Napoli vista da Maiorca

Il punto di incontro tra mare e terra, in poche parole: un’isola. Limitata porzione di razionalità e rocce completamente circondata dall’acqua del subconscio.

Nella storia della letteratura le isole si prestano a scenografie del mito, teatro di apparizioni, angosce e desideri manifestati, in cui il confine tra reale e fantastico diventa sempre più labile, e muta di continuo come l’onda sul bagnasciuga.

Se Prospero creato da William Shakespeare domina l’isola sfruttando la forza degli spiriti, è sullo scoglio di Isca che Eduardo De Filippo traduce in napoletano La tempesta, donandole nuova vita.

Un filo mai interrotto nei secoli lega la storia degli uomini a queste geografie. Pace e amore a Wight, stregoneria ad Alicudi, apocalisse a Patmos e la nuova Europa a Ventotene: grandi visioni nascono, si definiscono e sono destinate a dissolversi come Napoleone a Sant’Elena.

Sarà per tutti questi motivi che lo scontro tra ombre e luci, reale e fantastico, animale e umano detta la struttura del romanzo autobiografico di Fabrizia Ramondino Guerra di infanzia e di Spagna, (del 2001 e nuovamente pubblicato da Fazi editore nel 2022).

È nel 1937 che la famiglia di Titita – alterego della Ramondino – da Napoli si trasferisce sull’isola di Maiorca, nella proprietà di Son Batle. In questa casa Titita fin da bambina compila accuratamente un inventario, una catalogazione di giardini e insetti, di vestiti e feste, giochi e bambole.

Slegandosi dalla cronologia dei ricordi – che ne avrebbe decretato un punto a sfavore per il romanzo – Ramondino scrive con lingua adulta custodendo l’anarchia dell’infanzia, l’età in cui tutto il mondo è sconosciuto, incomprensibile e selvaggio, tanto da non riuscire a distinguere con certezza il reale dal magico.

Titita vive in conflitto continuo con il fratello Carlito, il suo opposto – “Pensai a un certo punto che lui fosse di un altro mondo. Mi misi perciò a spiarlo, per capire come fosse quel suo mondo” – Mamita, icona di venerazione, algida e distante, Papito, padre affettuoso che nonostante i continui regali alla figlia, soffre della sua indifferenza.

E se l’infanzia è un periodo di opposizione naturale all’universo familiare, con esplosioni di rabbia che fanno trasformare Titita in scimmia, cagna o tigre, in Spagna scoppia la guerra civile, solo preludio di un conflitto ancora più insensato e violento che sta per affacciarsi sulla storia.

Non lo vedi? – presagisce la nonna – Più che mai Dio si nasconde in questi anni, figlia mia. E chissà se mai comparirà di nuovo. E il peggio è che la gente pare non darsene pensiero. Guarda la tua casa, da quando sono arrivata ogni giorno c’è un banchetto, un ballo, un ricevimento. Io mi sento invece un nodo in gola, un rovello in capo, una serpe nei visceri.”

E più il reale procede inesorabile verso il buio, più Ramondino ripercorre la storia degli antenati tramite i racconti, restituendo l’immagine fiabesca e luminescente di una Napoli lontana, con descrizioni di sete pregiate, dei suoi santi – includendo Giuseppe Moscati -, rosari in oro dei negozi di via Duomo, e “la sala sfavillante di luci” del Teatro San Carlo.

Un gioco di contrasti – tra chiarore e ombra, vero e visione, regola domestica e divertimento al rovescio – che è diretto discendente del Cunto de li cunti di Giambattista Basile.

Proprio come la protagonista dell’opera dello scrittore napoletano, la principessa Zoza, Titita pur rifiutandosi di crescere – “Non sarei mai stata grande io, né sarei miseramente perita; sarei piuttosto diventata una nana” – attraverso il racconto della sua infanzia, matura rincorrendo la sua immagine negli specchi – un’invenzione del Seicento cara a Basile quanto agli alchimisti dello stesso periodo – e distruggendo i suoi giocattoli per capirne il funzionamento – “Ma a me interessava il meccanismo a molle. Riuscii a smontare la scatola, a scrutare le interiora meccaniche. Mi esercitavo a comprimerle e allentarle” -. Tramite la costruzione di un racconto che si diverte a mischiare riferimenti dell’alta letteratura e delle fiabe popolari, Ramondino, come il suo antesignano Basile, fabbrica la finzione per inseguire la verità, il requisito necessario per accedere all’età adulta.

Guerra di infanzia e di Spagna è un romanzo che rimescola i piani del visibile, alternando il sogno al reale, come la sua protagonista cambia di continuo le lingue della sua infanzia – italiano, castigliano e maiorchino –; un’opera, per scrittura così ricca di visioni e storie, che posiziona l’isola Ramondino nell’arcipelago del fantastico.