Una biografia dell’acqua dal Big Bang alla fantascienza

Che l’acqua abbia da sempre influenzato la vita su questo pianeta non è certo un mistero. Come non è un caso – credo che lo si studi nei libri di scuola già alle elementari – che le più importanti città e metropoli siano sorte da sempre in aree che garantiscono un accesso all’acqua, che sia quella del mare o di un fiume.

Ma Acqua. Una biografia di Giulio Boccaletti (Mondadori, in libreria dal 15 marzo) racconta molto di più: un lungo piano sequenza storico che parte addirittura da prima della nascita del pianeta Terra. Quando, scrive “le particelle subatomiche che emersero dagli istanti iniziali del Big Bang crearono un plasma di idrogeno ed elio. La gravità le combinò insieme in una fusione nucleare che alimentò le prime stelle, le fornaci che forgiarono elementi più pesanti come l’ossigeno. Nel materiale proto stellare lasciato dalla morte di quelle prime stelle, l’idrogeno e l’ossigeno reagirono. Produssero acqua”.

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Una questione di chimica e di fisica che, tradotta in termini umani, fa la differenza tra la vita e la morte. E, infatti, quello che segue è il racconto di una lunga lotta contro un alleato, l’acqua appunto, pronto a trasformarsi da un momento all’altro in un nemico letale.

Boccaletti è un esperto di sicurezza ambientale e risorse naturali. Laureato in Fisica, ha lavorato per The Nature Conservancy, importante organizzazione non governativa di conservazione, dove ha diretto programmi sull’acqua in oltre settanta Paesi e regioni.

Nel libro, spiega come il controllo dell’acqua e per l’acqua stia all’origine delle società complesse, nate per per affrontare fenomeni idraulici troppo complessi per i singoli individui: “La storia della lotta contro l’acqua è iniziata quando gli esseri umani si sono fermati e si sono accorti che, intorno a loro, l’acqua scorreva”.

Tra gli esempi, interessante quello dell’antico Egitto che avrebbe sviluppato confini nazionali e non cittadini (perché all’interno del Paese i i paesaggi agricoli e urbani costituivano un insieme integrato, a differenza delle città fortificate della Mesopotamia) sulla spinta del sistema di navigazione fluviale sul Nilo. L’acqua, insomma, avrebbe dato forma alla più alta delle astrazioni: il concetto di identità nazionale.

Mentre, per quanto riguarda l’antica Roma, Boccaletti analizza il rapporto tra “un sistema politico che sanciva la libertà dei cittadini, la libertas romana, e le risorse idriche” che, non a caso, non vennero mai centralizzate, un’apparente contraddizione per una civiltà famosa per i suoi acquedotti.

Dalla storia alla mitologia, alcune pagine sono dedicate al mito ricorrente del diluvio universale, presente in forma simile a quello biblico nella cultura dei maya, dei nativi americani e di altre popolazioni sparse per il pianeta. “I Navajo erano convinti che i loro antenati appartenessero a un popolo di insetti, scacciati dagli dèi che avevano mandato l’acqua a coprire la terra e che nella loro fuga erano stati guidati da una rondine (…) Perfino le società aborigene dell’Australia, isolate sul continente da cinquanta o sessantamila anni, nei loro antichi canti raccontavano di un tempo in cui gran parte della costa era stata coperta dalle acque, che poi si erano ritirate”.

Tutte testimonianze tramandate di un qualche evento catastrofico, come lo scioglimento dell’ultima glaciazione? Boccaletti propende per una versione più “laica”, secondo lui, infatti, si tratterebbe semmai di una dimostrazione di come il controllo dell’acqua e degli eventi meteorologici sia stato spesso traumatico.

Al lato opposto dello spettro, incuriosiscono alcune visioni futuristiche della letteratura. Tra gli scrittori citati il non proprio popolarissimo autore russo Nikolaj Černyševskij (1828-1889).

Arrestato per il suo radicalismo rivoluzionario, intorno al 1860, mentre era in carcere, scrisse un romanzo, Che fare?, “che ebbe un grande successo soprattutto tra radicali e anarchici”, come Stalin, Trockij e Lenin. Una storia di utopia rurale in cui s’immaginava un futuro in cui i deserti erano stati trasformati in paesaggi verdi e la produzione agricola abbondava grazie a sistemi di irrigazione e di controllo del clima. Una risposta immaginifica alla “difficile geografia idrica della Russia”.

Un altro esempio di “fantascienza acquatica” è il romanzo (pubblicato nel 1988) Looking Backward 2000- 1887. Il suo autore, Edward Bellamy, immaginava un’utopia tecnologica gestita dallo Stato: “La natura era così addomesticata che, quando iniziava a piovere, tende automatiche coprivano le strade cosicché le persone potessero continuare a sbrigare i propri affari senza temere di bagnarsi”.

L’acqua e il suo potere erano al centro di questi futuri immaginari concepiti dagli scrittori alla fine dell’Ottocento non a caso: il canali di Suez venne inaugurato nel 1869, il progetto originario del canale di Panama risale alla prima metà del XIX secolo.

E tra immaginazione e progettazione provò a costruire un ponte il giornalista e scrittore ebreo-ungherese Theodor Herzl. Nel 1902, Herzl pubblicò il suo romanzo utopico, Vecchia terra nuova, sulla creazione di uno Stato ebraico in Palestina, progetto che avrebbe voluto che i Paesi europei acconsentissero a realizzare anche nella realtà: “Il protagonista del romanzo è un giovane e disperato avvocato ebreo, Friedrich Löwenberg, che si reca in una Palestina immaginaria, e là dove prima c’era solo deserto trova un litorale sviluppato. Tutto è ormai elettrificato (…) e la fonte di energia per questo stato modello era un canale che collegava il Mediterraneo al Mar Morto, con una serie di impianti idroelettrici lungo il Giordano e lungo il canale stesso”.

Nel saggio, nonostante l’autore di Acqua sia anche ricercatore associato onorario alla Smith School of Enterprise and the Environment dell’Università di Oxford e membro onorario del comitato scientifico del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, non si parla di climate change ma, forse, bastano questi dati all’apparenza neutri forniti all’inizio del libro: “Il 97 per cento di quell’acqua si trova negli oceani. Quasi tutto il restante 3 per cento si divide tra le calotte polari e le falde nel sottosuolo. Se le prime si sciogliessero, formerebbero uno strato alto circa sessanta metri (…). Quello che resta – una frazione minuscola, meno di un cinquantesimo dell’1 per cento – è l’acqua contenuta in laghi, fiumi e nel terreno, che contribuisce a formare il paesaggio in cui vivono tutte le creature terrestri, compresi gli esseri umani”.