Monica Vitti, sempre un passo oltre

Due labbra socchiuse sul futuro. La bocca di Monica Vitti disegnava un universo parallelo e distante, migliore e irrealizzabile per tutta la cinematografia italiana: una sospensione dall’orlo delle sue sponde che ha fatto trattenere il fiato al pubblico per mezzo secolo.

Che cosa sarà in grado di fare e dire, interpretare e pensare? Praticamente tutto. Bionda e mora, comica e drammatica, pericolosamente bella e spietatamente intelligente, ma anche anti convenzionale, generosa e complessa. Monica Vitti non solo è stata il nostro femminismo e non ce ne siamo neppure accorti, ma anche l’abbattimento di un confine culturale che voleva le grandi attrici sui tappeti rossi dei festival, e mai in ditta sui cartelloni per le commedie all’italiana. Perché essere affascinante e una brava interprete passi, ma saper far ridere forse è anche troppo.

Invece il mondo dello spettacolo e della recitazione per lei è sempre stato sinonimo di alternativa alla realtà, un’opportunità per vedere altro da sé. “Devo ai bombardamenti la mia carriera“, così raccontava in un’intervista a Leo Benvenuti: insieme al fratello Giorgio, durante i raid aerei degli americani, costruisce un teatro di burattini per distrarre i rifugiati, prestando per la prima volta la sua voce a tanti personaggi diversi. “Tale era la gioia di intrattenere gli altri e di distrarli, di farli ridere e non pensare più a niente anche solo per un secondo, che mi sono detta: questa cosa qui, magari la potessi rifare!“.

Negli anni, grazie al doppiaggio, il timbro di Monica Vitti, lacerato e graffiato come da una deflagrazione di una mina, imperfetto e irresistibile, diventa voce di tante donne diverse, pur restando sempre integro e uguale a se stesso. È scelta per la sonorizzazione di Accattone di Pier Paolo Pasolini, così per I soliti ignoti di Mario Monicelli e Le notti di Cabiria di Federico Fellini. Una voce che sembra appartenere a tutte le strade d’Italia da sempre, e che apre la strada alla giovane interprete per il cinema.

Una figura così diversa dagli standard delle dive italiane da non poter essere paragonata a nessuna: altera e misteriosa nei film di Michelangelo Antonioni, piena di grazia e ironia nelle commedie di Luciano Salce, spettinata e comica per Mario Monicelli ed Ettore Scola, protagonista con Alberto Sordi, e l’unica a non essere cannibalizzata dalla sua competitività

Una complessità di caratteri che Dino Risi sa fotografare nel suo Noi donne siamo fatte così, opera ad episodi che con chiave satirica racconta nella società post sessantottina l’evoluzione della donna, sempre più fuori posto rispetto ai canoni della tradizione. Suora cantautrice e operaia, moglie libertina e motociclista acrobatica, assistente di volo e giornalista sul fronte. Monica Vitti si diverte a indossare e svestire i personaggi a ritmi frenetici, come un ladro costretto al travestimento per l’evasione.

E proprio a un’eterna fuga che la sua carriera può paragonarsi, perché “fare l’attore è proprio una scappatoia, un modo di ridurre al minimo le responsabilità della vita. Non essere te e nemmeno l’attore, ma il personaggio. Recitare per me è sempre stata una vacanza“. L’arte come periodo di ferie, la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio e allo stesso tempo prendere una pausa dalle fragilità e i dubbi, le insicurezze e le nevrosi che da sempre l’hanno assediata.

Un’inadeguatezza che soffre non solo per la voce – anche se abilmente ha saputo trasformarla nel suo punto di forza – ma anche per l’aspetto: come racconta lo stesso Giancarlo Giannini: “Era insicura del proprio corpo, aveva molta resistenza a mostrarlo perché lo riteneva imperfetto“. Così il cinema si trasforma nell’opportunità di perdersi e ritrovarsi, smarrirsi e scoprirsi, in un eterno ciclo, senza sapere mai con certezza cosa verrà dopo. Del resto non è un caso che il suo primo film da protagonista, L’avventura di Michelangelo Antonioni, cominci proprio grazie alla sparizione di una donna, interpretata da Lea Massari.

È in questo viaggio che non conosce mai bene la sua destinazione, nella volontà di sapersi accettare e mostrare, nascondere e rivedere, nello spiraglio incerto tra due labbra socchiuse che sta tutta l’unicità di Monica Vitti: “Io immagino che il meglio non sia ancora stato scoperto, questa è la mia speranza. Ho sempre la sensazione che il mio miglior film non l’ho ancora fatto, che il meglio non sono ancora riuscita a darlo“.

Temere e sfidare l’inatteso, nell’arte come nella vita, senza pensare che il prossimo traguardo sia quello finale, ma sempre una tappa intermedia.