Gal Costa o il contro-potere della bellezza

Si chiamava Maria da Graça Costa Penna Burgos. Un nome così lungo, pieno di onde e singhiozzi, come i ricci dei suoi capelli.

Maria da Graça lo era per la carta di identità, troppo faticoso per una cantante che non fosse “una vecchia fadista portoghese”, ma era Gracinha tutti i giorni, Gau, più ostico e poco femminile, per i veri amici. Per tutto il mondo e l’universo tropicalista, brevemente, Gal Costa.

Una scelta che il suo amico, Caetano Veloso, non aveva mai condiviso fino in fondo: al posto del maresciallo Castelo Branco, a metà degli anni Sessanta, era appena salito al potere in Brasile Costa e Silva.

Unito al Gal, che era anche abbreviazione di generale, il risultato accostava la giovane cantante alla dittatura militare. Ma Gal Costa, con i suoi sessant’anni di carriera, ha solo rappresentato il contropotere della bellezza: erotismo delicato del timbro vocale, unito a un repertorio così vasto e variegato, nato per superare qualsiasi tipo di contrapposizione, dentro e fuori la musica.

Samba e bossa nova, jazz, canzone di protesta e pop. Il generale Gal Costa, come l’abbraccio che chiude il golfo di Salvador de Bahia, sua città natale, ha saputo tenere insieme tutte le forze per un nuovo Brasile: tradizione, ma guardando al futuro e mantenendo sempre un orecchio rivolto ad Europa e Stati Uniti. Una fusione così ben riuscita da far crollare anche Veloso: come scrive in Verità tropicale – Musica e rivoluzione nel mio Brasile (Sur):

È una creazione profondamente poetica, fatta di caso ed equivoco, una specie di sintesi del dramma tropicalista. Oggi amo questo nome più di chiunque altro, eppure all’epoca fui colui che più vi si oppose”.

Se Gilberto Gil aveva comunque preso la laurea in economia, Maria Bethânia sognava una carriera d’attrice e Veloso di scrittore o regista, del gruppo dei “Baihunos”, degli “Unni di Bahia” – o anche báfia, crasi poco felice tra Bahia e mafia, per schernire l’unione di artisti – Gal Costa, appena arrivata a Rio, aveva già le idee chiare: avrebbe cantato, nient’altro, la sua ambizione da sempre.

Una passione educata fin da bambina con le pentole della cucina, “usate per avere il ritorno della sua voce amplificata e così esercitarsi nel controllo dell’emissione, come se fosse uno studio di registrazione”.

Distaccata dai canoni fissi ed educati di Elis Regina, distante dalla potenza e irregolarità di Elza Soares, Gal Costa, con i suoi toni cristallini che non fanno da confine alla poliedricità, incanta tutti: da João Gilberto, che la definirà “la più importante cantante del Brasile”, a Roberto ed Erasmo Carlos, con cui poi inciderà Meu Nome É Gal.

Ma è con Veloso che raggiunge il successo: se con Domingo non sconfinano dai territori sicuri della bossa nova, è con la giostra corale di Tropicália: ou Panis et Circencis insieme a Gilberto Gil, Os Mutantes, Tom Zé, che si apre un nuovo mondo ed infinite possibilità: giocare ad un Sergean’t Pepper’s lonely hearts club band sull’altra riva dell’Atlantico, fondendo rock’n’roll e psichedelia con i ritmi tribali di Bat Macumba.

E se il movimento ha avuto vita breve per la dittatura, le idee di opposizione nate da questo collettivo che mischiava cultura europea e tradizione, provocheranno altre reazioni ed esperimenti in tempi successivi: è lecito pensare che senza gli arrangiamenti di Rogério Duprat su Baby – scritta da Veloso e cantata da Gal Costa – non ci sarebbe stato il pacifico dissenso e comunità della Democrazia Corinthiana.

Di certo dalla parentesi tropicalista, Gal conserverà negli anni il desiderio di sperimentazione – un esempio su tutti, Índia – cantando con Elis Regina, collaborando con Arto Lindsay e Carlinhos Brown.

Perché non si deve mai interrompere l’ascolto verso ciò che accadrà dopo. Se il penultimo disco si intitola A Pele do Futuro, il suo lavoro conclusivo, Nenhuma Dor, è un progetto di collaborazioni con musicisti delle generazioni a lei successive: Rodrigo Amarante, Silva, Criolo, Seu Jorge e Jorge Drexler.

Un atto di consegna ai nuovi che devono rifondare vecchi sogni e rimettere in marcia il Brasile. Così finalmente potrà riposare anche l’amato generale Gal Costa, partita pochi giorni dopo la vittoria di Lula, nuovo presidente, scacciando via Bolsonaro.

Come se anche questa ultima preoccupazione fosse stata risolta e lei pronta per il passaggio, lasciando questo Brasile in una festa sommessa e il pianto senza riserve. “Gal è una costellazione e sarà sempre ricordata per la sua arte sublime, la sua voce espressiva e il suo sguardo da guerriera” scrive l’ex presidente Dilma Rousseff, perché sia Gal, Gau, Maria o Gracinha, poco cambia: l’importante è stato splendere, cantare e combattere, anche con un nome breve perché “non c’è bisogno del cognome, che l’amore fa l’uomo”.