Le nuove dinastie italiane (senza corona)

The Crown made in Italy oggi non ha corone ma conti. I Savoia sono ormai rimossi dalla memoria, nonostante i tentativi dell’erede Emanuele Filiberto che per affermare una rentrée regale, e intenzionato a “fare qualcosa di grande”, ha deciso di acquistare il Savoia, squadra di calcio campana.

In mancanza di re e regine, il testimone allora passa alle grandi – per ricchezza, per progenie (sono loro il vero antidoto al crollo delle nascite), per storia – famiglie. Ma anche queste non sempre vivono tempi d’oro.
Li e le racconta il giornalista Michele Masneri in Dinastie, “ritratti della vera nobiltà italiana. Quella senza blasone”. Premette Masneri: “Le grandi dinastie industriali si fingono morte o non italiane. I Crespi son spariti, gli Agnelli han cambiato cognome, i De Benedetti litigano soprattutto tra loro, i Berlusconi si moltiplicano mentre il business si assottiglia”.

 

Tuttavia, c’è chi resiste: a Firenze – spiega l’autore – le prime dieci famiglie per status e censo sono rimaste le stesse dal Quattrocento (secolo certo “Magnifico”, ma non sufficiente a giustificare l’immobilismo). E ci sono i nuovi arrivati che premono alle porte social. Primi fra tutti, i membri della nostra vera famiglia reale: Chiara e Federico, i Ferragnez.

Dinastie, che raccoglie incontri e interviste di Masneri, discende l’Italia con una mappa delle diverse famiglie, da Milano a Torino, da Roma alla provincia emiliana.

Masneri, che cosa caratterizza oggi una dinastia? L’antichità del “marchio”, i soldi…

L’avere un po’ di antichità del “casato” ma soprattutto più membri che fanno cose diverse.

Quale delle dinastie di cui si è occupato è più vicina al concetto di reali (intese come teste coronate)?

Secondo me i Ferragnez, che nonostante siano una dinastia giovane hanno tutte le caratteristiche delle famiglie reali: l’esposizione, la beneficenza, la suddivisione dei ruoli, e poi i giovani principi che abbiamo cominciato a conoscere fin da bambini, anzi prima, con le ecografie e le amniocentesi condivise con i follower-sudditi.

Leggendo le storie raccontate nel libro, sembra che la maggior parte di queste famiglie abbia un’anima “sinistra”: giusto o sbagliato?

Direi che in ogni famiglia ci sono luci e ombre, poi ovviamente nelle grandi famiglie sia le prime che le seconde vengono enfatizzate.

In Italia non c’è una singola dinastia di riferimento, e questo corrisponde alla storia frammentata del Paese. Questo è un handicap?

Beh, non essendo una monarchia, non siamo tenuti ad avere una dinastia di riferimento.

Mentre usciva il libro, Letizia Moratti ufficializzava la candidatura alle elezioni regionali. Se lo aspettava? E poi: potrebbe essere vista (Letizia) anche iconograficamente come un incrocio fra la regina Elisabetta e Margaret Thatcher?

Letizia Moratti sicuramente ha un alto profilo “dinastico”, diciamo così. Proviene da almeno tre famiglie antiche o vecchie che hanno avuto ruoli pubblici, i Moratti, i Brichetto, gli Arnaboldi. Lei poi si è sempre spesa molto, come ministro della Cultura, come presidente della Rai, come sindaco di Milano. Più che Elisabetta direi Thatcher, anche se oggi si è improvvisamente scoperta di centrosinistra.

Che cosa ci possiamo aspettare dai rampolli ultima generazione? C’è qualcosa che li accomuna?

Sicuramente hanno in comune il fatto che studiano tutti all’estero e generalmente puntano a impieghi nella finanza.

Come vede la dinastia Berlusconi?

Hanno una enorme prolificità: Berlusconi si vanta dei suoi 17 nipoti…

Se è vero che l’Italia è fondata sulla famiglia, qual è quella che meglio la rappresenta?

Forse proprio quella Berlusconi, con tutte le contraddizioni, il fondatore garante dei valori del centrodestra cattolico ma spericolato in amore e negli affari… Con le zie suore, con l’attaccamento alla mamma.

Da intervistatore: che effetto fa entrare a contatto con queste persone, nel lusso delle loro case e delle loro vite?

È sempre interessante vedere dove e come vive un certo tipo di persone.

Le hanno chiesto di rileggere quello che aveva scritto? 

Spesso. Ma non lo faccio mai.