Your Honor, l’onore è tutto loro

Hugo prese un altro memorandum. «Solo alcune informazioni sul giudice McDover (…). Le piace anche parlare ai seminari o alle scuole di giurisprudenza. Tre anni fa ha persino tenuto un corso di pratica processuale all’Università della Florida. Curriculum impeccabile, sul serio. Molto più del giudice distrettuale medio. Non molto da dire in termini di beni personali. Una casa nel centro di Sterling, valore stimato duecentotrentamila dollari, costruita settant’anni fa, mutuo da centodiecimila dollari. Atto di proprietà a suo nome, McDover, che è il cognome da nubile. L’ha ripreso subito dopo il divorzio e non ha mai smesso di usarlo. Single dal 1988, senza figli né altri matrimoni. Nessuna traccia di affiliazione a chiese, associazioni civiche o di ex alunni, a partiti politici, niente. Si è specializzata in giurisprudenza a Stetson, prima della classe. La laurea l’aveva presa alla North Florida di Jacksonville. C’è un po’ di roba sul divorzio dal marito medico, ma non vale la pena di perderci tempo». Lacy ascoltava assorta, tra un sorso e l’altro di caffè. «Se Myers ha ragione, McDover munge gli incassi di un casinò indiano. È un po’ difficile da credere, o no? Cioè, una giudice eletta dal popolo e molto stimata.»

«Altroché se lo è. Abbiamo visto giudici fare cose assurde, ma nulla di così sfacciato.»

«Come te lo spieghi? Qual è il movente?»

(John Grisham, L’Informatore,2016)

 

Dice: ma perché citi Grisham? Mica Your Honor, la serie di questa settimana, è tratta da un suo romanzo? Beh, lo faccio per due motivi. Il primo è che amo Grisham: prendere in mano un suo libro è garanzia di piacere. Il secondo motivo è che, appunto, mi aspettavo una cosa alla Grisham e sono rimasto con i ricci fatti; se ci pensate bene, non è che mi sono scimunito io. Il legal thriller è lui, praticamente, e non capisco perché questo rifiuto totale, da parte di Peter Moffatt (creatore e capo sceneggiatore), di ignorare la lezione di Grisham, tanto più che si tratta di una serie americana (anche se è il remake di una serie israeliana). Intendiamoci, non era mica obbligato, tanto più che parliamo di uno che ha fatto cose davvero pregevoli: per dire, Silk è sua, e così The Night Of – Cos’è successo quella notte?, The village, The last post e Undercover, ma onestamente non mi aspettavo, e come me, ne sono convinto, molti di noi, una cosa così indefinita. Capiamoci, la serie non è affatto brutta: parliamo comunque di una produzione di primissimo ordine, per budget e aspettative. Eppure, rimane quella mezza delusione, quel non capire il perché di certe scelte autoriali. Per esempio, manca la suspense, appunto, à la Grisham. E manca anche la sua capacità di raccontare i personaggi nella loro quotidianità, la capacità dello scrittore del Sud di sedurti anche con altrimenti noiosissimi cavilli legali. A Moffatt il gioco non riesce: si gioca la carta autoriale ma sbaglia clamorosamente: con classe, ma davvero clamorosamente.

La serie è tutta giocata sull’approfondimento psicologico dei personaggi: peccato che dopo pochi minuti sai già tutto di loro e per dieci puntate Moffatt gli fa ripetere sempre la stessa cosa. Quando parlo di carta autoriale mi riferisco, per esempio, alle parti noiose (noiosissime, non dite di no) di American Beauty (che Moffatt saccheggia), che se è vero che si riscatta con le interpretazioni fantastiche di Kevin Spacey e Annette Bening, cade quando tratteggia degli adolescenti che possono esistere solo sulle pagine di uno sceneggiatore presuntuoso di casa al Sundance. E poi mi chiedo che senso abbia ambientare una serie a New Orleans per ignorare, se non per pochi minuti, le sue peculiarità, se non, come mi disse una volta il produttore Fernando Ghia, voler giocare a fare gli intellettuali per impressionare gli americani sempliciotti.

Detto questo. Gli attori sono tutti bravissimi, e sono loro che salvano la serie. Per dire, c’è (completamente sprecata) la meravigliosa Margo Martindale, e c’è Isiah Whitlock Jr., sempre bravissimo. E poi c’è lui, Bryan Cranston, al quale la fortuna di Breaking Bad ha portato anche passi falsi, come appunto Your Honor e l’orrido Godzilla: aspettiamo pazienti che qualcuno si ricordi anche del suo stupendo Hal in Malcolm in the middle e gli affidi di nuovo l’opportunità di ruoli solo apparentemente leggeri. Detto questo, Your Honor è da vedere: per devozione, se non per altro, anche perché l’altro non è che sia tutto questo granché. Su Sky.