Daniele Scalise torna sul Caso Mortara

La storia risale a 27 anni fa. Ma in realtà gli anni sono 165.

Nel 1996 Daniele Scalise – giornalista d’inchiesta, corrispondente di guerra, programmista regista Rai, figlio di famiglia cattolica praticante (e questo non è un dato buttato a caso) – pubblica un saggio sul Caso Mortara.

Un’indagine storica

Ha indagato in archivi, biblioteche, conventi, ha letto i diari in cui si annota accanto alle spese minute la disperazione profonda: ha ricostruito la storia del piccolo ebreo Edgardo Mortara, che il 23 giugno 1858 la polizia dello Stato pontificio “rapì” alla famiglia.

Il giornalista Daniele Scalise

La motivazione: il bambino, che non aveva ancora compiuto sette anni, sarebbe stato battezzato di nascosto da una servetta. Edgardo viene così portato a Roma, sotto la protezione di Pio IX e non tornerà mai a casa.

In seguito deciderà di farsi prete, Don Edgardo Pio, e come tale condurrà una lunga vita, fino a morire in Belgio quasi 90enne, alla vigilia dell’invasione nazista.

Dal saggio al film, quindi al romanzo

Se la storia “dice” qualcosa è perché ispirandosi a questa Marco Bellocchio ha costruito il suo ultimo film, Rapito, che lo scorso giugno ha vinto sei Nastri d’argento.

Ventisette anni dopo l’uscita del saggio, con Un posto sotto questo cielo, Scalise adesso torna sulla storia di Mortara, narrandola però sotto forma di romanzo.

Romanzo dove le zone di invenzione si mescolano a quelle storiche, come la potente scena (presente anche nel film di Bellocchio) in cui il Papa costringe il ragazzo a disegnare per tre volte con la lingua la croce sul pavimento della chiesa.

Il libro era pronto da un po’ di tempo, ma giustamente Longanesi ha preferito aspettare l’uscita di Rapito. Che Daniele definisce “un capolavoro, il più bello di Bellocchio, e lo dico avendo visto tutti i suoi film ed essendomi fortemente commosso ai tempi di Nel nome del padre. Adesso, è come se avessi potuto conoscere dal vivo Egardo, i suoi genitori Momolo e Marianna, il fratello Riccardo… Ormai, quando penso a loro non posso che vederli con i volti di quegli interpreti, tutti bravissimi a partire dal bambino (Enea Sala, che recita il protagonista ai tempi del rapimento, ndr)”.

La lettera aperta al pontefice

Il romanzo però non è il film senza le immagini. È la stessa storia, ma è anche un’altra, è tutta una vita, sono i dolori e le allucinazioni e i rovelli mai risolti che Don Edgardo patì, che lo resero alieno dalla fede e dalla famiglia di origine e al tempo stesso inviso a tanti sacerdoti e vescovi.

Capitolo dopo capitolo, l’autore si addentra così nell’animo sempre più turbato del suo protagonista. Ma non dimentica di chi sia la responsabilità di ciò che avviene. Per questo è significativo il fatto che Scalise sia cresciuto in una famiglia fortemente cattolica: la sua non è la difesa del correligionario, ma è un indagare laico “sull’antisemitismo cattolico, che ha dato origine a quell’antisemitismo che poi ha portato alla Shoah”.

D’altra parte – prosegue lo scrittore – “il paragrafo 2, norma 868 del Codex iuris cattolico prevede tuttora che “il bambino nato da genitori cattolici o non cattolici che sia in punto di morte può essere battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori”.

A questa norma si appellò la Chiesa nel caso di Edgardo, perché la testimone giurava di averlo battezzato quando il piccolo stava per morire. Contro questa norma, Scalise ha scritto una lettera aperta al Papa, di cui Andrée Ruth Shammah, direttrice del Teatro Franco Parenti in cui è stato presentato il libro, ha deciso di farsi carico, con anche una raccolta di firme.

Dai fatti alla fiction

Tutto questo (importantissimo) impegno a latere non deve però far dimenticare la qualità del libro e quel suo delicato contrappunto fra realtà e immaginazione.

Una strada che Daniele Scalise intende ora continuare percorrere per tutta la sua “prossima vita”, in cui progetta di scrivere romanzi e memoir partendo da cose che sono realmente accadute, per reimmaginare luoghi, volti, pensieri.

Chissà che Bellocchio non sia pronto a dedicare un nuovo film a queste avventure. E magari a conoscere lo scrittore, che finora non ha mai incontrato.