Viaggio nella città-set di Ennio Flaiano

Diario di un’estate marziana di Tommaso Pincio è, appunto, un diario, nato, lo scrittore lo ribadisce più volte, involontariamente.

Non aveva previsto che il libro avrebbe preso questa forma, scrive. Quanto al marziano del titolo, il riferimento evidentemente è a Ennio Flaiano e al suo Un marziano a Roma, testo teatrale del 1960 che diventerà un film per la televisione nel 1983, 11 anni dopo la morte dello scrittore, giornalista e sceneggiatore.

Difficile definire Diario di un’estate marziana. Da un lato è una sorta di investigazione-omaggio della vita, delle opere, del detto e non detto di Flaiano.

Ma è anche un viaggio appiccicoso di caldo e umido in un’estate romana, oggi e ieri. Nei luoghi di Flaiano e, quindi, anche del cinema che, negli anni Cinquanta e Sessanta, scrive Pincio, erano indistinguibili dalla topografia stessa della città-set.

Così come nella Roma di Tommaso Pincio bambino. Quando le edicole – suo padre ne gestiva una – erano un luogo di incontro e in ogni quartiere c’era più di un cinema. La gente non ci andava per vedere un film, ci entrava e basta, a prescindere dalla programmazione, anche solo per ripararsi dalla pioggia, per riposarsi un po’, per passare il tempo.

Dentro al libro ognuno può ritagliarsi una propria mappa su misura. Scegliere le riflessioni su cosa sia l’ambiente letterario oggi (esiste ancora?), il racconto della Roma di Federico Fellini, e della Fregene di Alberto Moravia.

Oppure concentrarsi su Ennio Flaiano, autore di tante sceneggiature e articoli scritti per Il Mondo e il Corriere della Sera e di un solo romanzo: Tempo di uccidere, premio Strega nel 1947.

Un intellettuale e un uomo perennemente scontento di sé. Secondo Pincio non “infelice” ma “mortificato” da un vita cominciata come figlio indesiderato, “arrivato ultimo quando nessuno lo aspettava più”. E che, a soli 5 anni, fu mandato “altrove e cresciuto da genitori che non erano i suoi”.

Dunque, che cosa pensava Flaiano di se stesso, del suo lavoro? Qual era il suo rapporto con la città del cinema e con il cinema? E quanto l’idea che ci siamo fatti di lui, lo scrittore breve, capace di dare il meglio nelle frasi a affetto, negli aforismi corrisponde alla realtà?

Sotto alcuni indizi raccolti tra le pagine.

Nascita della “flaianite”

Scrive Pincio che diverse battute spacciate per sue, comprese le più note, in realtà erano di altri. “Ho poche idee ma confuse”, spiega è sì dentro Diario minimo, ma è dello scrittore Mino Maccari, e Flaiano la riporta soltanto. Lo stesso per “Siamo un pugno di uomini indecisi a tutto”, frase sempre di Maccari. Eppure nel tempo l’abitudine di affibbiare allo scrittore frasi non sue si è così diffusa da aver portato alla nascita di un neologismo, la flaianite, che si trova persino nell’enciclopedia Treccani. Questa la definizione: “Tendenza a citare o ad attribuire, talvolta, anche a sproposito, battute e aforismi dello scrittore e giornalista Ennio Flaiano”.

Il rapporto con Roma

Dopo i primi entusiasmi, Flaiano cominciò a provare un sentimento crescente di disillusione verso la “città del cinema”. Se a trent’anni scriveva una lettera a un’amica raccontandole una “Roma immensamente bella” (ma Pincio sospetta che potesse anche essere un’esagerazione per allettarla e convincerla ad andarlo a trovare) l’amore si estinse del tutto “dopo anni di diffidenza e delusioni”, arrivando all’insofferenza.

La città dei non incontri

Se Flaiano non amava la Roma di allora, chissà che cosa penserebbe nel vedere la città oggi, profondamente diversa, deteriorata, peggiorata. Di certo per Pincio il confronto tra la Roma di Flaiano, Fellini e quella odierna è impietoso. La loro era una città in cui – scrive con una punta di melanconia – ci si incontrava senza sforzo da Cesaretto o in un caffè di via Veneto. Mentre oggi, succede che dopo concitati scambi su whatsapp, si finisca con l’aperitivo annullato all’ultimo perché in troppi hanno disdetto per impegni vari. Incontrarsi è diventato faticoso, quasi impossibile. E, poi, la loro era una Roma che si girava a piedi o in auto. Mentre oggi c’è l’illusione della metro che dovrebbe consentire alle persone di muoversi più facilmente e che, invece, si blocca ogni tre per due oppure ti porta dove non vorresti andare.

Una commemorazione impropria

Gli omaggi della città allo scrittore, racconta Pincio, sono sbilenchi, imprecisi. Durante “un pellegrinaggio alla casa dello scrittore” in via Montecristo, sosta sotto la targa commemorativa posta dal Comune di Roma. Che recita: “Dal 1953, fino alla morte qui visse Ennio Flaiano con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole”. Una frase pescata dal postumo Diario degli errori. Ma, riflette, Pincio, allo scrittore non sarebbe piaciuta. Vedendola dall’aldilà, Flaiano avrebbe tutte le ragioni per chiedere: “Me state mica a cojonà?“. La ragione, spiega, è che la frase intera compariva nell’adattamento teatrale di Un marziano a Roma. In questa forma: “Colui che crede in se stesso vive con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole”. Non proprio la scelta più adatta per un uomo che era sempre stato insicuro e che disse che di tutto quello che aveva scritto nella vita “ci saranno sì e no tre pagine che non mi disgustano”. Non solo, Pincio ricorda anche che Flaiano non visse in via Montecristo fino alla fine dei suoi giorni perché, dopo il primo infarto, nel 1970 si era trasferito in un residence in via Isonzo 32.

Le concordanze

Inutile sarebbe una parola usata spesso da Flaiano. Nel Diario notturno, Pincio la conta 27 volte. Tra le varie inutilità anche la scrittura per il cinema, “il lavoro dello sceneggiatore”. Per tante ragioni. Compreso l’infantilismo del sistema. “Il cinema è come un bambino che vuole fare sempre lo stesso gioco. Dopo I vitelloni ci proposero Le vitelline, I manzi, Le mucche, I tori”, disse in un’intervista del 1960.

Lo sgarbo di Federico Fellini

I due, ricorda Pincio, si conobbero quando Fellini era ancora un vignettista per la rivista satirica Marc’Aurelio. Sono parecchie la pagine in cui cerca di scavare nelle pieghe di un rapporto che non fu mai chiaro, spesso conflittuale. Come poco chiaro fu l’apporto di Flaiano ai dieci film per cui quali lavorano insieme. “Anche se non scriveva materialmente le sceneggiature”, riflette Pincio, “forniva comunque più di un apporto e il fastidio per sentirsi usato come una bottiglia di Coca-Cola – ‘lui tira dalla cannuccia e aspira’ – è messo nero su bianco nella corrispondenza fra i due”. Insomma il regista, questa l’accusa, gli avrebbe vampirescamente succhiato idee e spunti per i suoi film. Anche se la rottura definitiva arrivò per uno sgarbo di altro tipo. Durante il viaggio a Los Angeles per la candidatura agli Oscar di 8 e ½, Flaiano si ritrovò a volare in economica mentre Fellini era in prima. Un “incidente” sul quale altri avrebbero potuto passar su. Non un uomo nato e cresciuto “mortificato”.