L’eterna ricerca della “felicità mentale”

Il provenzale Lewi ben Gershom, contemporaneo di Dante e noto al mondo latino come Gersonide (1288-1344), nell’ambito del giudaismo conosciuto anche con l’acronimo di Ralbag, è una delle figure più fascinose del pensiero ebraico aristotelico del Medioevo. La sua opera principale, Le guerre del Signore, la modellò sulla struttura del fondamentale testo di filosofia ebraica la Guida dei perplessi di Mosè Maimonide.

In essa Gersonide, che era autore dai molteplici interessi e fu anche matematico (ha lasciato numerosi trattati, tra cui uno sull’Armonia del numeri e di lui restano intuizioni pionieristiche sul calcolo combinatorio), cerca di risolvere il problema della dimostrazione razionale della creazione dell’universo.

Oltre ad aver scritto diverse opere talmudiche, Gersonide continua a vivere nei libri per le sue congetture astrologiche; tra l’altro, è diventato un personaggio contemporaneo, grazie al romanzo Il sogno di Scipione di Iain Pears.

Roberto Gatti, che aveva commentato e tradotto in italiano Le guerre del Signore (Edizioni di Pagina, 2011), ora per la “Biblioteca di cultura ebraica italiana” edita da Paideia ha curato, di Gersonide, Come l’uom si etterna (pp. 240, euro 34). È la prima traduzione italiana, corredata di ampia introduzione e di note filologiche e storiche di un’opera inedita, dovuta a questo personaggio sorprendente, che è da ricordare anche per una serie di Supercommentari ai Commenti di Averroè alle opere di Aristotele.

Il testo tradotto appartiene appunto a quest’ultima tipologia: si tratta del Commento a tre Epistole di Averroè e figlio (dell’ultimo scritto c’è una traduzione latina, composta probabilmente all’interno della corte di Federico II). L’intento che il libro testimonia è quello di individuare i fattori che rendano possibile la conoscenza e la natura della “felicità mentale”; grazie a essa, al culmine del suo processo conoscitivo, l’uomo raggiunge l’immortalità.

Già, “felicità mentale”, parole facili a dirsi ma non semplici da realizzare; un lemma che è stato introdotto da Maria Corti per indicare un insieme di temi e problemi che nacquero nell’ambito del cosiddetto aristotelismo radicale del mondo latino nel XIII secolo. Ci restano sull’argomento alcune testimonianze di docenti, medici, poeti.

E resta anche l’antico sogno di ghermirla. Tuttavia Sant’Agostino, senza specificare mentale, si era chiesto della felicità: Ma dove mai la si è conosciuta per desiderarla tanto? Dove mai la si è vista per esserne così attratti?

L’argomento porta lontano e di certo non si ferma a Gersonide. Seguendolo si arriva a Spinoza e non è difficile continuare sino al Novecento, magari per chiedere qualcosa a Freud, anche se la felicità mentale non fa parte delle conquiste che la letteratura a buon mercato e la filosofia dei tele-imbonitori crede di aver raggiunto. Di certo è impossibile scoprirla in Rete.

Scrive Roberto Gatti nell’introduzione: “Il progetto della felicità naturale può essere definito come alternativo alla religione rivelata, nel confronto della quale la filosofia medievale ha esercitato, su questo particolare punto, un atteggiamento più di assimilazione-trasformazione che di opposizione frontale”.