Sky Rojo, i nipotini di Almodovar

«Per le generazioni più giovani è difficile immaginare quale fosse davvero la vita in quell’epoca di ideologie totalitarie. Gli ideali condivisi che agitavano eserciti, movimenti politici giovanili o sindacati, oggi sono praticamente scomparsi. Le passioni e gli odi di quell’epoca sono agli antipodi del rispetto, dei diritti e della sicurezza delle società di oggi. Quel passato è davvero «un altro mondo». La Spagna stessa è cambiata completamente in pochi decenni. La sua uscita dalla guerra civile e dall’era franchista è stata una delle trasformazioni più sorprendenti e impressionanti di tutta l’Europa. Ecco, forse, perché non è saggio tentare di giudicare il terribile conflitto di settant’anni fa con i valori e gli atteggiamenti progressisti che oggi noi accettiamo come normali. Dobbiamo fare uno sforzo d’immaginazione per cercare di comprendere le convinzioni e gli atteggiamenti del tempo: sia i miti nazionalisti cattolici sia il timore del bolscevismo della destra sia la convinzione della sinistra che la rivoluzione e la redistribuzione della ricchezza avrebbero portato alla felicità universale». (Antony Beevor, La guerra civile spagnola, RCS libri)

Premetto: gli spagnoli mi stanno antipatici. Così, mi stanno antipatici e basta. Però sono stato un fan del primo Almodovar: per intenderci, pre-donnesullorlo, quello della movida madrileña, quando movida non significa soltanto un branco di fessi intorno a uno spritz ma rinascita culturale. Da Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio Matador e fino allo stupendo La legge del desiderio, Almodovar ha rappresentato una sincera, autentica rivoluzione, più che culturale, morale. Poi, ovviamente, gli spagnoli sono tornati a starmi antipatici, se escludiamo l’horror, nel quale sono davvero fortissimi. Potete quindi capire che mi sono approcciato a Sky Rojo, la serie di questa settimana, con la ferma intenzione di concionare per ore sulla ciucciaggine iberica, soprattutto visto che cinque autori su sette della serie sono responsabili (non penalmente, purtroppo) di quella che considero la ciofeca di tutte le ciofeche: La casa di carta. E in effetti si vede: i difetti sono gli stessi in tutte e due le serie. Il più fastidioso è quello che noi al Sud chiamiamo il fare a vedere, vale a dire, in senso lato, darsi delle arie ingiustificate. Sei spagnuolo? E fai lo spagnuolo, benedetto. E invece no: si scopiazza senza vergogna Tarantino e finanche Spike Lee, con attori che giocano a fare gli americani e invece non fanno che amplificare l’effetto Nando Mericoni, solo col chorizo al posto del maccherone. Intendiamoci: non è che siccome una serie è spagnola gli attori sono obbligati in continuazione a mangiare paella e a fare gli splendidi negli Erasmus suonando le nacchere: ma manco imitare John Wayne, però.

Ora, non è che in Sky Rojo le americanate non ci siano, eh, a cominciare dal bordello in cui la storia inizia, praticamente uguale al Titty Twister in Dal tramonto all’alba di Robert Rodriguez: ma ci sta. A differenza de La casa di carta, qui le citazioni sanno di citazioni e non di plagio, e te le godi senza aver voglia di andare per le vie di Madrid col deliberato e metodico proposito di togliere il cappello di testa alla gente. Dicevamo, la storia, che è abbastanza semplice: tre prostitute scappano dal bordello dove le tiene prigioniere un pappone logorroico e poco credibile e vengono inseguite da due sgherri del suddetto macrò. Praticamente Thelma & Louise con donnine allegre al posto delle casalinghe. Tutto qui, direte? Beh, sì, ma devo dire che la serie fila via abbastanza liscia, senza presunzione e con parecchia (si vede) voglia di cazzeggio e di ironia, che poi è la conditio sine qua non se ti vuoi avventurare in una storia del genere, come faceva appunto il primo Almodovar, che pescava a piene mani dovunque gli capitasse, dal melodramma al grand guignol, senza mai prendersi troppo sul serio. Il cast: molto brave le ragazze, e l’impressione è che, andando avanti con le puntate, e riducendosi progressivamente le tarantinate obbligatorie, insomma dando loro la chance di recitare in libertà, migliorino parecchio. Brava la coppia di scagnozzi: soprattutto Enric Auquer, che regge molto bene il contrasto col più famoso Miguel Ángel Silvestre, che ricordiamo in Sense8 e in Narcos. L’unico personaggio davvero sopra le righe, perfino in questo contesto, è il pappone, e infatti è recitato davvero male da un pessimo Asier Etxeandía: siamo ai livelli di Stanis La Rochelle, per capirci. Detto questo, Sky Rojo si può vedere, a patto che teniate basse le aspettative e che vogliate soltanto rilassarvi un po’ senza star lì a riflettere troppo. Con questi chiari di luna, non è poco. Su Netflix.