Perché non riusciamo a fare a meno di sbagliare? La risposta nel nuovo libro di Daniel Kahneman

Mannaggia: ci stavamo faticosamente esercitando a distinguere i pensieri lenti da quelli veloci, cercando di utilizzare al meglio il sistema 2 (lento e razionale) del nostro cervello, in modo da schivare i famigerati bias cognitivi propri del sistema 1 (veloce e istintivo) che possono indurci a giudizi errati… (tipico esempio è il pregiudizio di conferma, il bias che ci porta a privilegiare le informazioni che coccolano le nostre convinzioni, primo artefice della diffusione delle fake news).

E invece…

Invece lo stesso autore di Pensieri lenti e veloci, il bestseller in cui svelava al grande pubblico le trappole insite nelle scorciatoie (euristiche) adottate dalla nostra mente, pubblica un altro libro in cui ci avverte che, quand’anche fossimo convinti di utilizzare il massimo delle nostre capacità razionali, molto probabilmente non saremmo esenti da errori, distorsioni e guai piuttosto seri, nel momento in cui giudizi importanti siano affidati a “esperti” quali medici, magistrati, organizzazioni economico-politiche etc.

Diagnosi sbagliate o “rumore”?

Il libro è Rumore – Un difetto del ragionamento umano (Utet, 2021), l’autore Daniel Kahneman, israeliano, docente a Princeton e unico psicologo ad aver ricevuto il premio Nobel per l’economia (2002), proprio per aver aperto la strada alla cosiddetta economia comportamentale, dimostrando che anche in campo finanziario decisioni apparentemente razionali possono essere condizionate da elementi assolutamente soggettivi e dunque non esenti da quei rischi che si vorrebbero evitare.

In Rumore, Kahneman si avvale della collaborazione di due coautori quasi altrettanto noti: Olivier Sibony, studioso e docente di processi decisionali, e Cass R. Sunstein, giurista, docente a Harvard ed ex consigliere di Barack Obama.

Che ci sia qualcosa che non funziona persino in quei giudizi che dovrebbero essere scolpiti nel marmo, è dimostrato dalla prima parte del saggio, anche con esperienze concrete. Come la ricerca sulle diagnosi elaborate sulla base dello stesso esame clinico da 22 medici presi a campione. Nella maggior parte dei casi il singolo medico non era d’accordo con se stesso a distanza di tempo: si va dal 63 al 92 per cento delle diagnosi modificate.

Errori e pregiudizi

Questo accade, secondo gli autori, per colpa del “rumore”. Così definiscono ciò che disturba le nostre decisioni: un insieme di variabili e situazioni ambientali e soggettive che compromettono i nostri giudizi; può includere i bias cognitivi, ma rispetto a questi è qualcosa di più e di diverso e maggiormente insidioso in quanto più difficile da distinguere, discutere e debellare.

In un’intervista a The Conversation UK, Kahneman ha spiegato con un esempio la differenza tra bias e rumore: “Prendiamo un analista delle impronte digitali che esegua in momenti diversi perizie sulla stessa rilevazione, dovendo decidere se è compatibile o meno con l’impronta dell’indagato. Se l’analista ha solo l’impronta digitale da guardare – e nessun’altra informazione sul caso – e decide in un’occasione che può corrispondere e in un’altra che invece è incompatibile, questo è rumore. Se, d’altra parte, l’analista cambia idea a causa di informazioni extra (ad esempio gli viene detto che le prove balistiche suggeriscono una conclusione diversa), questo è pregiudizio”. Entrambi sono un problema – dice Kahneman – “ma poiché il rumore può essere identificato solo nelle statistiche, è più difficile pensarci e quindi tende a non essere discusso”.

Le regole per (provare a) non sbagliare

Il libro prende in considerazione soprattutto la variabilità nelle decisioni che derivano dai sistemi destinati a produrre giudizi uniformi: dalle assicurazioni alla magistratura, dai medici agli esperti di economia. Giudizi che hanno un peso enorme sulla società. Tutti noi vorremmo virologi (e di conseguenza decisori politici) in grado di fornirci indicazioni se non proprio univoche almeno congruenti sulla pandemia.

Oppure vorremmo sentenze basate su un rapporto algebrico crimini/pene, e non su quanto i giudici abbiano mangiato a colazione. È famoso lo studio su 1112 udienze tenute in 10 mesi da otto giudici esperti del tribunale di sorveglianza israeliano da cui derivò la conclusione che tanto maggiore era la distanza dai pasti del collegio giudicante, quanto minore era il numero delle scarcerazioni dei detenuti.

Come mitigare o eliminare il rumore? Nella seconda parte del volume, Kahneman, Sibony e Sunstein danno una serie di suggerimenti, che potremmo un po’ pedestremente riassumere in una sorta di decalogo:

Sorvegliare il rumore, essere consapevoli che c’è e provare a correggerlo.

  • Resistere all’intuizione prematura, la sensazione di sapere qualcosa anche se non sei sicuro del perché lo sai. In alcuni casi l’intuizione è molto utile per prendere decisioni immediate. In altre situazioni meno critiche in termini di tempo, Kahneman afferma che i giudizi basati su sentimenti intuitivi devono essere disciplinati e ritardati.
  • Applicare linee guida, scomponendo il problema complessivo in tanti piccoli problemi oggettivi. Se i giudici si danno regola da seguire, il rumore diminuisce. In ambito medico può essere utile affidarsi a check list.
  • Utilizzare semplici modelli lineari che tengano conto delle variabili da considerare nel problema decisionale. Gli esperti sono bravi a catturare gli elementi su cui basare i giudizi, ma non altrettanto a calcolare i pesi che queste variabili devono avere nel giudizio.
  • Nei sistemi più grandi e organizzati può essere utile dotarsi di un osservatorio del “rumore”, con esperti che rintracciano il rumore ove si presenti per creare migliori ambienti di scelta ai nostri limiti di razionalità.

Macchine giudicanti

In questa tensione verso la razionalità esistono tuttavia due rischi. Il primo è la facile tentazione di affidarsi totalmente all’intelligenza artificiale, lasciando che siano le macchine a decidere e sperando così di scampare al rumore. Secondo Kahneman, che ha 84 anni, quel momento è ancora molto lontano: ”L’intelligenza artificiale”, spiega, “produrrà grandi problemi per l’umanità nei prossimi decenni e non è pronta per molti dei campi in cui è richiesto il giudizio”. A lungo termine, tuttavia, vede un mondo in cui potremmo “non aver bisogno di persone” per prendere molte decisioni: “Una volta che diventa possibile strutturare i problemi in modo regolare e accumulare dati sufficienti su tali problemi, i giudici umani potrebbero diventare superflui”.

L’altro rischio è quello di confondere le opinioni con i giudizi razionali: abbiamo bisogno delle prime come dei secondi. Un conto è la variabilità di giudizio: stessa radiografia, due diagnosi diverse, non va bene. Ma la diversità è altro, in molte situazioni la diversità di opinione è altamente desiderabile: “Il rumore è la variabilità dove non la vuoi“, sentenzia Kahneman.