“Tre metri sopra il cielo” trent’anni dopo

Babi e Step ormai sono quasi in età boomer. La prima volta che i due ragazzi-lucchetto videro la luce era il 1992. Una dozzina d’anni dopo la loro storia, diretta al cinema da Luca Lucini, rese famoso Riccardo Scamarcio e (un po’ meno) Katy Saunders.

Da allora, l’uomo che li aveva immaginati ha continuato a scrivere storie d’amore. Lo ha fatto con i romanzi (Semplicemente amami è l’ultimo, uscito tre anni fa), ma anche con serie tv e film (Mamma qui comando io era in sala poche settimane fa), che spesso ha diretto.

Adesso Federico Moccia ha presentato un nuovo formato video, che passa in anteprima al Lucca Comics & Games.

Un’immagine da “Bro” di Federico Moccia

Si intitola Bro, è un corto commissionato da Motorola e girato interamente con smartphone. Lo interpretano otto adolescenti. Due sono attrici: Jenny De Nucci ed Eleonora Gaggero (la seconda rivela una certa dose di autoironia nello spiegare che il suo breve curriculum contempla un film intitolato Non c’è campo, diretto dallo stesso Moccia, dove si capiva come può essere bella la vita da sconnessi).

Gli altri ragazzi sono stati invece scelti con un social casting. Tutti interpretano frammenti di vita amorosa, dichiarazioni enfatiche con palloncini e cuoricini, ma anche incidenti e scene di sesso diffuse contro la volontà di lei.

Quando ha scritto Tre metri sopra il cielo lei non aveva 30 anni. Adesso ne ha 60, ha due figli di 13 e 11 anni. Come vede oggi i ragazzi?

Li vedo molto più completi oggi. Quando hanno girato il film, nel 2004, erano appena nati i telefonini: fino ad allora per chiamare ti dovevi fermare nelle cabine telefoniche e dovevi per forza passare dal genitore che rispondeva al telefono di casa. Non ci si messaggiava, non si scambiavano foto, non c’era l’indipendenza che i ragazzi hanno adesso. Però alcuni elementi importanti restano uguali.

Per esempio?

Riguardano ciò che fa parte delle emozioni, delle fragilità o della forza, oltre che della superficialità. Io ho voluto raccontare in maniera strafottente come alcuni non abbiano attenzione per la bellezza di poter avere una storia con una ragazza, e anche quello che accade quando viene fatta una ripresa di due che stanno insieme e poi la si mette in rete.

Nel corto sembra che a dubitare dell’innocenza della ragazza siano le amiche, convinte che lei fosse consapevole.

È sempre difficile capire dov’è la verità quando uno racconta una storia: se le versioni sono diverse è complicato capire la vera situazione. Ma in questo i telefonini non sono solo lo strumento che colpisce. Sono come il coltello, che può servire a tagliare il prosciutto oppure la pancia di qualcuno, a seconda dell’uso che se ne fa. Perché sono anche una testimonianza da cui un violentatore non può sfuggire. La violenza io la mostro in modo che non si capisca dove sta la verità, con un tono thriller. Però in generale vorrei che i ragazzi avessero una consapevolezza, che quando si arriva a queste situazione fra loro ci fosse uno che dice, come accadeva una volta: fermatevi, state sbagliando, perché la violenza è sempre inaccettabile.

Come è stato girare con telefonini anziché telecamere?

È molto più agile, non serve troupe. E dietro un telefonino puoi raccontare molto di te e del tuo mondo. Anche perché spesso facciamo l’errore di pensare di sapere già tutto degli altri, di capirne i sentimenti, il dolore. Non è così. Girare con lo smartphone significa anche che vedi il risultato solo alla fine, non hai l’occhio in macchina, e quello che mi ha colpito è stato scoprire poi la verità e la naturalezza captate da quell’obiettivo.

Questo corto va al festival di Lucca e sui social di Motorola.

Questo è un assaggio di storie che avranno un loro sviluppo. Come il trailer di un film o di una serie. In Bro c’è il racconto iniziale. Ma, in seguito, vorrei sviluppare i diversi momenti privati, la solitudine e il pensiero dei protagonisti. Nel corto si vede quello che accade, ma non sappiamo perché, quello che c’è fra loro, perché si sono innamorati, di cosa soffrono, qual è la situazione a casa…

Fra un romanzo e un film lei cosa preferisce scrivere?

La pagina bianca la riempi come meglio credi e può succedere di tutto: mi piace la libertà che mi dà, il fatto di non avere limiti. Nella scrittura hai la certezza della perfezione di ciò che volevi dire, non scappi dalle scelte delle parole con cui conduci il lettore a seguirti passo passo anche nelle emozioni, lo guidi su cosa soffermarsi, scegli il termine esatto per toccarlo. In un progetto come Bro invece l’interpretazione è più soggettiva, rispetto al legame che si crea fra un lettore e uno scrittore che lo accompagna per mano attraverso le pagine. Scrivere è proprio bello, è un’analisi profonda che fai dentro di te. Poi, è anche bella l’alternanza, quando giri con una troupe e condividi con tutti quello che vai a fare.

Per i suoi figli: smartphone sì o smartphone no?

Sì, lo hanno da poco. Sono convinto che per i ragazzi sia uno strumento di accrescimento di conoscenze e arricchimento linguistico. L’importante però è continuare a farli parlare, stimolare la condivisione, perché oggi il telefonino sostituisce un po’ tutto.