Anche il post-umano avrà bisogno della filosofia

A due anni di distanza dalla loro prima raccolta di interviste –a visionari e creativi, esperti di domotica e robotica, astrofisica, biotecnologie – usciva nel marzo scorso, in pieno lockdown, questo lavoro, Filosofia dei prossimi umani (Giunti editore, 255 pp., 14 euro), passato un po’ sotto silenzio a causa della pandemia, di Francesco De Filippo, giornalista, e Maria Frega sociologa. A confronto, in questo ideale seguito, con letterati e storici, antropologi e climatologi, con lo stesso spirito dell’esordio e dunque cercando   risposte senza cadere nell’equivoco classico del nostro tempo: scambiare la scienza (nessuna scienza) per una religione –come ha spiegato, ancora di recente, Giorgio Agamben.

Nell’introduzione si chiarisce come dal loro primo viaggio nelle scoperte che cambieranno il nostro futuro da qui a vent’anni, i due hanno riportato una certezza: «Nell’esaltante e fantasmagorico mondo della scienza c’è bisogno proprio di filosofia». Mai intesa come insieme di teorie banalmente affascinanti, non figlia delle interpretazioni del Grande Pensatore del tempo andato, ma di un sapere realmente etico, con gli occhi puntati in avanti, capace di liberare dal pregiudizio da una parte e di favorire la connessione di discipline dall’altra, di facilitare dunque uno sguardo d’insieme su fenomeni complessi all’insegna della contaminazione, fuori da ogni torre d’avorio.

Questo preciso sentire permea, idealmente, la nuova silloge. Preziosa e con voci autorevoli da ascoltare. Tra gli intervistati figurano: Andrea Camilleri, Giulio Giorello, Giovanni Leghissa, Gian Mario Villalta, Telmo Pievani, Carlotta Sami, Maria Cristina Amoretti, Mariachiara Tallacchini, Marino Niola, Luciano Canfora.

Il ruolo – la solo possibile sopravvivenza – dell’umanesimo e della filosofia stessa, le implicazioni etiche dell’impatto sempre più violento della tecnologia sulle nostre esistenze, la pericolosità di chi predica una sedicente «teoria del tutto», con il sapere impossibilitato a scrutare nuovi orizzonti, anzi con la messa in dubbio addirittura del metodo scientifico (la felice espressione è di Giovanni Amelino – Camelia, fisico napoletano intervistato da De Filippo e Frega nella loro prima raccolta) sembrerebbero rappresentare le ulteriori linee guida del testo. Il cui merito è anche di andare a fare i conti con l’attualità stringente. Provocante, da questo punto di vista, oltre al colloquio con Giulio Giorello, quello con il filosofo Giovanni Leghissa. Stupisce (l’ironico e significativo titolo del dialogo che rimbalza da Nietzsche, è: «Postumano, troppo postumano») quanto leggiamo a pagina 65. Alla domanda esplicita sugli ipotetici effetti di una catastrofe ai nostri giorni, qualche mese prima del febbraio ’20, senza dunque nulla sapere ancora della diffusione del coronavirus, il filosofo rispondeva:

«Se combini la crescita demografica – 11 miliardi nel 2050/60- con il rischio ambientale – dal 2030 al 2050 si chiude la finestra che abbiamo per prendere decisioni che possano incidere sul rischio legato all’ambiente – questo diventa irreversibile e noi moriamo di ebola, di dengue, ci saranno epidemie di malattie atroci (…). Se si verifica questo, che è lo scenario peggiore, l’unica soluzione è la guerra».

La speranza, certo, è che non tutto ciò che è in potenza passi all’atto. La capacità di misurarsi con l’imprevisto e con la multiforme e inclassificabile deriva del presente, di pensare l’impensato resta allora la qualità eminentemente filosofica che i nostri giorni sembrano richiedere. Anzi, è forse questa l’ultima personificazione possibile di una sorta di energia dello spirito (Ungaretti) per contrastare la deriva, l’attacco della violenza, le conseguenze disastrose e permanenti di un futuro cui è difficile dare volto e che, più d’uno degli intervistati, non guarda con troppo ottimismo.

Le società che abitiamo a velocità supersonica, hanno bandito dai nostri schermi la tristezza, cancellato la morte e celato l’orrore, ma da questa sottrazione non è rimasto il piacere, la gioia o la perfezione bensì individui inconsapevoli e storditi, alla sfrenata ricerca di ebbrezza, di una dose più potente per un ottundimento più duraturo. Abbiamo frainteso l’assenza di domande (e di risposte) con la nozione di libertà, la mollezza con la comodità, la vita quotidiana con Fortnite. Il risultato è che più siamo ricchi di possibilità maggiore è l’omologazione. E’ il pensiero unico temuto da Marcuse. Il mainstream è straripato: un solo, uguale messaggio dai media, dal cinema, dalla musica, dall’agorà incandescente e impazzita dei social. Occorrono più voci, come in questo libro, idee, dissonanze, tutta la libertà che filtra dalla consapevolezza; occorrono soprattutto comprensione, orientamento, in una parola, lo si ripeta, filosofia.