Il debutto di Gianmarco Tognazzi sulla tv svizzera

Una volta c’era l’Alter Ugo del cinema italiano, adesso c’è l’Alter Ego della televisione svizzera. Entrambi portano un cognome: Tognazzi.

Ma il primo è un libro, che ricostruiva la storia del grande attore nel trentennale della scomparsa, avvenuta nel 1990.

Il secondo è il titolo della serie di cui è protagonista Gianmarco, figlio di Ugo, che arriva sulla televisione svizzera in novembre. “È una serie poliziesca, ed è il primo crime tutto ambientato in Ticino, prodotto da Rsi. Chissà poi che non lo prenda anche una piattaforma in Italia”, racconta Tognazzi Jr.

Gianmarco, che deve il suo nome “doppio” all’amore che il padre nutriva sia per Gian Luigi Rondi, a lungo direttore della Mostra del cinema di Venezia e poi presidente della Biennale, sia per il regista Marco Ferreri (che fece debuttare Gimbo, ancora bambino, in Non toccare la donna bianca), per la verità ormai troppo “junior” non è più.

Non solo perché ha da poco compiuto 56 anni, ma anche perché – fra cinema e televisione – ha ormai raggiunto i 100 titoli.

Girato lo scorso inverno e ambientato a Bellinzona in tempo di carnevale, Alter Ego è diretto da due registi svizzeri – Erik Bernasconi e Robert Ralston – mentre il cast di 52 attori è “misto”, con nomi come lo svizzero Bruno Todeschini o gli italiani Matteo Martari e Roberto Citran.

Nei sei episodi Tognazzi interpreta l’investigatore incaricato delle indagini.

La locandina della serie Tv Everybody Loves Diamonds

In attesa di passare dalla parte della legge, intanto, su Prime Video Gianmarco interpreta un ladro, che fa parte della banda di Everybody Loves Diamonds, storia ispirata al vero furto di diamanti condotto nel febbraio 2003 nel caveau dell’Anversa Diamond Center da un manipolo di italiani capeggiati da Leonardo Notarbartolo (nella fiction, Kim Rossi Stuart).

Fra guardie e ladri, lei da bambino da che parte stava?

Il ladro di sicuro. Poi, come attore sono stato un po’ tutto, mai veramente cattivo però. Un bastardo piuttosto, un poliziotto anticonvenzionale, un procuratore coinvolto con i servizi segreti: sempre fra il bene e il male. Anche in Everybody Loves Diamonds cerco di essere un ladro gentiluomo, come il mio capo, perché nella nostra filosofia la violenza non è concepita.

Ladro gentiluomo per antonomasia è Lupin, che è tornato con una nuova stagione su Netflix.

Questa tipologia di ladri ci ispira sempre. Ma nella nostra serie c’è in più la cialtroneria di noi italiani, siamo quattro simpatiche canaglie in una dramedy.

Qualche riferimento ai Soliti ignoti?

Senza arrivare lì, diciamo che l’italianità ti permette di smussare certe tensioni anche attraverso la gesticolazione, che ci rende un po’ più arraffoni.

Tempo fa aveva detto che aver perso i capelli ha rappresentato per lei un vantaggio, dal punto di vista professionale. In effetti, a ogni film cambia look e parrucca.

Se ancora avessi i capelli, ogni volta dovrei riadattarli ai personaggi, tagliarli, colorarli. Così è più semplice, mi metto una parrucca, senza bisogno di lunghe sedute di trucco. Il mio viso senza capelli è neutro, e stimola il regista a tratteggiare il personaggio: io sono la tela, su cui lui crea il disegno.

Nello Sposo indeciso, il film uscito lo scorso giugno e adesso su Netflix, il regista Giorgio Amato infatti ha fatto dello sposo, un intellettuale brizzolato e con barba, un personaggio diverso dai soliti…

Con Amato avevo già girato Il ministro: entrambi nascono come piccoli film ma mi hanno dato la sensazione di avere a disposizione un personaggio e una storia speciale.

Speciale lo è davvero, il suo professore che – chiuso per buona parte del film in bagno – il giorno del matrimonio non riesce a smettere di urinare, trasformando man mano la commedia in dramma.

Credo davvero molto in questo lavoro e penso che su piattaforma probabilmente un film piccolo è più visibile che in sala. Me ne rendo conto dalle risposte che mi arrivano sui social. Come è già successo quando I cassamortari, di cui giriamo il secondo capitolo, è andato su Prime Video.

Riesce anche a inserire il teatro in mezzo agli impegni cinematografici e televisivi?

Lo faccio nei weekend, quando giriamo alcune piazze con L’onesto fantasma di Edoardo Erba: una critica al nostro modo di rapportarci con il mestiere, con tre amici che si vogliono ritrovare. Due sono attori che non ce l’hanno fatta, mentre io sono quello arrivato. E poi c’è il fantasma del quarto, morto, ispirato alla scomparsa prematura di Bruno Armando, con cui ho fatto ditta per quattordici anni. È difficile accettare che lui non ci sia più.

Immagino le sia successo anche con suo padre.

Mi succede con tutti quelli cui voglio bene: non posso entrare in comunicazione con la loro assenza fisica. Così, visto che Ugo spesso non era a casa ma era in giro a fare film, lo “giustifico” dicendo che è in tournée, che se non lo vedo è perché è via per lavoro. Me la racconto da anni così, mi sono creato una realtà parallela.

Facciamo un salto di generazione: lei ha due figli e la ragazza, Andrea Viola, oggi 17enne, ha già esordito in un film, Ostaggi. Sarà attrice anche lei?

No, è stata liberamente obbligata da me a fare l’esperienza. Volevo ribaltare la prospettiva di ciò che mi succedeva da piccolo, quando Ugo ci portava sul set per recuperare le sue assenze e farci vedere qual era il gioco che lo impegnava e a cui noi figli non partecipavamo. Giocavamo a padre e figlio sul set. Così adesso mi sono voluto immedesimare in questo “Ugoismo” e ho chiesto ad Andrea se le andava di fare con me un film. Lì ho capito quanto l’emozione che si prova a recitare insieme sia più nostra che loro, dei figli. Infatti, sono convinto che abbia accettato più per me che per un suo desiderio. D’altra parte, è anche cambiato tutto dai tempi del nonno. Ormai questo io lo considero più un hobby.

E il lavoro qual è, allora?

La Tognazza, l’azienda vitivinicola che ho da oltre dieci anni.