The Sons of Sam: A Descent Into Darkness. Il Diavolo e il serial killer

«Se ci ripenso, gli indizi erano chiari. Però li ho ignorati per quattro mesi, e non ne ho parlato per almeno due anni. Non riuscivo neanche a prendere in considerazione l’idea del coinvolgimento di un culto satanico negli omicidi. 44: all’inizio delle mie indagini la consideravo troppo bizzarra. Certo, quei gruppi esistevano davvero. C’era un’ampia documentazione da tutto il paese. Ma la mia teoria iniziale verteva sul coinvolgimento di un singolo complice. Francamente, non volevo affrontare le implicazioni o le conseguenze, di un’ipotesi che comprendesse più cospiratori. Di conseguenza, ho continuato a ignorare i segni. Ma, inevitabilmente, sono stato riportato nel web. E dopo un po’ ho capito che dovevo accettare l’inaccettabile. (…) Berkowitz disse: Uccidendo quelle persone ho salvato molte vite. Presto o tardi capirete. Le persone vogliono il mio sangue ma non vogliono ascoltare quello che dico . . . Ci sono altri Figli là fuori – Dio aiuta il mondo». (Maury Terry, Ultimate Evil: The Truth about the Cult Murders: Son of Sam and Beyond)

La serie di questa settimana, The Sons of Sam: A Descent Into Darkness, tratta, ovviamente dei delitti della calibro 44 e di David Berkowitz. Premessa: se non avete voglia di vederla, vi capisco. Negli anni, del Figlio di Sam, si è molto parlato e molto visto, dal film di Spike Lee fino alla parodia che ne fecero Seinfeld e David (The Summer of George, Seinfeld, ultimo episodio dell’ottava serie, 1997). Uno si scoccia, una volta che sa la storia e se l’è vista servire mille volte. Il bello di questa serie, però, è che non parla tanto di Berkowitz quanto del giornalista Maury Terry, che a vederlo ora, lo confesso, fa anche un po’ ridere. Un po’ è colpa degli abiti e delle pettinature bielorusse di quegli anni, che facevano sembrare uno scemo perfino Robert Redford, un po’ è che a Terry mancava proprio il fisico del ruolo, con quel faccione paffuto dal quale ogni tanto emergeva l’occhietto del complottista invasato. A lui, dopo un po’ la tesi che ci fosse un solo Figlio di Sam dietro gli omicidi di quell’estate che sconvolse New York, smise di stare simpatica, e in effetti, guardando la serie qualche dubbio viene anche a noi. Ci sono, e Terry non è più il solo a dirlo, delle cose che non tornano. E non tranquilizza la tesi della Polizia della Grande Mela, alla quale faceva molto comodo chiudere il caso il prima possibile e prendersi il merito di aver acciuffato Berkowitz («In fondo è bastata una multa a incastrare David Berkowitz, il figlio di Sam», scrive Stephen King in Mr. Mercedes). All’inizio, Maury Terry è decisamente un giornalista con una fissazione: scoprire tutto il possibile sui delitti del 1977: niente di insolito, anzi. Poi, piano piano, mentre le sue indagini procedono (in direzioni che chi conosce bene la storia saprà già, e che agli altri che ci leggono non anticipiamo), comincia a cercare in tutti i modi conferme alle sue teorie. E lì commette il suo grande errore: parlare dell’esistenza di una setta satanica dietro agli omicidi. È lì che smette di essere davvero preso sul serio. Scriveva Calvino che «la Scrittura per renderci più attenti ci avverte che non è un solo diavolo a farci la guerra né un piccolo numero, ma una grande moltitudine […] Ci viene insegnato che dobbiamo combattere con una moltitudine infinita di nemici così da non essere disattenti, quasi avessimo qualche istante per riposarci».

È che la cultura laica ha relegato il Diavolo tra le credenze, e questo va bene: quello che non va bene è pensare che in nome di qualcosa che non esiste si possano effettivamente commettere dei delitti. Mi spiego: esiste una St. John Coltrane Church, e esistiamo noi fan di Coltrane. E se domani molti di noi amanti di A Love Supreme decidessimo di sparare a tutti quelli a cui piace Gerry Mulligan, la gente non avrebbe riserve mentali a crederci. Col Diavolo invece no, le resistenze sono molto più forti, e molti di noi non capiscono che si possa essere degli stronzi assassini sadici anche vestiti con tuniche nere e maschere da caprone. O ci crediamo ciecamente, al Diavolo, o lo rimuoviamo, e derubrichiamo i suoi adoratori (che ci sono anche se molto meno intelligenti di noi Coltraniani) a degli innocui buffoni mascherati dediti a riti idioti. Fatto sta che le tesi di Maury Terry, in alcune parti, sono valide. In altre no, e però è anche vero che la confessione di Berkowitz viene messa in discussione ancora oggi. Questo è, per sommi casi, The Sons of Sam: A Descent Into Darkness, dove a scendere all’inferno non è Berkowitz ma il povero Maury Terry, tra l’altro con la voce di Paul Giamatti nella sua stupenda interpretazione della voce di Paul Giamatti. Da vedere, su Netflix.