LOKI, il Franti di Asgard

Loki si sentì ardere della sua stessa impavidità, per il modo in cui non sembrava provare vergogna quando Odino o Karnilla lo rimproveravano. Il suo stesso cuore continuava a contorcersi, non importava quanto in alto alzasse il mento in segno di sfida. Non importava quanto innocente si ritenesse. Una volta, da ragazzo, Loki aveva usato la sua magia per spegnere contemporaneamente tutte le luci del palazzo. Rimase sconcertato quando si accorse Odino non era stato felice e orgoglioso come si aspettava, ma piuttosto così furioso che Loki aveva temuto che suo padre potesse colpirlo. Invece, Loki fu mandato in punizione nelle sue stanze, dove si era dimenato in una vergogna che non capiva, prima che sua madre finalmente arrivasse a spiegargli che sarebbe stato meglio se non avesse usato la magia che gli vibrava nelle ossa ma piuttosto si dedicasse a diventare un guerriero come suo fratello. (Lee Mackenzi, Loki: Where Mischief Lies)

Mi vergogno un po’ a confessarlo, ma tutte le mie nozioni Asgardiane e tutto quello che so sui miti norreni (fino a qualche anni fa non sapevo neanche che si dicesse norreni, lo giuro) è frutto del mio imprinting con i giornaletti Marvel, all’epoca pubblicati dall’editoriale Corno di Milano: tanto è vero che ancora non mi sono abituato al Thor di Chris Hemsworth con quella barbetta alla moda. Per me gli Asgardiani sono quelli disegnati da Jack Kirby, punto e basta. E Loki resterà sempre quello cattivissimo col costumino verde e giallo, color bile e invidia. Vi devo anche confessare che, dato che sono passati così tanti anni, non escludo che al Loki di Stan Lee, all’epoca, venisse conferita un qualche spessore diverso dal pure evil che rappresentava, ma è certo che se dopo -appunto- tutto questo tempo, il mio ricordo di Loki è e resta quello un cattivo tout court, forse era semplicemente cattivo e basta, così come aveva deciso Odino, così come aveva voluto Dio con Lucifero. Perché anni di revisionismo psicanalitico applicato alle sacrestie ci hanno mentito: il diavolo è cattivo esattamente come lo si dipinge. Però Loki serve, perché, per citare Eco, ogni suo gesto appare sfasato rispetto alla norma, accetta le convenzioni (la messa) per sovvertirle dall’interno (occasione per distribuir pidocchi), intraprende discorsi ma per turlupinare l’interlocutore, veste come gli altri ma fa delle sue vesti nascondiglio per i suoi trucchi, nessuno dei quali mira specificatamente a un utile particolare, ma tutti nell’insieme a una deformazione degli umani rapporti. Loki è a metà tra Franti e Panurge, e in quanto Franti non può che essere nemico del suo fratello mainstream, l’odioso Enrico asgardiano, l’erede di casa, e di Odino, che è Re, e noi sappiamo che i regni si costruiscono col sangue dei poveri, e non con la santità. Ecco perché mi piace il Loki della Marvel: perché è il più umano di tutti gli Asgardiani, quei boriosi vestiti da Carnevale. E perché adoro, fin dai primi film, l’attore lo interpreta, il bravissimo Tom Hiddleston.

Ma veniamo a noi: la serie. Com’è? Diciamo subito che, nonostante i trappoloni delle linee temporali (che o ti sai gestire bene e con moderazione come ci ha insegnato Robert Zemeckis, oppure ti fa venire un’ansia di pazzi o un sonno feroce: per dire, Tenet), la serie è davvero bella e Hiddleston spettacolare. Qui, a differenza dei film, sfoggia, ma sarebbe più corretto dire che ostenta con orgoglio il suo accento britannico (è londinese, e si sente), che non è mai altezzoso, ma che dice chiaramente io non parlo come quel buzzurro di mio fratello, il taglialegna. Dice, ma allora questo Loki qui diventa buono? Beh, se intendiamo che diventa paternalistico e regale come la sua famiglia, allora no. E non diventa neanche umano, per fortuna: è soltanto Loki alle prese con qualcosa che sia un complesso d’Edipo o con il trauma dell’adozione continuamente rinfacciata. Quando deve combattere Thor, che è poco più di un orso marsicano, Loki è costretto a usare tattiche e modi buoni per un orso, appunto: alle prese con qualcosa di più complesso come le linee temporali, deve giocoforza dar fondo a tutte le sue possibilità sentimentali e intellettuali. Laddove Thor risolve tutto a martellate, e chi c’è c’è, Loki ha un cervello e lo usa, si esplora e si mette alla prova. Con la scusa del suo immenso ego, qui si permette anche il lusso di far trapelare dei sentimenti: che saranno sì fugaci, ma trapelano eccome. Insomma, tutto questo pippone l’ho appicciato per consigliarvi la serie: che farà storcere il naso ai marveliani puri e agli amanti dell’universo DC, ma è giusto così, e chi se ne frega. Solo una nota finale: Owen Wilson, strappato per una volta ai ruoli comici o surreali, sta diventando un grande attore, di quelli veri, capace di confrontarsi con la realtà, e non con quello che i registi vedono in lui (e sì, ce l’ho con Wes Anderson, che detesto: e neanche cordialmente, a dirla tutta). Loki, su Disney+.