Raul Gardini, l’anniversario della morte/2

Nella richiesta di archiviazione – datata 9 giugno 2003 – dell’inchiesta avviata l’anno prima dalla procura di Caltanisetta e che aveva visto finire nel registro degli indagati alcuni ex titolari di imprese edili collegate alla Calcestruzzi Spa del Gruppo Ferruzzi-Gardini con l’ipotesi accusatoria di concorso in strage (Sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Angelo Siino e Giovanni Bruca, si era ipotizzata l’esistenza di un interesse comune da parte di politici, imprenditori e mafiosi nel bloccare le indagini che i giudici Falcone e Borsellino stavano conducendo sull’illecita spartizione degli appalti pubblici), in diversi passaggi si parla della morte di Raul Gardini:

Nell’ambito del procedimento di indagine si sono approfondite le circostanze inerenti al suicidio di Raul Gardini (…) Non si è raggiunta alcuna certezza probatoria, tuttavia, l’epoca del tragico gesto autosoppressivo (23.7.1993), unitamente all’eseguita ordinanza di custodia cautelare adottata dal G.I.P. di Palermo38 che aveva accertato il coinvolgimento di un’importante azienda del suo Gruppo, la CALCESTRUZZI s.p.a. e degli uomini di vertice del Gruppo, nelle indagini che il R.O.S. dei Carabinieri aveva sviluppato, può far insorgere fondatamente la congettura che il suicidio abbia potuto avere tra le cause scatenanti, oltreché il tentativo di eludere la carcerazione nei procedimenti di Tangentopoli a suo carico, anche l’intento di non esporre il proprio nome a possibili collegamenti con l’orizzonte mafioso che proprio in quei frangenti stavano in qualche misura emergendo”.

E ancora:

Inoltre, altri elementi di suffragio provengono dalle informazioni del collaboratore di giustizia Angelo Siino (…): “Lei pensa che Raul Gardini si sia suicidato perché temeva un avviso di garanzia da Di Pietro o l’arresto per Tangentopoli? Ma via, un uomo forte e spregiudicato come lui! No, io credo che abbia avuto paura per le pressioni sempre più insistenti del gruppo mafioso sul carro del quale era stato costretto a salire, quello dei fratelli Nino e Salvatore Buscemi, legatissimi a Totò Riina che infatti nell’ultimo periodo è stato latitante sul loro territorio. Secondo me Gardini ha capito che non era più in grado di sganciarsi dall’orbita mafiosa in cui era entrato. (…) So di preciso che quando si trattò di assegnare l’appalto per la costruzione della strada San Mauro-Ganci, Nino Buscemi mi disse che il 60 per cento dei lavori doveva essere assegnato alle imprese del Gruppo Ferruzzi. E Lima mi ordinò di eseguire. Un altro imprenditore che aveva partecipato alla gara d’appalto fu spedito a Palermo con l’aereo personale di Gardini, e io feci in modo che andasse a ritirare la busta con la sua offerta. E so che Gardini si rivolse alla mafia per recuperare la salma trafugata di suo suocero. Bernardo Brusca mi disse che per quella vicenda a Napoli furono uccise tre persone”.

E infine:

Se l’ipotesi che il suicidio di Gardini si radicasse davvero, come sembra, in questi timori, sarebbe un ulteriore tassello dimostrativo dei profondi cambiamenti che il sistema delle connessioni fra politica, mafia e appalti aveva subito proprio fra il 1990 e il 1992, particolarmente in Sicilia e sarebbe rafforzata l’ipotesi di una strategia stragista messa in atto per impedire quel salto di qualità nelle indagini sugli appalti che avrebbe fatto affiorare i nuovi intrecci politico-mafiosi molto tempo prima o, comunque, contestualmente alle indagini su “Tangentopoli”. Qui si annida quella convergenza di interessi fra “cosa nostra”, intenzionata a vendicarsi di Giovanni Falcone in quanto artefice del maxiprocesso che per la prima volta aveva fatto infliggere severe condanne al gotha della mafia e i gruppi imprenditoriali e finanziari che erano ormai avvitati agli interessi mafiosi”.

Indagini, quelle di Falcone, che Paolo Borsellino stava portando avanti.

Le stragi, i suicidi veri o presunti, il denaro, la politica, la malavita finiscono sempre per avere snodi comuni. O almeno c’è sempre il dubbio che li abbiano.

Questa lunga premessa per arrivare al romanzo di Gianluca Barbera: L’ultima notte di Raul Gardini (Chiarelettere editore), uscito a inizio 2022. Un libro che, mescolando molta storia vera con alcuni personaggi di finzione e qualche dettaglio di fantasia, racconta la storia di Raul Gardini e delle sue due famiglie: quella di origine e quella “acquisita” grazie al matrimonio con Idina, ovvero la famiglia Ferruzzi.

E che, ovviamente, racconta anche la sua morte, per la giustizia italiana un suicidio, per alcuni un omicidio. I cui mandanti, come ricorda l’autore nel libro potrebbero essere stati legati alla mafia, ma anche ai servizi segreti e alla politica.

Barbera (che è anche uno dei vincitori dell’ultima edizione del premio di letteratura avventurosa Emilio Salgari con Mediterraneo, Solferino, 2021), però, non si fa portavoce di nessuna ipotesi. Si limita a dire che “ la sua morte ha fatto comodo a molti”. E, nel finale del romanzo, propone “una ricostruzione plausibile”, che, ovviamente, non sveliamo.

Il romanzo si apre in piazza Cinque Giornate, a Milano, il 23 luglio 1993, alle ore 9.01.

Due lettighieri di un’ambulanza stanno ascoltando un canale di musica jazz pur di evitare le news ossessivamente incentrate su “Craxi. Di Pietro. Mani pulite”, quando ricevono una chiamata: “C’è una persona da soccorrere”. “Arresto cardiaco. Dovete correre”. L’indirizzo è Palazzo Belgioioso, la residenza di Raul Gardini.

Mentre guidano a sirene spiegate per il centro di Milano, uno dei due non riesce a togliersi dalla mente una frase che aveva sentito pronunciare dall’imprenditore qualche tempo prima: “L’opinione degli altri per me non conta nulla, solo la mia importa”. Si domanda: “Che razza di uomo poteva dire una cosa simile? Non poteva essere solo presunzione. O forse erano parole di uno che capiva il mondo?”.

Una domanda che potrebbe appartenere allo stesso Barbera. In un’intervista, l’autore ha ricordato come, a prescindere dal giudizio morale, Gardini fosse un uomo di grandi ambizioni e idee coraggiose: “L’idea di puntare su un combustibile ricavato dagli scarti agricoli, mettendo insieme le grandi tenute agricole da un lato e l’industria chimica dall’altro, avrebbe avuto come conseguenza una riconversione industriale globale. Chi vuol fare grandi cambiamenti si trova ad affrontare molti ostacoli”. E a farsi molti nemici.

Barbera è puntigliosissimo nella ricostruzione dei fatti. Pezzi di un puzzle enorme che fa mettere insieme al protagonista fittizio del romanzo (ma ispirato a un vero cronista): il giornalista Marco Rocca. Esonerato dal suo direttore dall’occuparsi di Mani pulite, Rocca decide di andare avanti per conto suo e raccogliere abbastanza materiale da pubblicare un libro sulla storia della famiglia Ferruzzi e su Gardini.

Per riuscirci si fa dare una mano dal fratello, che fa parte del nucleo investigativo della questura, e da un amico che aveva lavorato per i servizi e, poi, come responsabile della security di Gardini. E incontra uno alla volta quasi tutti i protagonisti della vicenda: la vedova Idina, Antonio Di Pietro che quello stesso 23 luglio avrebbe dovuto interrogare Gardini, l’avvocato Giovanni Maria Flick, il fratello Arturo, il figlio Ivan, e molti altri.

Barbera fa apparire nelle prima pagine anche Enrico Cuccia, grande avversario dell’imprenditore. Rocca lo incrocia mentre lascia la casa della famiglia dove è riuscito a intrufolarsi poco dopo il ritrovamento del cadavere. Lo inquadra: “Guance smunte, giacca grigia sbottonata ma composta, camicia azzurra, cravatta nera a lutto, il banchiere si fermò. Diede un’occhiata periscopica al palazzo, annuì, poi riprese a camminare con passo meccanico, le mani annodate dietro la schiena come pitoni”.

Il romanzo, attraverso i racconti dei vari testimoni incontrati da Rocca, ricostruisce molti episodi anche del passato, dall’infanzia di Gardini, ai suoi viaggi in stile Indiana Jones.

Memorabile quello in Brasile del 1965 (Che aveva raccontato più volte al figlio Ivan e che lui riporta a Rocca), in cui lui e Serafino Ferruzzi – che perlustravano la zona a bordo di un Cessna – furono costretti a un atterraggio di emergenza nella giungla.

Un’avventura nella quale non mancano scorpioni velenosi e cannibali. Ma anche un’altra occasione per dare fastidio quando, tempo dopo, durante uno dei suoi frequenti viaggi di lavoro a San Paolo Gardini, memore di quell’esperienza, segnalò “alle autorità il villaggio Tupi quale luogo di produzione e centro di smistamento della coca in quell’area. Si fece molti nemici laggiù. Nemici molto pericolosi e vendicativi”.

Ma tornando a quell’ultima notte, Gardini si è suicidato? Temeva davvero che il suo nome – come ipotizzato nella richiesta di archiviazione riportata all’inizio – potesse essere collegato “all’orizzonte mafioso”? Oppure è stato ucciso? E, in questo caso, fra i tanti che avrebbero tratto giovamento dalla sua morte, chi ha “premuto il grilletto”?

Barbera non risponde perché non può. Ma la sua ipoteca e verosimile ricostruzione dei fatti è un ottimo motivo per arrivare all’ultima pagina.