Né guerra né pace per Napoleone in Russia

Quando penso a Napoleone in Russia, mi viene sempre in mente un’aula universitaria, dove qualcuno aveva appeso al muro una riproduzione del famoso quadro di Antoine-Jean Gros, Bonaparte al ponte d’Arcole. Incuriosito, all’epoca chiesi chi e perché avesse deciso di avere un ritratto di una figura così complessa in aula, ma non sono mai riuscito a saperlo.

Questo aneddoto è solo una piccola traccia dell’immagine di Napoleone nella cultura russa, e per cultura si intende anche la quotidianità. Una specie di compensazione karmica, per l’imperatore che, giunto sulla Poklonnaja gora (la collina degli inchini), si aspettava di ricevere gli omaggi delle autorità di Mosca, ma invece si trovò a marciare in una città vuota in preda alle fiamme, tragico preludio della sua fine politica. Il padre della letteratura russa del XIX secolo Aleksandr Puškin nell’Eugenio Onegin scrisse che

«Inutilmente Napoleone, ebbro per la sua recente fortuna, attese che Mosca gli si inginocchiasse, con le chiavi del vecchio Cremlino; no, la mia Mosca non andò a lui col volto del colpevole. Non feste gli preparò, né doni per accogliere l’eroe impaziente, ma l’incendio. Assorto nei pensieri, egli guardò di qui la fiamma terribile».

Eppure, due secoli dopo, la fascinazione per il grande corso è ancora presente, persino tra le pagine dei menù, che offrono tra i dessert la Napoleòn, una torta millefoglie inventata in occasione centenario dell’invasione del 1812, e anche nelle vicende sanguinose della cronaca nera. Nel 2019 un omicidio brutale scuote Pietroburgo e il mondo accademico: Oleg Sokolov, specialista di storia dell’età napoleonica e famoso anche per essere attivo nelle ricostruzioni delle battaglie d’epoca, uccide Anastasia Eščenko, giovane dottoranda e sua compagna. L’assassinio è brutale, lo storico, dopo una colluttazione in casa, smembra la ragazza e ne raccoglie alcuni resti in uno zaino che getta nella Mojka, uno dei canali di Pietroburgo. Dei passanti si accorgono di Sokolov, trovato nelle acque del canale mentre prova a far scomparire lo zaino, e la polizia poi scopre lo strazio del corpo della giovane donna diviso in più parti nell’appartamento. Insignito della Legion d’Onore nel 2003, lo storico spesso durante le ricostruzioni impersonava Napoleone, in una identificazione con il proprio oggetto di studio forse estrema, di sicuro parossistica e alla luce di quanto accaduto anche un bel po’ tetra.

Ed è inquietante pensare a come il delitto commesso da Sokolov abbia qualcosa in comune con il crimine più celebre della letteratura russa, sul piano psicologico. In Delitto e castigo la figura di Napoleone ricorre spesso, soprattutto dopo il crimine di Raskol’nikov. Il giudice istruttore Porfirij Petrovič, nei suoi dialoghi con il giovane assassino, a un certo punto esclama: «E via, basta! Chi da noi in Russia non si crede Napoleone, oggigiorno?», e disvela non solo la verità, ma il vero movente. Infatti, Bonaparte, uomo artefice del proprio destino, ritorna poi tra le pagine del capolavoro di Dostoevskij, come esempio da seguire, in un’ottica distorta che confonde il genio militare con il sangue versato della vecchia Alëna Ivanovna.

E Raskol’nikov non era stato nemmeno il primo «piccolo Napoleone» della letteratura russa. Già Puškin, come si è visto, aveva scritto dell’imperatore nelle sue opere, dall’Eugenio Onegin alla Dama di picche, e i suoi protagonisti sono affascinati e influenzati dall’esempio di Bonaparte. Nello studio di Onegin vi è «la colonnina con la statuetta di ghisa, con la fronte aggrottata sotto il cappello e le braccia strette conserte», ovvero una statuetta di Napoleone, idolo assieme a lord Byron del protagonista. Michail Lermontov a Bonaparte dedica un intero ciclo di poesie, e la presenza del suo spirito si avverte nelle gesta del protagonista di Un eroe del nostro tempo, Grigorij Pečorin, che in una scena del romanzo si addormenta del sonno di Napoleone dopo Waterloo.

Parlare di Napoleone in Guerra e Pace potrebbe apparire ovvio, ma non lo è, perché Tolstoj riesce a dar conto e voce delle varie rappresentazioni dell’imperatore francese. Pierre Bezuchov ne difende appassionatamente le azioni, fornendone spiegazioni e giustificazioni, perché si trattava di un grand’uomo in grado di domare la rivoluzione e di emergere dalla massa informe della storia. Anche il principe Andrej Bolkonskij inizialmente guarda a Napoleone come a un condottiero geniale, in grado di sottomettere grazie al proprio talento e a una ferma volontà i destini d’Europa, ma poi avviene una graduale rivalutazione in senso negativo, dove ad essere centrale è la «meschina vanità» della gloria terrena. Ferito gravemente, il principe assiste alla visita di Bonaparte, e in poche frasi definisce alcuni dei principali punti ricorrenti nelle opere di Tolstoj:

«Guardando gli occhi di Napoleone, il principe Andrej pensò alla nullità della grandezza, alla nullità della vita, della quale nessuno può comprendere il significato, e all’ancor maggiore nullità della morte, il cui senso nessun vivente può comprendere e spiegare».

Nella primavera del 1917 appare una breve nota sulla Pravda, giornale dei bolscevichi. A firmarla è Lenin, appena ritornato dall’esilio in Svizzera, e il titolo è inequivocabile, Alla ricerca di un Napoleone. Il leader bolscevico sottolineava la tendenza delle forze moderate e borghesi a cercare di convincere Aleksandr Kerenskij, figura di primo piano del Governo provvisorio costituitosi dopo la rivoluzione di febbraio, a diventare un novello Bonaparte, in grado di riportare ordine e disciplina nell’ex impero, senza però tornare all’ormai defunto sistema zarista. Lo storico russo Boris Kolonickij, probabilmente il maggiore studioso vivente del 1917, ha dedicato nel suo Compagno Kerenskij, recentemente tradotto da Viella, ampio spazio ai paralleli portati avanti tra il politico e il condottiero francese, citando, oltre alla stampa politica, i versi di Marina Cvetaeva sul Bonaparte russo e le inquadrature di Sergej Ejzenštejn in Ottobre, in cui si fronteggiavano due statuette dell’illustre corso, volto a raffigurare lo scontro tra Kerenskij e il generale Lavr Kornilov, ritenuti due aspiranti affossatori della rivoluzione. Uno dei primi a usare in senso polemico la categoria di bonapartismo è stato Lev Trockij, a capo del Soviet di Pietrogrado, e poi comandante dell’Armata rossa e oppositore di Stalin. Il ruolo avuto da Trockij durante il 1917 e nella guerra civile ha poi rovesciato su di lui i sospetti di poter diventare il «Bonaparte rosso», in grado di usare la posizione di comando militare e l’enorme prestigio per concentrare tutto il potere su di sé. Un altro genio militare accusato di ambizioni dittatoriali, Michail Tuchačevskij, fucilato poi nel 1937 durante il Terrore, sembrerebbe rispondesse alle dicerie sul suo conto con una frase eloquente: «Ma Napoleone non era un giacobino?».

Si dice che Stalin avesse letto la popolare biografia di Napoleone, scritta dallo storico Evgenij Tarle, ed è stato stabilito dagli studiosi che grazie al suo intervento due recensioni totalmente negative vennero successivamente criticate dalle redazioni dei giornali in cui apparirono. Per i sostenitori delle varie posizioni antistaliniane non vi erano dubbi al riguardo, il segretario generale era l’incarnazione sovietica di Napoleone, e a loro detta questa volta la storia aveva trovato il suo uomo non tra i militari, ma nella burocrazia di partito. Forse anche per questo di Napoleone non vi è mai una immagine totalmente negativa nella storiografia e nella letteratura d’età sovietica, probabilmente anche in continuità con le rappresentazioni contenute nei classici dell’Ottocento.

Forse è possibile dire che la leggenda napoleonica in Russia continua ancora oggi. Gli avvenimenti del 1812 vengono descritti come frutto della sagacia e della saggezza tattica dei generali russi, ma non vi è mai una sottovalutazione o una rappresentazione negativa di Napoleone. Anche le celebrazioni in occasione degli anniversari (l’anno prossimo saranno 210 anni dall’entrata della Grande Armée nei confini dell’impero russo) non hanno il tono di rivincita o di rivalsa sul grande sconfitto. Probabilmente perché Napoleone qui è visto ancora come l’idolo di Julien Sorel ne Il rosso e il nero di Stendhal e come l’esempio morale di Raskol’nikov, un uomo ambizioso, proveniente dalla provincia e da una posizione non di certo di prestigio, in grado di dominare la storia e di soccombere ad essa. Un uomo capace di essere al tempo stesso esempio e monito.