Metti una sera al pub con Tarantino…

La cosa più bella di andare al cinema è la birra che berrete dopo parlando del film. Incazzandovi con un conoscente, discutendo della filmografia del regista, esaltandovi per la sceneggiatura.

Nascono memorabili teorie e fesserie indimenticabili tra una raffinata pinta di Pale Ale o una Peroni da 66, perché subito dopo i titoli di coda, anche se siete usciti dalla sala e le luci si sono riaccese, il film continua ad essere lì, nella vostra testa.

E leggendo Cinema Speculation (2023, La nave di Teseo, traduzione di Alberto Pezzotta, pp. 420) è chiaro fin dalle prime pagine che Quentin Tarantino non abbia fatto altro, spezzando il ritmo tra inizio e termine della proiezione solo per dedicarsi alla realizzazione delle proprie opere. Perché parlare – e scrivere di cinema – non è una sosta dall’ossessione, ma un eterno replay personale in cui l’amore dall’immagine si trasferisce in linguaggio spietato.

Che tenga una lezione accademica per il documentario Django & Django – Sergio Corbucci Unchained (2021) di Luca Rea e Steve Della Casa, che sia un invitato alla festa, pronto a dissertare su Top Gun, come in Il tuo amico nel mio letto (1994) di Rory Kelly, o l’autore di un libro che alterna memoria personale, critica e storia, non fa alcuna differenza: Quentin Tarantino potrebbe far durare quella birra per sempre. 

E la bellezza di Cinema Speculation, mischiando discussioni con Walter Hill e Peter Bogdanovich, analisi delle scene e schiamazzi in sala, è non conoscere la noia o la fatica della narrazione, ma soprattutto di diventare un invito, anche per i lettori meno esperti del cinema di genere, ad avventurarsi in nuove visioni.

Come raccomanda l’autore a proposito di Lizabeth Scott: “Se state leggendo questo libro, si spera per imparare qualcosa sul cinema, e vi è venuto il mal di testa a furia di trovare dei nomi che non vi dicono nulla, vi faccio le mie congratulazioni: si vede che state imparando qualcosa”.

L’abilità di Tarantino nel tessere trame, incidenti di percorso e problemi di produzione non è spiegare con distanza dalla cattedra di un maestro riconosciuto a livello mondiale, ma conservare quello sguardo di meraviglia e scoperta del ragazzino che dalla fine degli anni sessanta giocava a fare il piccolo adulto – silenzio in sala e nessuna domanda – pur di vedere i film con la madre e il patrigno. 

Attraversando tutte le sezioni – non monografie, ma vera e propria letteratura con capitoli dedicati a Un tranquillo weekend di paura e Taxi driver, Rolling Thunder e Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!  dal cinema, come in una panoramica, l’inquadratura si allarga sempre di più per comprendere politica e contesto storico, meccanismi d’industria e ruolo del pubblico.

Emerge con prepotenza il ruolo della violenza nella società americana, un filo conduttore che collega i decenni dalla Hollywood di John Ford, passando per i contestatori come Arthur Penn fino ad arrivare ai Movie Brats – Steven Spielberg, Martin Scorsese, Brian De Palma, George Lucas e Francis Ford Coppola.

Se nelle strade la contro-cultura, le Pantere Nere e i movimenti di protesta sovvertono lo stato di quiete dell’americano medio, in sala lo spettatore fa i conti con le proprie paure, calcolando come in un esperimento di Stanley Milgram, la propria voglia di abbattere la pericolosità sociale o il desiderio di porre ordine come Clint Eastwood/Harry Callaghan masticando un hot dog e sparando per interrompere una rapina.

L’America è nata nelle strade” suggerisce Martin Scorsese in Gangs of New York (2002), Tarantino va oltre e mette sulla bilancia gli autori classici e gli appartenenti all’antisistema per ridare la giusta dimensione a George Armstrong Custer, Jesse James e Billy the Kid: “Il motivo di girare, in questo nuovo clima, tanti film sul passato americano era la volontà di analizzare e finalmente di mostrare una lunga storia fatta di fascismo, razzismo e ipocrisia. Tutti gli elementi che per mezzo secolo la vecchia Hollywood aveva rimosso o edulcorato”. 

Dagli schermi alle platee, Tarantino fa convergere l’attenzione sulle reazioni del pubblico e sulla possibilità che cambiando sala, la risposta della folla sia diversa, ci dia occasione di arrivare a delle risposte molto più in fretta di un’élite di cinefili: guardare e ridere durante la prima parte di Taxi driver al Carson Twin Cinema, nei sobborghi di Los Angeles, non potrà mai essere uguale alla proiezione al Grand Palais di Cannes.

Perché la spontaneità di un pubblico popolare, di chi vive nelle strade piene di Travis Bickle/Robert De Niro sa riconoscere subito l’autentico, senza farsi fregare: “Che cosa ci aveva colpito tanto? Semplice: ciascuno di noi aveva visto un tipo così. Anch’io. E quando saremmo usciti dalla sala, che era situata in un centro commerciale, avremmo potuto rivederlo. Ma la cosa più divertente è che non avevamo mai visto un tipo così in un film di Hollywood”.

Provate a far vedere Lazzaro felice di Alice Rohrwacher in un cinema dell’entroterra umbro e vediamo se ridono.  

E incastonando il capitolo Il samurai in seconda – Un omaggio a Kevin Thomas al centro del libro, come una pietra rara, Tarantino, da storico e regista, ricolloca l’importanza e la funzione strategica della stampa.

Se di Pauline Kael amava citare con la sua prima fidanzata le recensioni, per poi deridere gli articoli di Sheila Benson – “le sue sembravano le relazioni di una casalinga sui libri che aveva letto per un corso serale di letteratura americana” – grazie al critico del Los Angeles Times scopre Lina Wertmüller, Rainer Werner Fassbinder e Nagisa Ōshima.

Il giudizio, lontano dall’essere uno spazio pubblicitario come nel tempo presente, in cui tutti parlano bene di tutti, era una spia fondamentale per riconoscere i nuovi talenti e dare una spinta a chi come Jonathan Demme partiva da piccoli film come Femmine in gabbia ed era pronto per le grandi produzioni: “E se Kevin Thomas parlava bene dei filmetti di Jonathan Demme per Corman, gli addetti ai lavori prendevano nota del nome del regista”. Perché della passione e del rigore dei critici c’era da fidarsi. 

Probabilmente è un’opera che appartiene a un altro mondo, tra sale piene, giornalisti attenti e una violenza di cui non ci si vergognava ma interrogava, eppure la forza di Quentin Tarantino nelle pagine di Cinema speculation, appartiene all’energia dei ragazzi, di chi non ha ancora provato noia, di chi quelle quattrocento pagine magari le ha trovate strette, sintetiche e ha la gioia di continuare a ordinare birra parlando di cinema per tutta la notte.