L’insostenibile solitudine di Marilyn Monroe

Il film Blonde, che dopo il Festival del cinema di Venezia, arriva su Netflix il 28 settembre, è tratto dal libro – un romanzo vale la pena di ricordarlo perché in molti sono convinti si tratti di una una biografia – ispirato alla vita di Marilyn Monroe e scritto da Joyce Carol Oates.

Oates ha raccontato più volte di aver cominciato a pensare di scrivere un libro sulla Monroe, dopo aver visto la fotografia “di una radiosa quindicenne Norma Jeane Baker, che non somigliava ancora per niente a Marilyn Monroe, vincitrice di un concorso di bellezza in California, nel 1941, con una corona di fiori artificiali su i suoi capelli castani ricci (…) questa ragazza giovane, sorridente, così molto americana, mi ha ricordato le ragazze della mia infanzia, alcune delle quali provenienti da famiglie distrutte”.

La ricerca che ne seguì la inghiottì completamente (Definiva Marilyn la sua Moby Dick) e il risultato è un libro così ben riuscito da far dimenticare, come dicevano all’inizio, che non si tratta di una vera biografia. Tanto meno di un’inchiesta giornalistica, cosa che, invece, è Dea. Le vite segrete di Marilyn Monroe del giornalista e scrittore irlandese Anthony Summers. Un’inchiesta giornalistica alla vecchia maniera. Nel senso che all’autore sono serviti diversi anni per contattare e intervistare centinaia di persone (e non tutti avevano voglia o interesse a parlare), tutti quelli che potevano aiutarlo a ricostruire i misteri intorno alla morte dell’attrice.

Nel farlo, però, Summers finì per raccontarne anche gran parte della vita.

Il libro – uscito originariamente nel 1985 e pubblicato di recente in Italia da La Nave di Teseo – si apre, infatti, la notte del 4 agosto 1962, a Los Angeles.

In quelle ore, annuncia l’autore, si sarebbero verificati parecchi avvenimenti “che, a quanto ci risulta, non vennero registrati da alcun organismo ufficiale. Eppure, ciò che li provocò era senza dubbio la notizia dell’anno”: la morte di Marilyn Monroe.

Parte di quegli avvenimenti, lo scopriremo nei capitoli successivi, hanno a che fare con il rapporto fra la Monroe e la famiglia Kennedy: John, entrato in carica come presidente degli Stati Uniti nel gennaio del 1961, e il fratello Robert, che lo affiancava come procuratore generale degli Stati Uniti d’America.

Una relazione di cui si sa da tanto tempo, ma che non era non facile mettere a fuoco nei dettagli. Anche perché spiega Summers, “le notizie che cominciarono a circolare qualche anno dopo la morte dell’attrice erano così esagerate per foraggiare il supermercato dei fogli scandalistici, che le persone di buon senso potevano comprensibilmente liquidarle come una fandonia”.

Centrale nella ricostruzione, la casa sulla spiaggia a nord di Santa Monica dell’attore Peter Lawford che era divenuto cognato dei Kennedy dopo averne sposato la sorella Patricia. Una villa super lusso che durante la campagna elettorale del 1960, divenne la loro base operativa in California. Un punto d’incontro per i consiglieri del candidato. Ma non solo.

Lawford faceva da padrone di casa per i fratelli quando questi volevano concedersi un po’ di distrazioni in California. Parliamo di donne nello specifico. E, tra queste, c’era l’attrice più famosa di Hollywood in quel momento: Marilyn Monroe. Che, secondo la ricostruzione di Summers (e di molti altri), aveva una relazione sessuale con entrambi i fratelli. All’inizio con John – i primi incontri tra i due risalivano alla metà degli anni Cinquanta ma la frequentazione s’intensificò proprio nella villa di Lawford – poi con Robert.

Ana de Armas. Cr. Netflix © 2022

Tretick, il fotografo di Look e l’autore di alcune delle più memorabili immagini dei momenti intimi della First Family, ricordava di averli visti (Marilyn e Robert) in un ricevimento, probabilmente a San Francisco. “Ballavano insieme. Era in un hotel, una festa elegante, semi-privata, organizzata per raccogliere fondi. Ballavano abbracciati, i corpi stretti l’uno all’altro; sembrava una cosa piuttosto romantica. Al momento pensai: Ma guarda, fanno proprio una bella coppia. Poi non ci pensai più”.

È dopo le elezioni che la Monroe diventa “scomoda” e pericolosa. Per una lunga e complicata serie di motivi che vanno oltre la possibilità di uno scandalo sessuale. L’attrice aveva una relazione anche con Frank Sinatra, il quale a sua volta aveva parecchi amici nella mafia, ovvero gli stessi criminali che il nuovo procuratore generale attaccava e minacciava di annientare.

Il grosso punto interrogativo sulla relazione tra Marilyn e Sinatra riguarda non tanto la persona di quest’ultimo, quanto l’opportunità che essa fornì ad altri di danneggiare i Kennedy. La vicinanza con Sinatra portò Marilyn in un ambiente frequentato da alcuni dei peggiori nemici dei Kennedy in un periodo in cui frequentava anche i due fratelli, John e Robert. La questione è: quanto ne sapeva la mafia?”.

Summers non rientra nel folto gruppo dei complottisti, ovvero non sostiene che a uccidere Marilyn sia stata la mafia, tanto meno i Kennedy. Quello che, però, è riuscito a dimostrare con prove piuttosto salde è che la Monroe mori ore prima rispetto alla versione ufficiale, che quel giorno Robert Kennedy era a Los Angeles e che i due si erano probabilmente visti a casa di lei quello stesso pomeriggio.

Trovata in fin di vita intorno alle 23, l’attrice venne caricata su un’ambulanza, dove morì, quindi riportata a casa per la messa in scena finale, in modo di dare il tempo al procuratore generale di prendere un volo che lo portasse via dalla città e ad altri di “ripulire” la casa da possibili prove del suo passaggio e della relazione della Monroe con i Kennedy.

In uno dei capitoli finale, inoltre, Summers racconta un altro episodio poco conosciuto, ovvero l’incontro tra la Monroe e il guru delle droghe psichedeliche Timothy Leary, nel maggio del 1963.

Cr. Netflix © 2022

Avvenne alla fine di un party a Hollywood Hills, al quale avevano partecipato medici e celebrità, tra cui Jennifer Jones e Dennis Hopper. ‘Ero stremato’, raccontò Leary. ‘Ero stato trascinato in giro per la città, portato in una delle grandi case cinematografiche, e poi bombardato per tutta la sera con domande sulla droga. Me ne andai in una camera da letto e mi sdraiai, e dopo un po’ venne Marilyn e mi svegliò. Non l’avevo vista durante il party, probabilmente era arrivata dopo che ero andato a riposare. Voleva conoscermi e desiderava che la iniziassi all’LSD”.

Se aver fatto chiarezza quasi al di là di ogni ragionevole dubbio sulle menzogne che riguardano le ultime ore di vita dell’attrice è il tassello che Summers è riuscito ad aggiungere alla storia di Marilyn Monroe, il ritratto desolante della sua vicenda umana, invece, non è poi così diverso da quello raccontato dalla Oates.

Quello di “una donna che divenne un simbolo dell’amore ma fu sostanzialmente sola (…) che nel privato leggeva libri di filosofia e progettava giardini, ma intanto abusava di farmaci e alcol (…) la cui gaiezza esteriore mascherava una mente profondamente turbata”.