I primi 90 anni di Gino Paoli tra passato e futuro

A 89 anni, di tirare le fila di una vita lunga ma soprattutto pienissima, inizialmente Gino Paoli non ne aveva nessuna voglia. “Il nostro primo incontro per parlare del libro fu un mezzo disastro”, racconta Daniele Bresciani che, con Paoli, ha scritto Cosa farò da grande. I miei primi 90 anni (Bompiani) appena uscito in libreria.

Mi disse: ‘Non ci penso proprio a scrivere la mia autobiografia. Ho troppe cose da fare: devo dipingere, ho quattro canzoni da finire…’. E, invece, l’impressione è che, alla fine, si sia divertito molto a raccontarsi”.

Che cosa l’ha colpita in particolare della vita di Paoli?

Il fatto che attraverso di lui viene fuori il ritratto di un’epoca, di un modo di vivere irripetibile…

In effetti, oggi uno che incontra una ragazza quindicenne in discoteca e scappa perché troppo giovane, salvo qualche mese dopo, quando lei ne compie 16, andarci a letto oggi sarebbe una roba da galera.

Be’, però, quella ragazza era Paola Penzo che, poi, ha sposato. E l’altra sedicenne, qualche anno prima, era stata Stefania Sandrelli con la quale ci ha fatto una figlia: Amanda. Paola racconta che quando si sono conosciuti, lui, che all’epoca intorno ai trent’anni, aveva una donna in ogni città. E spiega di “averle fatte fuori” una a una. Ma il punto è che, uno come Paoli, che aveva già scritto canzoni di enorme successo come La gatta, Il cielo in una stanza, andava in giro per l’Italia a suonare nei locali, nelle balere. Oggi una cosa del genere è inimmaginabile.

Gino Paoli con la moglie Paola

Parliamo dei suoi amici? Da musicisti come Fabrizio De André, Bruno Lauzi, Luigi Tenco, a personaggi televisivi come Maurizio Costanzo, Pippo Baudo… E pure gente strampalata, semi delinquenti.

Gino è una persona molto istintiva, leale, per lui l’amicizia è un qualcosa di “sacro”. Nel libro c’è un episodio che lo spiega benissimo. Racconta che Maurizio Costanzo lo chiamava spesso per invitarlo in tv. Finché, un giorno, contrariamente alle sue abitudini, lo fece contattare dalla segretaria. Erano i primi anni Ottanta ed era appena scoppiato lo scandalo della P2. Paoli le disse: “Ma perché non mi ha chiamato lui?”. E lei gli spiegò: “Per non metterla in imbarazzo nel caso non ritenesse opportuno partecipare alla trasmissione”. Al che Paoli ribattè: “Dica a Maurizio che se gli amici in circostanze come queste si danno alla fuga non sono veri amici”. Anche a Gianni Minà era legatissimo. Minà lo chiamava la sera prima: “Mi hanno dato buca in tre, ti prego vieni a cantare una canzone”. E lui andava.

Eppure con uno dei suoi amici fraterni troncò i rapporti. Quando Luigi Tenco lo chiamò e gli disse di essere andato a letto con la Sandrelli fu la fine della loro amicizia.

Diciamo che non la prese bene. Ma, col senno di poi, dice che avrebbe dovuto fregarsene, “perché non si rompe un’amicizia neppure per la donna più bella del mondo”. E, infatti, il dolore per la morte di Tenco ce l’ha ancora dentro. È convinto che se fosse stato con lui a Sanremo non si sarebbe ammazzato: “Gli avrei dato due pedate nel culo e la cosa sarebbe finita lì”.

Capitolo amici balordi…

Tantissimi. Come Franco, uno col “vizio” del furto che un giorno a casa sua gli rubò un Rolex. Il gioiellerie al quale lo portò per venderlo riconobbe l’orologio e chiamò Paoli. A quel punto lui andò a cercarlo per chiedere spiegazioni. E Franco: “Hai ragione Gino, non avrei dovuto farlo, ma sono andato in bagno e il Rolex era lì che mi guardava e non ho resistito”.

C’è qualcuno delle sue “vecchie” conoscenze con cui si vede ancora?

Renzo Piano e Gaggero, il suo dentista. Ogni anno si incontrano alla “cena dei sopravvissuti”. Con Piano, che è un po’ più giovane, erano insieme negli scout. E poi c’è il clan dei genovesi: Beppe Grillo, Antonio Ricci, con i quali si sente ogni tanto.

In molti episodi raccolti nel libro viene fuori il suo temperamento piuttosto focoso.

Da giovane faceva spessissimo a botte. Per esempio, racconta che siccome, a un certo punto, si era diffusa la voce che portasse sfiga, un po’ come la povera Mia Martini, un giorno capita che per strada uno lo incrocia e “si tocca”. Al che lui lo raggiunge e gli tira un cazzotto, bam!: “Vedi che è vero che porto jella? Ti sei fatto male!”.

Da ragazzo aveva fatto boxe.

Era un tipo esile e, quindi, si era detto: “Meglio che imparo a prenderle ma anche a darle”. E, poi, attaccava spesso briga anche perché era altrettanto spesso ubriaco.

Una bottiglia di whiskey al giorno per vent’anni. Fino ai 50, con la nascita del quarto figlio, Nicolò perché, dice “dovevo fare il padre”.

Esatto. Whiskey, soltanto whiskey.

Quanto aveva influito sul suo carattere, sui suoi comportamenti il fatto di aver vissuto la guerra e anche di aver sempre avuto un rapporto conflittuale con il padre?

Suo papà non andò mai a vedere un suo concerto. Però ascoltava i suoi dischi di nascosto. Era un militare, un ingegnere della Marina che avrebbe voluto vederlo laureato. E, invece, Gino di studiare non ne aveva nessuna voglia, scappava continuamente da scuola… Eppure è una persona coltissima.

In effetti, quando parla dei suoi libri e autori preferiti è sorprendente.

Ricorda ancora oggi un sacco di poesie a memoria, Caproni, Sbarbaro, Edoardo Firpo, un grande poeta dialettale del Novecento… Le sue grandi passioni sono Erich Maria Remarque perché, dice: “Se vuoi capire quanto sia orribile la guerra basta leggere Niente di nuovo sul fronte occidentale e Tre camerati”, Jack London, Henry Miller… Ha una libreria sterminata, con uno scaffale intero dedicato ad Agatha Christie che continua a rileggere. Durante uno dei nostri primi incontri mi ha detto: “Vorrei che la mia storia venisse scritta come un giallo”. Ho capito quello che voleva dire: la sua vita, in effetti, è un romanzo.

Tornando alla sua infanzia e alla guerra?

Nel libro c’è il racconto di quando con la famiglia rientra a casa dopo il bombardamento di Recco con i morti sul ciglio della strada, “la fila di gente con i piedi in avanti”… È un qualcosa che ti resta dentro.

Tornando alla vita sentimentale, Paoli dice che la Vanoni è stata la prima a fargli scoprire che cosa fosse davvero il sesso.

Sua madre era molto cattolica e lo aveva educato a considerare il sesso come peccato. Per questo, quando lui, ragazzino, andava nei bordelli di Genova lo faceva come reazione, una forma di disubbidienza, ma senza divertirsi.

Sopra, Gino Paoli con Ornella Vanoni, sotto con Stefania Sandrelli

Quando conosce la Vanoni era già sposato con Anna, la prima moglie.

Sì. Deve avergliene fatte passare di ogni a quella poveretta. Ma Anna doveva essere una donna speciale. Altrimenti non si sarebbe presa in casa Amanda, che la Sandrelli aveva avuto a distanza di tre mesi da suo figlio Giovanni. Sandrelli aveva sposato Nicky Pende e la loro relazione era piuttosto burrascosa così per il bene della bambina, l’ha tenuta con loro per cinque o sei anni fino all’adolescenza.

Che cosa le ha raccontato del suo tentativo di suicidio nel 1963, di cui ancora oggi “conserva” una pallottola nel torace?

Aveva 29 anni, gli sembrava di avere già fatto e avuto tutto e che nulla fosse davvero importante. Un po’ tipo: “Mi sono rotto, me ne vado”. In casa aveva in casa due pistole. Pensò: “Che faccio, mi sparo in testa? Ma decisi di no, perché vedermi così per mia madre sarebbe stato uno choc. Meglio il cuore”. Prese la mira. E anche bene perché la pallottola è ancora lì.

Nel libro ovviamente molto spazio è dedicato alla canzoni.

Il brano che gli ha cambiato la vita è stato La gatta. Il suo primo grande successo. Nell’arco di una manciata di anni ha scritto una canzone più fortunata dell’altra: Il cielo in una stanza, Senza fine, Sapore di sale… Francesco Guccini ha detto una cosa molto bella, ovvero che Il cielo in una stanza per quelli della sua generazione ha rappresentato una svolta. Ha cambiato per sempre il modo di scrivere le canzoni.

In che modo compone?

Racconta di aver sempre fatto molta fatica per trovare le parole giuste. Solo in rari casi ha scritto di getto: Sapore di sale, per esempio, l’ha finita in mezz’ora. Ed è curiosa anche la storia di Quattro amici che vinse il Festivalbar nel 1991. La scrisse solo perché mancava una traccia per completare l’album Matto come un gatto. Anche la chiusa di Vasco Rossi con una strofa di Vita spericolata nacque per caso. Si erano incontrati in aereo, glielo chiese lì per lì e Vasco ha subito detto sì.

Di Vasco dice: “Lui è quello che sarei io se fossi nato vent’anni dopo”. Eppure sembrano non avere nulla in comune…

Forse a unirli è la stessa coerenza a se stessi, “sono quello che sono, prendere o lasciare”. E, poi, anche Paoli, ai suoi tempi, è stato un ribelle.

Tornando alle parole, nel libro ce ne sono diverse in dialetto genovese.

Un giorno gli ho chiesto tutti i modi di declinare la parola “belino”. Portare via il belino vuol dire andarsene, non rompere il belino sta per non scocciare, “sbelinato” per disordinato, belinone per cretino… Un vocabolo bellissimo è “cappelleua”. Che è quando un gruppetto ti butta un cappotto addosso e, poi, ti mena per bene.

Cosa farò da grande… Chi ha scelto il titolo?

È il titolo di una sua canzone. Glielo abbiamo proposto e gli è piaciuto. E lo rappresenta perfettamente perché a quasi 90 anni ha ancora tante cose da fare. E forse è proprio questo il suo segreto.