Perché i Led Zeppelin sono la più grande band della storia del rock

Qual è la più grande band di rock? I Rolling Stones, viene subito da rispondere. Ma si può legittimamente pensare agli Who, apparsi appena un anno dopo gli Stones; e, con altrettante giustificazioni, vengono in mente i Led Zeppelin.

Un’ottima soluzione al quesito è rispondere dicendo che i migliori sono proprio tutti e tre i gruppi citati; un modo per dire che non esiste la miglior band, ma esistono le tre più grandi.

Del resto, dalla loro i Led hanno alcuni dati incontrovertibili:

Le vendite ammontano a oltre 300 milioni di dischi; mentre gli Stones sono a quota 250 e gli Who a 100;

sul piano tecnico Jimmy Page è considerato dalle riviste più attendibili (in primis Rolling Stone) il terzo miglior chitarrista della storia – dopo Jimi Hendrix ed Eric Clapton e prima del recentemente defunto Jeff Beck;

sempre per le performance, il cantante Robert Plant è in quindicesima posizione;

il batterista John Bonham è unanimemente al primo posto, seguito da Keith Moon degli Who e dall’ex Cream Ginger Baker;

dal canto suo, John Paul Jones è assiso al trono numero quattordici dei bassisti (oltre a essere ottimo tastierista e buon cantante accompagnatore).

Fra la ventina di monografie zeppeliniane se ne segnalano ben quattro firmate dal noto critico musicale Chris Welch (per decenni firma di prestigio di Melody Maker).

Il testo di Spitz è già da molti considerato il testo definitivo sul quartetto con maggior decibel della storia rock. L’autore sessantenne ha firmato due ottime biografie (su Beatles e Bob Dylan); ha affiancato la scrittura con il lavoro di manager di star quali Bruce Springsteen ed Elton John.

La biografia sul gruppo rock di Bob Spitz

Mi sembra sia proprio la compresenza fra documentazione/scrittura e attività di organizzatore concertistico e responsabile finanziario a giustificare le numerose pagine dedicate a Peter Grant. È proprio lui che mischiando arroganza, furbizia, aggressività, fare manesco riesce a diventare il quinto Led, procurando al gruppo i contratti più vantaggiosi mai visti fino al ‘69 nel mondo del rock/pop. A differenza dei primi anni finanziariamente alquanto modesti (almeno rispetto alle enormi potenzialità) per Beatles e Stones, rispettivamente seguiti da Brian Epstein e Andrew Loog Oldham.

Una volta letto questo voluminoso volume (720 pagine) concordo con molte recensioni che fanno notare un limite (più che un difetto) dell’opera di Spitz: la buona idea di raccontare in profondità l’atmosfera di stage, concerti, dietro le quinte, vita privata di Page/Plant/Jones/Bonham finisce con la sovrabbondanza di particolari ripetitivi basati su alcune assolute passioni, vizi, dipendenze di gruppo e entourage.

Si va dalle ragazzine (spesso minorenni), le sempre disponibili groupies, all’abbondanza illimitata di droghe di ogni tipo (in particolare cocaina, potenti psicofarmaci come il Quaalude, eroina), dai flussi inarrestabili di denaro all’atteggiamento aggressivo, polemico, asociale dei quattro artisti e del loro manager.

Dal profilo storico e narrativo l’opera di Spitz risulta efficace, approfondita, capace di evocare un’epoca che segna, fra anni Sessanta e Settanta, l’affermarsi della seconda generazione del rock. A differenza di quella che fa la sua comparsa con Bill Haley nel 1954 ed Elvis Presley nel ’56, l’esplodere di beat, folk, rock blues, heavy porta a un autentico sconvolgimento sul piano sociale, culturale, morale; spesso perfino politico.

I Led Zeppelin inaugurano un proprio stile musicale ed esistenziale segnando una veloce quanto irrimediabile frattura con il vicino passato di Beatles e Stones, Dylan e Byrds.

Riescono, come accennato, a essere loro (tramite l’astuto e pericoloso Grant) a dettare le leggi commerciali su contratti e guadagni, concerti e dischi. Rifiutano i 45 giri – qualcosa d’inconcepibile fino al ‘67/68; concentrano il massimo dei concerti negli Stati Uniti, lasciando passare quattro anni senza esibirsi nel Regno Unito (1973/77); si concedono di non titolare i primi quattro album, chiamandoli semplicemente Led I, II, III, IV.

Quanto poi ai capricci, alle violenze in albergo, all’aggressività verso pubblico e stampa, fino al maschilismo e al disprezzo per molte donne rappresentano purtroppo il lato oscuro di una band che sul palco e in studio cerca di dare il massimo. Quando fiumi di alcol, guantiere di cocaina, siringhe di eroina, nottate folli di sesso e vandalismo non li riducono a pupazzi semi incoscienti.

A fine 1980 la morte a soli 32 anni di John “Bonzo” Bonham, batterista geniale, alcolista, dal carattere impossibile, chiude dodici anni di pagine fondamentali nell’intera storia del rock.

Con il concerto finale, il 10 dicembre 2007, all’Arena 02 di Londra i tre superstiti lasciano una memoria indelebile.

Scrive Spitz, concludendo il suo bel volume (p. 596):

Per una volta il tributo che avevano pagato allo scorrere del tempo – la droga, il dramma, la tragedia, lo scontro di personalità – aveva alimentato la musica, invece di danneggiarla. (…) I Led Zeppelin si erano finalmente guadagnati le recensioni e gli elogi che avevano inseguito per quasi quarant’anni.