Se il delitto è risolto ma resta inspiegato

Due ragazzi di buona e ricca famiglia rapiscono, senza motivo particolare, un bambino e lo uccidono.

La storia potrebbe essere avvenuta ovunque, in Italia ancora c’è memoria del Circeo, dell’orribile sorte di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, nelle mani dei coetanei aguzzini.

È successa negli Stati Uniti, a Chicago. E si è svolta quasi un secolo fa, nel 1924. Fu una vicenda di cui si parlò molto, tanto che nel 1948 Alfred Hitchcock vi si basò per il suo film Nodo alla gola.

Ma oggi, ormai assuefatti al genere noir, reiterato in serie, perché un lettore dovrebbe appassionarsi?

Non per l’indagine: i colpevoli li conosciamo subito, sappiamo già che – nonostante goffi tentativi di depistamento – saranno presi e portati in tribunale. Certo, alcune modalità possono stupire, come quando gli indagati vengono invitati al ristorante a cena con i poliziotti. D’altra parte, i papà sono ricchi, i rampolli hanno tutto, e perché mai dovrebbero essere diventati assassini?

Eppure è successo davvero. E da questa vicenda Meyer Levin ha tratto nel 1956 Compulsion. Anticipatore di quasi un decennio del Truman Capote di A sangue freddo, il libro esplicita l’appartennza a un nuovo genere di romanzo verità già dalla copertina, che ritrae i due protagonisti Richard Loeb e Nathan Leopold.

L’autore ha cambiato loro il nome, ha dato spazio al personaggio del compagno, giornalista alle prime armi che indaga e cerca di capire. Ma per il resto ha fatto un lungo resoconto di ciò che avvenne, prima dell’arresto e durante le sedute in tribunale. Dove i due si giocavano la pena di morte o l’ergastolo.

Pulsione, ossessione, coercizione: tutti questi significati convivono in Compulsion.

E se 580 pagine vi sembrano troppe per un atto gratuito che sappiamo già come va a finire, vale però la pensa di provare a impegnarsi.

La lettura corre rapida dal tratteggio dei protagonisti alle loro storie familiari e personali, dagli errori commessi al senso di impunità assoluto. Per passare poi in aula, dove più che i testimoni si avvicendano (e scontrano) i periti, di parte e del procuratore.

Il crinale per la difesa è sottile: non bisogna far passare Loeb e Leopold per incapaci di intendere e di volere, perché in questo caso il verdetto per legge dovrebbe essere affidato alla giuria popolare, i cui umori hanno già condannato i ragazzi alla forca. Al tempo stesso, non li si può far accreditare come completamente lucidi, altrimenti anche il giudice più benevolo non potrebbe risparmiare loro la pena capitale (Alla figura del loro avvocato Clarence Darrow, che li salvò dalla pena di morte, è dedicato un altro film, Darrow, con Kevin Spacey, del 1991)

Fra l’uno e l’altro estremo, si cimentano psichiatri di chiara fama. Quanto il contesto incide sulla formazione di un uomo? Quanto certi sogni di chiaro stampo omosessuale possono avere travisato la visione della realtà? Come si può affermare che questi due 18enni intellettualmente geniali, primi in tutto, poi in realtà abbiano la maturità emotiva di un bambino? Sono temi perfetti per un lettore che studia psicologia. Ma anche per chi abbia la curiosità di sbirciare nel pensiero di un secolo che si era inaugurato sotto il segno di Freud e che però (e su questo il libro lancia forti suggestioni) stava avviandosi verso violenze e assassinii ben più incomprensibili.

Senza dimenticare il dibattito che si apre sul senso della pena di morte: discuterne un secolo fa nell’Illinois non era quanto di più scontato si può supporre. O forse è il nostro secolo a trovarsi più indietro di quanto ci illudiamo, con 13 Stati Usa che ancora prevedono l’esecuzione capitale. In Illinois è stata abolita solo nel 2011.