¿Para qué sirve un poeta?

Appuntamento a mezzogiorno alla Fundidora nel centro di Monterrey. Nello stato di Nueva Leon, in Messico. I murales in versi di Armando Alanís Pulido sono ovunque durante il tragitto. Appaiono come visioni fuggevoli su mura, recinti o tramezzi. Spiccano con lettere nere sullo sfondo di pareti bianchissime. Il messaggio che portano è breve, ma va dritto al cuore.

Sin poesia no hay ciudad/senza poesia non c’è città.

Una verità che brilla al centro di un continuo andirivieni di macchine, camion, autobus, passanti illegali e lampeggianti della polizia. Il messaggio che porta è chiaro. Corriamo in mille direzioni mentre la poesia sta lì ferma al centro di tutto.

Alto e distinto, Armando Alanís, arriva tutto incappottato con il suo tapaboca di protezione dal virus. Ha il passo di chi vuole sentirsi defilato anche quando semplicemente cammina. Lo elogio per i suoi graffiti di poesia che ho notato fin dalla prima visita in Messico. «Sì, questa delle iscrizioni sui muri è un’iniziativa che oramai risale al 1996. Quando presi un secchio di pittura, un pennello, le chiavi della macchina e cominciai a vagare per la città. Chiedevo il permesso al padrone del primo muro che capitava e scrivevo versi. Qualche volta incontravo pure delle resistenze dalle autorità ma il mio motto era il seguente: pedimos permiso y pedimos perdón/chiediamo permesso e chiediamo perdono. Fu così che iniziai a portare frasi poetiche nello spazio pubblico.

Mi aveva ispirato Octavio Paz, il poeta premio nobel del 1990, indicandomi la via con una frase che declamava questo: la poesía entra in acción».

Da allora ne sono capitate di cose. Ben 180 città del Messico sfoggiano murales firmati Acción Poética. Un logo oramai condiviso da individui e gruppi di persone in almeno 40 paesi nel mondo. «L’intenzione era semplice. Bisognava comunicare slogan che stessero dalla parte della Vita. Nasceva dalla convinzione che la poesia potesse salvare. In un contesto dove il linguaggio di tutti i giorni stava diventando sempre più violento, anche per i fatti di cronaca legati ai Narcos, bisognava contaminare il linguaggio di armonia, bellezza, e soprattutto eros stilnovistico. Per ripulirci da tutta quella paura che ci circondava. Questo penso sia il potere della poesia! Il suo dono». Le parole del poeta messicano hanno un valore radicato nel vissuto. Sono stati tanti gli anni di impegno per le strade di molte città.

«Queste mie iscrizioni sui muri sono per tutti. Dottori, operai, impiegati, donne, bambini e uomini. Sono leggibili quando uno va a scuola, o al lavoro, oppure quando si esce per fare visita agli amici o ai parenti. I murales sono lì, nel mezzo di un qualsiasi tragitto, simili a un’epifania che può dare conforto, ispirazione, o semplicemente una sensazione di sorpresa. Del resto, un dono viene accolto come si vuole. Da allora la mia missione è stata portare la poesia nella quotidianità. In modo chiaro. Diretto. I versi come in un rito devono farsi presenza nello spazio pubblico. Un altro spunto viene da Pablo Neruda quando sostiene che la poesia appartiene alla strada. Alla libertà di una recita in piazza.

Perché scriviamo? Se non per scoprire qualcosa dentro di noi che possiamo condividere con gli altri.

In questo momento così difficile, a causa del virus, sto dipingendo frasi che hanno a che fare con la pandemia col fine di portare un po’ di luce e sollievo in questa enorme tenebra collettiva. Sappiamo che la paura fa male alla salute. Ma sentirsi costantemente minacciati può mandare in rovina un intero paese».

È inevitabile non chiedere della pandemia, e Armando Alanís rimane ottimista usando Cervantes e le sue lotte: «Siamo diretti verso un grande cambiamento. È la chiamata universale ad essere individui più spirituali in quella che definisco la religione del cuore. Anche essere un buon esempio per gli altri è poesia. Comunicazione. Presenza quotidiana. Graffito in carne ed ossa che vive dello spirito delle cose. Quando il mondo esterno diventa proibito o invivibile entriamo per forza di cose nella dimensione interiore scoprendo che abbiamo un potere nascosto. Quello della creazione immaginale.

Rileggendo il Don Chisciotte di Cervantes ho avuto l’intuizione. In un tempo dove tutti i poeti di corte narravano di cavalieri, dame ed eroiche imprese, l’autore si fa burla di tutti i suoi contemporanei estraniandosi davvero nell’immaginario.

Allo stesso tempo stravolgendolo. Mi permetto di dire che gli slogan di Acción Poética sono chisciotteschi in quanto invadono la realtà aiutando a percepire il vivere attraverso la poesia. Sta poi a noi di decidere cosa fare con la nuova visione del mondo acquisita. A prima vista, un semplice slogan poetico può suggerire un minimalismo velleitario. Ma l’argentino Borges ci fa notare che un poeta spesso è ricordato per un solo verso passato alla storia. Quello che conta è il sentirsi connesso. In quel preciso momento si apre una finestra. E la nostra vita può prendere una piega diversa. Da dentro».

Armando Alanís ha lavorato nella ditta del padre per diversi anni, ha insegnato all’Università locale, ed è pure stato direttore di un museo. Nonostante gli obblighi, ha sempre scritto poesia nei momenti di libertà e nei ritagli di tempo senza fare dell’estro poetico un mercato di scambio. Nel 2015 è arrivato con i suoi murales fino a Mexico City dove l’hanno invitato a farne più di ventimila. In cinque mesi ne scrisse 1300. Poi arrivò il terremoto assieme alle sue urgenze e il progetto s’arenò. Armando sostiene che in una vasta realtà come quella della capitale appena si notano, ma che è stata un’esperienza importante. Formativa. Un vero dottorato della strada. Durante il quale, ha approfondito i principi della filosofia Zen. Applicandoli, in qualche modo, pure alle iscrizioni fatte sui muri. L’insegnamento fondamentale appreso è che tutto può essere inteso come un albero. Una cosa viva, in cui la vita intende fluire sino all’ultimo ramo.

Armando Alanís non scrive solo sui muri ma anche nelle pagine, come gli altri poeti, quelli che stanno a casa: Balacera, la sua raccolta, pubblicata dalla prestigiosa TusQuets editores nel 2016, affronta i Narcos e il terrore che spargono per il paese. «In Messico si scrivono molti romanzi sul narcotraffico perché è un genere che frutta. A volte, arrivando persino alla televisione o al cinema. Addirittura alla musica. Chiaramente, tutto dipende dall’originalità dei contenuti che uno esprime. Scrivere un libro di poesia ti colloca in un contesto diverso. C’è il prestigio, ma manca il mercato. Ti danno quei cinque minuti d’attenzione, vendi qualche centinaio di copie, e subito dopo avanti il prossimo. Di certo in un genere diverso che non sia quello poetico. Nonostante lo svantaggio iniziale, questo era un libro che sentivo di dover scrivere, ma che non ero contento di comporre. Spesso le notizie di cronaca dei giornali riportavano i nomi di luoghi come Durango, Sinaloa, o Sonora per gli eventi più cruenti. Ma dal 2008 al 2011, la città di Monterrey ha avuto la sua porzione di violenza. Un attacco a un bar fece venticinque morti, e l’assalto al Casinò creò un incendio, molte vittime e un vero panico nella comunità.

La parola balacera/sparatoria appariva quasi tutti i giorni sui giornali e la gente cominciava a usarla in modo disinvolto anche per frasi scherzose tra amici.

In ognuno dominava la paura. E soprattutto la sfiducia. Nella polizia, nel vicino, nel forestiero. Il linguaggio della violenza si stava quotidianizzando e in realtà la gente soffriva lo stato di permanente vigilanza che si stava instaurando fuori e dentro il corpo. Il libro è la cronaca di quello che ho visto, sentito, e vissuto in quel periodo. È una cronaca poetica di un momento triste della nostra città in cui avvertivo che persino gli odori dei luoghi erano diversi in quel clima così strano. Innaturale. Le poesie sono una mia versione dei fatti. Che nasce da dentro. Da un cuore che avverte la paura intorno».

Basta leggere qualche verso per catturare l’odore di polvere da sparo:

La vida es una ruleta y el azar la devastó más de lo necesario/La vita è una roulette e il caso la devastò più del necessario

oppure Mueren inocentes en fuego cruzado/Muoiono degli innocenti nel fuoco incrociato.  Il linguaggio dei titoli da giornale si mischia con la creatività lirica creando effetti insoliti, e a tratti iperbolici : Uno cosecha lo que siembra: hierba, terror, indiferencia/Uno raccoglie ciò che semina: erba, terrore, indifferenza. Compaiono molte delle parole che solitamente la cronaca tratta, ma in un contesto diverso, catartico per la lingua stessa. Sequestro, proiettile, giubbotto antiproiettile, cadavere, sospetto, rispetto (per i Narcos), sono uno zeta, il funzionario, lo scomparso. Allo stesso tempo si fa strada una chiamata a evadere da un carcere di notizie che ha congelato quotidianamente il cuore. D’altronde ¿Para qué sirve un poeta? se non per trovare una via alla dignità del mondo: Estoy seguro de que la felicitad estaba por aquí/Sono sicuro che la felicità era da queste parti.