“Tokyo Express”, il giallo del giapponese Seichō Matsumoto che vale la pena (ri)leggere

Trenitalia, impara. Un romanzo come Tokyo Express non avrebbe mai potuto essere ambientato in Italia, tutto costruito com’è sulla puntualità e l’incastro delle coincidenze ferroviarie. I treni possono essere un ottimo set per ambientare storie gialle o avviare racconti assassini, basti pensare ad Assassinio sull’Orient Express e a Strangers on a Train, da cui Hitchcock trasse Delitto per delitto.

Seichō Matsumoto il suo Tokyo Express non lo costruisce però a bordo, ma fra le partenze e gli arrivi, basando l’intero intrigo sull’orario ferroviario. Dal momento, poi, che i lettori di gialli chiedono precisione (e che i treni in Giappone corrono puntuali), alla fine del libro aggiunge la nota: “Gli orari dei treni e degli aerei menzionati nel testo corrispondono a quelli in vigore nel 32° anno Showa“. Ossia il 1957, l’anno in cui il giallo inizia a essere pubblicato a puntate su un giornale, per poi uscire in libreria nel 1958. Un successo da un milione e rotte copie nel solo Giappone, e un long-seller che molti anni dopo diventerà anche una serie tv con il grande Takeshi Kitano.

La vocazione ferroviaria dello scrittore non si limita però al solo Tokyo Express. Anche in Come sabbia tra le dita, altro successo che poi diventerà un film di Yoshitarō Nomura, le indagini corrono lungo i binari, addirittura costeggiandoli a piedi sotto la neve. A raccogliere frammenti di indizi sparsi a fianco delle rotaie è l’ispettore Imanishi, che alcuni hanno voluto paragonare a Maigret nel tratteggio di una umanità semplice e accasata, lontana dalle figure del detective dannato made in Usa.

In realtà, con Matsumoto il gioco dei rimandi porta lontano. Tesse un intreccio di fili dove se da un lato ci sono i treni, simbolo di un Paese che, dopo la guerra, si avvia a una vera rivoluzione cultural-tecnologica, dall’altro sopravvivono le antiche usanze. La cerimonia del tè, le signorine che nei locali accompagnano i clienti diventandone intime amiche, i kimono convivono con uffici e tailleur.

Un’altra ricorrenza nella larghissima produzione di Matsumoto sono i giornali. Forse perché, nato nella prefettura di Fukuoka nel 1909 da una famiglia piuttosto povera, il futuro scrittore prima ha dovuto abbandonare presto gli studi, poi ha combattuto sia nella Seconda Guerra Mondiale sia in Corea e quindi ha inizialmente lavorato in un quotidiano, dove è partito occupandosi di pubblicità per diventare poi redattore.

Così, nella raccolta La donna che scriveva haiku abbiamo un direttore di giornale che indaga sulla scomparsa della sua collaboratrice, e in un altro racconto una donna che si abbona per occulte ragioni a un quotidiano locale. Mentre nella Ragazza del Kyushu lo sguardo sull’intrigo che si prepara è quello un giornalista più che intenzionato ad approfondire la storia, nonostante la reticenza del suo caporedattore.

Ad accomunare i gialli (che della sterminata produzione di Seichō, scomparso nel 1992, sono solo una parte, anche se la più significativa) c’è sempre questa atmosfera di piccole cose della vita quotidiana. Omicidi compiuti con tecniche poco sanguinolente, dove alla pistola, in genere, si preferisce il veleno. Così poco eclatanti da venire spesso scambiati per suicidi, che si tradiscono  perché i protagonisti sono così spaventati da finire con l’eccedere in precauzioni.

Una società dove il tradimento è norma, anzi spesso le amanti sono presenze riconosciuti ancorché tenute in disparte, ma l’eros è solo suggerito (mentre adesso l’ultima star del giallo giapponese, Natsuo Kirino sull’hard boiled punta molto). Dove il lavoro è grigio e chi sceglie di turbare l’ordine sociale con un omicidio tende a farlo lontano da Tokyo (prendendo appunto il treno), fra le nevi o in riva al mare. E dove chi indaga – sia il vedovo di Un posto tranquillo che si scopre tradito alla morte della moglie, o l’Imenishi apparentato a Maigret e amante degli haiku – lo fa con pacata caparbietà, mentre il racconto si snoda disteso.

Sembra che durante la guerra il governo giapponese avesse censurato le storie di detection perché non patriottiche e controproducenti rispetto all’impegno bellico. Quando Seichō Matsumoto inizia a pubblicare, negli anni Cinquanta, vince subito premi e diventa il più noto giallista nipponico del momento. Affermando quel genere di “social detective story” che ai lettori non giapponesi insegna molto su quella cultura e quella società (più di quanto si impari da un best seller dell’ultima stagione come Finché il caffè è caldo).