Le balene siamo noi

Sto leggendo Le regine dell’abisso, racconta come l’uomo sia legato ai cetacei. Parla della fine degli oceani, con l’inquinamento della plastica a livelli incredibili. E della fine del nostro modo di vivere, che non è più sostenibile. Sarebbe molto bello farci uno spettacolo”.

I consigli su che cosa leggere possono arrivare da tante parti. Amici, critici letterari, insegnanti. In questo caso la suggestione arriva da un attore e regista, che con i libri portati in scena ha affezionata consuetudine.

Massimo Popolizio ha appena presentato al Piccolo di Milano M. Il figlio del secolo, rilettura e rimontaggio del primo volume dedicato da Antonio Scurati a Benito Mussolini.

In precedenza, Popolizio aveva debuttato nella regia dirigendo Ragazzi di vita, tratto da Pasolini. E, in tempi più recenti, ha fatto Furore di Steinbeck riadattato da Emanuele Trevi. “Il libro”, dice “è una drammaturgia contemporanea. Rispetto a una drammaturgia nata per il teatro, ti lascia più libero, puoi essere più immaginativo e probabilmente la recitazione in terza persona che ti impone è più potente”.

Un conto, però, è ispirarsi a un romanzo, altra questione è ipotizzare una rappresentazione che nasce da un saggio. Ma quello che Popolizio definisce il fascino del “libro pericoloso” in realtà lo si capisce molto bene quando – seguendo il suo consiglio – ci si immerge nella lettura delle Regine dell’abisso. Sottotitolo: Come la vita delle balene ci svela il nostro posto nel mondo.

Il libro di Rebecca Giggs

L’attore lo anticipa per suggestioni. “Quando si fanno le autopsie alle balene spiaggiate, dentro si trovano oggetti come palle di neve marchiate Taiwan e vendute in Spagna: nello stomaco del cetaceo più giurassico della Terra c’è l’intero mondo. E noi lo uccidiamo”. Non sono solo palle di neve. Rebecca Giggs, autrice australiana delle Regine dell’abisso, elenca ritrovamenti incredibili. Lo stomaco di un capodoglio spiaggiato sulla costa spagnola conteneva per esempio “un’intera serra con tele cerate, pompe da giardino e corde, vasi di fiori, bomboletta spray e frammenti di iuta sintetica”. Un altro capodoglio aveva ingerito – intero – il motore di un’auto.

Di balene si è tornato a parlare proprio in questi giorni. Perché l’Islanda ha annunciato che dal 2024 ne sarà abolita la caccia. Restano nel mondo due Paesi che non rinunciano alla pratica, Norvegia e Giappone.

La Giggs, nel suo volume lungo oltre 400 pagine, ha raggiunto anche la coste giapponesi, dove i balenieri le hanno fatto assaggiare uno spezzatino a base di lingua di balena, il cui nome tradotto significa “cinguettio”. Raccontando la sofferta esperienza, la scrittrice e giornalista, si interroga anche sul perché continuare a uccidere balene e mettere in scatola tonnellate – la stima è di 3.700 – di carne che ormai quasi nessuno più vuole mangiare.

Fra numeri ed episodi vissuti in prima persona, tutto il libro si muove sul doppio binario del saggio e della narrazione autobiografica. Del primo fa parte la storia della caccia alle balene e del fascino che ha avuto, dalle incisioni rupestri al profeta Giona ingerito da una balena come, in seguito, Pinocchio.

Senza dimenticare naturalmente Moby Dick di Melville, le cui suggestioni arrivano oggi anche in teatro: spettacolo di punta della stagione dell’Elfo a Milano, è il Moby Dick alla prova in cui Achab viene interpretato da Elio De Capitani.

Alla storia si affiancano le cifre, anche impressionanti: nel Novecento si calcola siano stati uccisi 3 milioni di cetacei; all’inizio del secolo scorso esistevano circa 239.000 balenottere azzurre, che in 90 anni si sono ridotte a 2.000. E c’è il mondo di oggi: l’inquinamento acustico che per i cetacei può essere letale, e l’inquinamento della plastica che fa ammalare e uccide le balene. Non solo loro, peraltro: “La plastica”, si accalora Popolizio raccontando il libro, “si spezza in particelle che i pesci confondono per squame, mangiandole, e noi poi mangiamo i pesci che le hanno mangiate: significa che noi stiamo diventando plastica”.

Le pagine più autobiografiche si snodano invece fra due esperienza “letali. La prima – in apertura – è la “morte dilazionata” di una balenottera spiaggiata a Perth, con una lunga fine che sembra sia quasi impossibile (a meno di non provocare un’esplosione) accelerare per impedire le sofferenze. La seconda morte, cui la Giggs ha assistito, è – in epilogo – quella di una megattera morta a Newport, circondata da file di folla, troupe televisive, bambini piangenti e sedicenti esperti.

Trasformate in evento pop, le due morti raccontano però anche che “quello che perdiamo quando perdiamo un animale è la possibilità di considerare il mondo più vasto rispetto alla portata della nostra esperienza”. Inconsapevole, la folla piange la perdita di quello che Freud definiva “sentimento oceanico”, una sorta di sensazione di eternità e di infinito.

Come salvarsi? “Scrivendo ho capito che i nostri obblighi verso le altre specie non si adempiono nelle terre selvagge, ma nei dettagli della nostra vita quotidiana, nell’alimentazione, nei consumi, nei trasporti… Questo libro parla di quel che significa inquinare non solo i luoghi ma gli organismi, e non solo organismi ma esseri, una categoria di creature a cui abbiamo garantito un posto centrale nei nostri immaginari: le balene, su cui spesso abbiamo proiettato qualità umane”.

Come diceva Popolizio: le balene siamo noi.