The Stand, l’abitudine alla delusione

«Secondo un’altra notizia, sulla costa orientale pareva si stesse diffondendo un’epidemia di influenza, del ceppo russo, niente di realmente preoccupante, fuorché per le persone molto anziane o molto giovani. Venne intervistato un medico di New York dall’aria stanchissima. Disse che l’influenza era straordinariamente tenace per essere di ceppo A-russo e raccomandò vivamente ai telespettatori di prendere farmaci antinfluenzali. (…) La telecamera tornò a inquadrare l’annunciatore in studio, il quale disse: Si ha notizia di alcuni decessi a New York a seguito di questa recente epidemia di influenza, ma nella maggior parte dei casi mortali si è altresì notata la presenza di cause concomitanti quali l’inquinamento urbano e forse persino il virus dell’AIDS. Funzionali del ministero della Sanità fanno presente che si tratta di un’influenza provocata da virus di ceppo A-russo, non già della ben più pericolosa influenza suina. Nel frattempo vale sempre il vecchio consiglio dei medici: mettersi a letto, riposare molto, bere liquidi e prendere aspirina per abbassare la febbre. L’annunciatore sorrise rassicurante… e, fuori campo, qualcuno starnutì».

(Stephen King, L’ombra dello scorpione)

Tra i tanti, tantissimi motivi per amare il Re (Stephen King), il fatto che abbia subito negato che tra il suo romanzo e il Covid-19 ci fosse un qualche, seppur lontanissimo, legame, è soltanto l’ultimo. Non so voi, ma io trovo sempre meraviglioso il fatto che uno scrittore, per vendere i suoi libri, pensi che sia necessario scrivere bei libri e basta. E The Stand cioè L’Ombra dello Scorpione è davvero un gran libro, in tutte le sue versioni (King ne ha fatte uscire almeno un paio, fanatico com’è). E ora arriva, attesa quanto temuta, la serie, che potete vedere su Starz Play, uno dei nuovi canali di Amazon Prime Video. Dico temuta perché in genere King non ha molta fortuna sul grande e piccolo schermo, e non parlo di fortuna commerciale. Anzi, tolti i pochi capolavori (penso ai film di Darabont, il regista che maggiormente gli ha reso giustizia, e a quello di Reiner), dai libri del Re sono generalmente uscite fuori delle solenni schifezze; quando ci andava di lusso, parecchia roba un po’ meh. Per questo, ogni volta che viene trasposto un suo libro sullo schermo, noi fan siamo sempre sul chivalà. E credo anche, dopo tanti anni, di aver capito perché. Il fatto è che i suoi libri non si reggono sulle trame. Che ci sono, e sono bellissime, ma non è lì che diventano le cose fenomenali e amatissime che tutti conosciamo. King è soprattutto uno che sa raccontare la gente: i suoi personaggi sono straordinariamente veri, tanto che dopo un po’ li sentiamo come persone di casa, come gente che abbiamo effettivamente frequentato. Prendete It: l’ultima trasposizione non era niente male, eppure mancava qualcosa, e quel qualcosa era il modo insieme intimo e fluviale col quale King dipinge le persone. Nel caso di The Stand, la serie di questa settimana, il problema è lo stesso. Per quanto sia ben fatta, manca qualcosa. Manca, per dirne una, il fatto che la molla che spinge Larry Underwood verso il Bene sia il fatto che qualcuno, in un dato momento della sua vita gli abbia detto: Non sei una brava persona (Lì c’erano cinquecentoottanta persone e la maggior parte di loro non aveva la minima idea che Larry Underwood era tutt’altro che un bravo ragazzo). E come fai a raccontare il sordomuto Nick Andros se non sacrificando i fiumi di parole che il Re spende per lui sulla pagina scritta?

Ecco il problema di The Stand, la serie: che dura poco. Invece delle nove puntate, ne sarebbero servite almeno venti, per vanificare l’effetto Selezione dal Reader’s Digest: qualcosa resta sempre fuori, e in un libro in cui le parti da tagliare praticamente non esistono, diventa una mutilazione. E restiamo, come al solito delusi. Ed è un vero peccato, perché si tratta di una produzione di ottimo livello. Brava Whoopi Goldberg bravo Greg Kinnear, semplicemente perfetto Owen Teague nei panni di Harold Lauder; per non parlare di Alexander Skarsgård, un Randall Flagg che finalmente fa giustizia dello scempio perpetrato da Matthew McConaughey in quella incredibile schifezza che è La Torre Nera. Insomma, The Stand è una serie molto ben fatta e benissimo interpretata e diretta, che onestamente mi sento di consigliarvi. E se siete fan del Re sapete già in anticipo che rimarrete, chi più chi meno, delusi. E’ il guaio di seguire con amore il più grande scrittore del secolo scorso: niente è grande come quello che scrive. Niente. The Stand, su Starz.