Scritti pellegrini (nel deserto del Messico)

Tenere duro. Ascoltare il sasso che rotola lungo il sentiero o il nostro passo che bisbiglia al pendio: poco importa. Le terre camminano sempre assieme al mondo e la sua circolarità di sintonie ed eventi. Tenere duro. Crederci è la parola d’ordine. Per legare alla realtà del Grande Uno. A quell’immenso oceano di cui siamo solo onde che emergono per un breve tratto di mare. In altre parole, la Vita che palpita dal cuore della sua Radice più profonda. Una chiamata innata e universale per tutti gli uomini attraverso la pratica spirituale. Lungo tutti i punti cardinali. Attraverso tutte le fedi autenticamente vissute. Quella Sufi nell’Islam, quella Zen nel Buddismo, quella Mistica nel Cristianesimo, quella della Cabala nell’Ebraismo, quella dello Yoga nell’Induismo.  Vere purché ci sia il legame, il contatto col cuore.

Sono entrato nella chiesa cattolica nel tardo pomeriggio e mi sono seduto in mezzo alla gente prostrata in adorazione. In qualche modo, sembrava che i Re Magi fossero qui a Real de Catorce dopo più di due mila anni dal loro passaggio. Di certo, nel loro spirito. Rapito, non da un fatuo sentimentalismo, assisto a un’intera famiglia di giovani assieme a una madre che recitano il Mantra Cristiano del Rosario. La ragazza seduta al centro offre la litania di incipit a cui gli altri seguono con tono sobrio, discreto, amabilmente garbato. Come se mormorassero a quel loro Dio, Uno e Trino, ed in ogni luogo; la complicità di un messaggio. Una mano aperta verso un Mistero che è presente anche qui tra le pendici riarse di un deserto d’altura dove i sassi sputano sete. Ma non c’è da meravigliarsi. La chiamata può essere ovunque nei transiti di una Vita che a volte ci chiama a uscire dal mondo. Consapevolmente.  Tenere duro. Crederci. Prosegue l’andirivieni di passi e credenti. Una donna indigena che appena mi arriva al torace s’avvicina a un inginocchiatoio con la nipotina e una candela ben stretta tra i pugni delle mani. È forte quella presa come il suo volto. Determinata. Anche in ginocchio le due bisbigliano scambiando gesti minimi dentro una solenne intimità. Sembrano complici di un sentire che è già proiettato altrove rivelando una dolcezza nel contegno che è spoliazione. Un allontanarsi da ciò che in realtà non conta poi così tanto. Perché farsi piccoli piccoli aiuta a entrare in un qualcosa che è davvero grande grande. E che ci fa sentire Vivi. Non più alla mercé del caso. Testimoni di un senso. Quel Regno di Dio che Cristo indicava nel cuore e che la pratica Zen indica nel Vuoto. In un angolo della Chiesa, mi ritrovo di fronte a una statua di Sant’Antonio da Padova: il santo prediletto di mia madre. S’erge in una nicchia tutta colorata di celeste e stellata d’oro porgendo uno sguardo rassicurante a chi è ancora in viaggio quaggiù nei meandri terreni.

Esco dall’edificio passando di colpo nell’afrore di una giornata dove il sole brucia con ardore. Cammino in giro per il centro annusando il luogo e le circostanze di questa mia visita. Presto salirò al Quemado per la quinta volta. Un anniversario speciale che sa resistere al tempo. Al suo scorrere deciso. Tenere duro. Crederci. Mi ripeto ancora. Anche in un vasto oceano, l’incenso di un gesto o di una preghiera può risvegliare una qualsiasi anima in cammino dando vita a un qualcosa giù nel sentire che connette. Che apre una porta. Facendo viaggiare lontano, ben oltre le onde. Fino ad essere accolti nel biancore della pace.

(Ispirato da una lettura di Willigis Jäger)

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Salire al monte. Facendo anima. Non è cosa di tutti i giorni. Perché l’anima richiede attenzioni e tempi diversi dal nostro solito praticare la Vita. Svegliarsi al rumore di una sveglia, vestirsi, fare colazione, uscire attraverso una porta col fine di perdersi in un labirinto di strade che connettono al mondo del dare per avere. La dimensione materiale dell’esistenza. Per fortuna, esiste anche dell’altro in questa meraviglia di mondo. E grazie al cielo, l’anima a ben vedere non risulta solo una cosa appiccicata al corpo che ogni tanto scalpita attenzioni. Al contrario, come suggeriva il poeta John Keats la si genera a piccole dosi diventando gradualmente consapevoli di questo nostro vivere. Salire al monte è senz’altro una delle tappe. Perché la montagna offre sempre l’opportunità di una breve ascesi, di un distacco dal mondo che aiuta a riflettere e a prendere coscienza di dove veniamo, di chi siamo e soprattutto di dove stiamo andando.  Ma salire alla cima cerimoniale del Quemado dove è nato il sole, e per la quinta volta, richiede davvero delle attenzioni speciali assieme al consueto digiuno. Oramai mi sento ben connesso al luogo, dentro e fuori, riconoscendo le tracce polverose dei sentieri, i volti delle guide a cavallo, e il respiro affannato che accompagna i miei passi intorno ai tremila metri. Anche il numero cinque significa qualcosa di profondo e vissuto. Corrisponde ai cinque colori dell’anima, alle quattro direzioni a cui s’aggiunge il viaggio al centro. A quella vibrazione del cuore tanto rivelatrice. A cosa si riferisce tutto questo? Al sentirsi vivo e parte del tutto (il giallo), all’avvertire intuitivo del momento propizio (il verde), al vedere attraverso le cose dove le energie sottili portano (l’azzurro), al sentire passione e gratitudine per la vita (il rosso), ed infine a quella centratura al di là delle voraci torme del desiderio e delle paure (il bianco).  Lassù è il sole al centro delle nostre attenzioni. I suoi moti, la sua energia creatrice, i suoi potenti alleati: i pianeti. Si parla molto oggi di sciamanesimo, di curanderia e di altre pratiche spirituali antiche. E senz’altro sappiamo che esisteranno sempre individui chiamati all’antica arte della guarigione sparsi ovunque sulla crosta terrestre. Tale radice è insopprimibile. Ma sappiamo pure che la chiamata alle cure del corpo, della mente e dell’anima è vista, dove si trova riconosciuta da una comunità, con rispetto e timore. Perché è una chiamata a una vita di sacrifici. Al servizio del prossimo senza alcuna prospettiva di vantaggi materiali. D’altronde, le forze spirituali che guidano un qualsiasi sciamano/a convivono solo nel cuore di un individuo che si sottopone a un lungo tirocinio rinunciando alle piccole gioie della vita mondana. Il vivere nella natura selvatica, la dieta, gli orari di veglia e del sonno, la pratica dell’attenzione e dell’intenzione ne occupano e plasmano l’interiorità notte e giorno. Anno dopo anno. Non come proibizionismi bensì come progressive consapevolezze delle energie che presiedono il dono della Vita. I suoi equilibri. Per il curandero/a non ci sono protocolli, orari d’ufficio o diplomi e pergamene da esibire. C’è solo il compito di trovare una via alla salute, a un rinnovato equilibrio, in chiunque richieda il suo aiuto. Partendo semplicemente dal respiro, dalla voce. Dall’unicità del momento in cui s’incontra qualcuno. Perché ciò che si manifesta oggi è unico e irripetibile. E lo spesso vale per il domani che può ritrovarsi più o meno in sintonia coi moti invisibili del Cosmo e delle sue stagioni. D’altra parte qualsiasi guarigione o crescita risulta sempre frutto di queste universali consapevolezze ed influssi sottili. Arrivato in cima alla montagna del Quemado cammino nel labirinto costruito per le cerimonie in senso anti-orario per mettermi in armonia col moto solare accentrando quelle sue forze in direzione del cuore. E il cuore in risposta non solo pompa sangue ma pure s’apre come un fiore di loto per svelare aspetti dell’anima e della sua natura profonda. Del resto, è la stessa forza del moto solare ad accompagnarci in quell’oltre. Promuovendo un importante passaggio interiore. Un miracolo che si ripete tutti i giorni con l’alba e il tramonto, oppure durante gli equinozi e i solstizi per le stagioni, come pure per quei cicli cosmici di lunghissima durata come il passaggio del sole di un’intera galassia. È avvenuto nel 2012 quando un intero ciclo si è compiuto dopo 25.600 anni accompagnandosi da mille preoccupazioni e pronostici che andavano dal catastrofico all’evolutivo. In questo complesso panorama, esiste chi sostiene che un cambio sì c’è stato ma nell’avvicendarsi delle due energie fondamentali della Creazione: ovvero quella mascolina e quella femminina. Nel 2012 la femminina avrebbe preso un ruolo guida aprendo la strada a degli enormi cambiamenti nelle coscienze degli uomini e a un vero salto quantico dell’intero pianeta. D’altro canto, tutto ciò che è vivo ha spirito e possiede una connessione a uno stato vibrazionale più o meno lento.  Bisogna però evidenziare che i termini mascolino e femminino non si riferiscono ai generi di esseri animati e del loro sesso bensì a due diverse tipologie energetiche dalla cui cooperazione l’Universo starebbe promuovendo un nuovo paradigma in cui gli esseri possano risvegliarsi più vicino alla Coscienza Universale. Esprimendo maggiore creatività, empatia ed armonia con l’intera dimensione della Creazione. Visione peraltro suggerita anche da Gustavo Rol nei suoi ultimi scritti. Ci vorrà tempo, e le crisi s’alterneranno alle crescite ma il nostro destino ultimo sembra proiettato proprio nella direzione evolutiva di una resurrezione planetaria presagita anche nei testi biblici.

Per il momento, a noi non resta che salire al monte, facendo anima con una semplice cerimonia. Considerato poi che seduti in un luogo naturale e appartato si genera già un piccolo risveglio, basta chiudere gli occhi e ascoltare il vento per rendersi ricettivi alle energie del momento. Alle sue mille voci e ai tanti fruscii che non ci disturberanno. Consapevoli che il mondo parla perché sta cambiando. E noi assieme ad esso.

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Lo scrittore Massimo Maggiari ha pubblicato lo scorso anno per Giunti il libro Leggere nel cuore. I segreti di un curandero, nel quale raccontava il suo viaggio nel deserto del Messico settentrionale per incontrare Don Mateus, un noto curandero che abita in un villaggio della Sierra a più di duemila metri. Questo articolo per Tortuga magazine è stato scritto in quello stesso deserto.