, una serie di tele profondamente realistiche in cui spesso il nostro occhio incrocia quello dei diseredati, ritratti con dignità, è il cuore della mostra: sono stati dipinti da Ceruti nel Bresciano tra gli anni Venti e Trenta del Settecento, probabilmente commissionati da famiglie nobili della zona che erano vicini a congregazioni religiose o ai luoghi pii. Ci raccontano di una umanità miserevole e sofferente: sono profondamente commoventi.

Il ritrattista dell’Ancien Régime

Sarebbe sbagliato, tuttavia, ridurre Ceruti solo a questa cifra stilistica. Tutta la seconda parte della mostra segue l’artista nel suo soggiorno veneziano dove, entrato nel circolo del raffinato collezionista Matthias von der Schulenburg, tra i più noti dell’epoca, si trasforma in formidabile ritrattista rococò.

Fumatore di Giacomo Ceruti

Ha tradito la sua indole? No di  certo: la sua pittura, sempre concentrata sulle persone (non c’è alcun paesaggio in mostra, al massimo qualche natura morta), si esprime nella potenza del ritratto.

Ci muoviamo così in una galleria di nobili volti, che ci dicono tanto – dalle pose vezzose di certi sacerdoti all’aria scostante di alcuni aristocratici – come fosse l’Europa dell’ancien régime.

Per capire ancor meglio come lavorava il Ceruti, sempre nel Museo di Santa Giulia, si può visitare la piccola ma raffinata mostra dedicata alle stampe dei suoi disegni, a dimostrazione di quanto fosse vario e complesso il suo immaginario, sempre pronto a cogliere gli stimoli internazionali.

Ritratto di giovane uomo con foglio dipinto in mano, 1760 circa
© Archivio fotografico Civici Musei di Brescia / Fotostudio Rapuzzi

David LaChapelle per Giacomo Ceruti

Il progetto espositivo dedicato a Giacomo Ceruti ha un’altra tappa rilevante e imperdibile: bisogna spostarsi di poco e andare alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia per gustarsi David LaChapelle per Giacomo Ceruti.

Nomad in a beautiful land (fino al 10 novembre), a cura di Denis Curti: il grande maestro della fotografia, celeberrimo per i suoi scatti alle star della moda e da anni, dopo una intensa conversione spirituale, “ritirato” alle Hawaii per studiare una fotografia più impegnata sui grandi temi sociali, interpreta a modo suo lo spirito del lombardo Giacomo Ceruti e regala a Brescia una incantevole opera inedita dal titolo Gated Community.

La possiamo ammirare, insieme ad altri lavori del ciclo Jesus is my homeboy (realizzato nel 2003 e ancora attuale) in una delle sale della Pinacoteca: lo scatto, di grandi dimensioni, è stato realizzato pochi mesi fa a Los Angeles e riproduce tutte le contraddizioni della società.

Vediamo il retro del museo LACMA e il suo costoso parcheggio affollato da tende che LaChapelle ha appositamente portato, mescolandole con quelle dei senza tetto che normalmente vivono lì, ricoprendole con tessuti di noti brand del mondo della moda.

La foto ha richiesto settimane di preparazione per il set e la composizione e una cura maniacale delle luci: è tutto vero (LaChapelle non usa photoshop) e tutto falso al tempo stesso, perché le tende “griffate” sono state messe lì apposta dall’artista (che poi le ha donate agli homeless).

Eppure, il fotografo americano centra ancora una volta l’obiettivo di mostrare tutte le contraddizioni del presente.