Siete pronti a innamorarvi del mostro?

La prima volta che ho incontrato Donato Carrisi era il 2009. Longanesi stava per pubblicare il suo primo romanzo Il suggeritore ed era evidente che su quel “debutto” la casa editrice puntava tantissimo. Avevano ragione perché, da allora, Carrisi è diventato uno degli scrittori italiani più popolari, nonché il regista di tre film tratti dai suoi noir: La ragazza nella nebbia, uscito nel 2017, L’uomo del labirinto, nel 2019, e adesso Io sono l’abisso, al cinema dal 27 ottobre.

Se nei primi due film, aveva puntato su attori come Toni Servillo e Jean Reno (Per La ragazza nella nebbia) ed era riuscito persino ad avere Dustin Hoffman per L’uomo del labirinto, in Io sono l’abisso, Carrisi fa un’operazione inversa. Non svela il cast. Se gli spettatori saranno abbastanza curiosi scopriranno chi interpreta i personaggi, in primis il serial killer della storia, solo al momento dei titoli di coda. Lui stesso, racconta, ha scelto gli interpreti “ascoltando le loro voci, non volevo sapere chi fossero”.

La locandina del film “Io sono l’abisso”

L’attore protagonista di Io sono l’abisso che lui non nomina (e noi per rispetto della sua scelta facciamo lo stesso) “ha vissuto tutto il periodo delle riprese isolato, non poteva parlare con nessuno neppure al cellulare, arrivava sul set già truccato, nessuno lo ha mai incontrato in abiti civili tranne le due truccatrici. L’unico cui poteva rivolgere la parola sul set ero io. Era necessario per rendere lo stato di alienazione del personaggio. Dopo l’ultimo ciak è scoppiato a piangere a dirotto”.

Per chi non avesse letto il romanzo, questa la trama, in breve, del libro: siamo sul lago di Como. Qui, un addetto alla raccolta dei rifiuti di giorno e serial killer di signore di una certa età di notte, salva un’adolescente – la ragazzina col ciuffo viola – che sta annegando. La lascia a riva e scappa, perché ha passato tutta la sua vita nascondendosi e sa che esporsi potrebbe essere la sua fine.

Eppure fra i due nascerà uno strano legame che lo “costringe” a continuare a proteggerla (la ragazza è vittima di un ricatto sessuale). Intanto, dal lago riemerge la mano della sua ultima vittima, abbastanza per consentire alla cacciatrice di mosche, una donna che dedica tutta se stessa a scovare le donne vittime di violenza domestica, di mettersi sulle sue tracce.

Carrisi definisce libro e film “un thriller anomalo, mischiato con il dramma, una storia anche molto romantica. Alla fine lui muore, la cacciatrice di mosche vince. La detection è piuttosto scontata. In realtà i colpi di scena viaggiano altrove, nell’abisso sotto i piedi dello spettatore”.

Com’è nato Io sono l’abisso?

La storia mi girava in testa da parecchi anni. Stavo per cominciare a scriverla e, invece, mi sono fermato. Ho ripreso un anno dopo. E quel tempo mi è servito per elaborare un mucchio di cose. Se il libro lo avessi scritto prima di quell’anno fatale ne sarebbe uscita fuori una storia diversa.

Un anno che ha coinciso con i lockdown?

Con quello e con la nascita del mio secondo figlio.

Quello che voleva convincere ad aspettare di venire al mondo nel 2021?

(Ride). Mi sarebbe piaciuto che potesse saltare quell’anno orribile… Ma, in realtà, Vittorio è nato a giugno del 2020, in piena pandemia. Alla fine, però, la sua nascita in quel momento è stata propizia.

Il più grande invece, Antonio, quanti anni ha?

Sette e mezzo. Non credevo di avere questa vocazione per la paternità. Sono stato sempre restio a fidanzarmi, sposarmi… E, invece, mi è venuta fuori tutta di botto. E devo dire che i miei figli sono una componente fondamentale della mia vita. Senza i loro risvegli notturni molte storie non sarebbero nate.

La tengono sveglio e attivo.

La ragazza nella nebbia è nata una notte mentre stavo cambiando il pannolino ad Antonio e preparavo il biberon. Per Io sono l’abisso è successo più o meno lo stesso. Vittorio era appena nato e nelle notti insonni prendevo appunti.

Quindi ai giovani scrittori consigliamo di fare figli?

Diciamo che consiglio di dormire poco.

All’inizio del film vediamo il futuro serial killer da piccolo con la mamma. Sta per annegare in una piscina e lei, invece, di soccorrerlo, se ne va. L’idea che una madre possa essere così crudele ci fa orrore.

Il problema è ragionare per stereotipi. La maternità è complessa, non basta l’amore. Le madri stesse lo raccontano, anche se in segreto. Come per l’umanità in generale, il bene e il male non sono mai separati. È vero che quella madre è crudele nei confronti del figlio, però lei stessa è stata vittima di crudeltà da parte di suo padre. All’origine del male c’è sempre una figura maschile. Chi vuole incenerire i nostri figli?

Immagino si riferisca alla minaccia di una guerra atomica.

Fa parte della natura dell’essere umano, non è solo una questione culturale, sennò i cambiamenti sarebbero più rapidi. Dimentichiamo che non siamo esseri perfetti, cerchiamo di “sterilizzare” la realtà con il politicamente corretto, di mettere etichette alle persone, questo è buono, questo è cattivo. Tant’è che il serial killer di Io sono l’abisso è anche buono. Nel libro ti costringo a innamorati del mostro.

La storia affronta anche il tema della violenza sulle donne, dall’uccisione della figlia della cacciatrice di mosche da parte del suo compagno al ricatto sessuale nei confronti della ragazzina col ciuffo viola.

Una delle regole dei profiler è che per catturare il serial killer devi pensare come lui. Ma c’è anche un’altra regola: per prenderlo devi capire come ama. Non esistono esseri umani incapaci di amore. Tutti siamo capaci di atti terribili e di gesti incredibili di generosità.

Ha più volte definito la sua famiglia di origine “matriarcale”. In che senso?

Le donne ci hanno salvato. Senza di loro ci saremmo estinti.

Prosecuzione genetica a parte?

La nonna materna, per esempio, è stata molto presente, ha trasmesso la sua forza a tutta la famiglia. Lo faceva in modo non convenzionale.

Ovvero?

Sono cresciuto con i miei cugini e cugine in un palazzo costruito dal nonno in cui abitavamo tutti, una specie di comune. A casa di nonna ogni sabato pomeriggio per noi bambini c’era il rito della torta mora. La metteva al centro del tavolo e non ci dava piattini e forchette: dovevamo mangiarla con le mani. Una metafora della vita: con le cose belle ci si sporca, il muso le dita…

Altre metafore casalinghe?

Le fiabe della buonanotte che mi raccontava mia madre e che erano spesso piuttosto horror, persino macabre, ma che contenevano sempre una morale, anche se ero troppo piccolo per capirlo. Le inventava apposta per me.

Allora è da lì che viene la passione per lo storytelling.

Assolutamente. E sempre mia mamma mi ha sbattuto su un palcoscenico quando avevo 5 anni. Era una professoressa di Italiano e amava il cinema, il teatro, organizzava recite per i suoi studenti e, siccome avevo un certo talento, mi coinvolgeva negli spettacoli.

Suo padre, invece, era avvocato?

No. Anche lui professore, insegnava arte, e scenografo. Ma tutti gli altri Donato erano avvocati.

È vero che quando era piccolo i suoi genitori hanno rischiato più volte involontariamente di ucciderla?

Forse neppure tanto involontariamente (Ride). Hanno provato ad ammazzarmi in vari incidenti domestici. Ma io contribuivo, perché ero un bambino tremendo.

Che cosa faceva?

Una volta sono scomparso. Eravamo in un albergo in montagna e io mi sono nascosto in un posto da dove potevo osservare la reazione dei miei genitori e degli altri ospiti. Ho visto montare la loro disperazione ma io, sadico, rimanevo lì. Mi ha salvato la simpatia e il fatto di avere un angelo custode molto bravo.

Mi sembrava di ricordare che il suo angelo custode fosse cattivo.

Cattivo nel senso che me ne faceva fare di ogni. Ma efficiente nel salvarmi.

È vero che inventava storie di paura per terrorizzare gli altri bambini?

Una volta dissi ai miei amichetti che a Martina Franca c’era un tizio che rapiva i bambini e gli tagliava la testa.

La primissima storia che ha scritto?

In realtà le registravo. Ho ancora la cassette. Ogni tanto le ascolto. Poco tempo fa ne ho fatta sentire una a mio figlio Antonio. Ascoltare la voce del papà da piccolo lo ha un po’ “turbato”: Anche mio padre è stato un bambino?.

A suoi figli che storie racconta?

C’è stato un momento in cui inventavo storie per Antonio. Adesso è lui che le racconta a me. Ho passato il testimone. Tra l’altro, a novembre, esce la mia prima fiaba, La casa delle luci. L’ho scritta in modo che i bambini la possano leggere in un modo, gli adulti in un’altra».

Quando ha cominciato a pensare di dirigere i film tratti dai suoi libri?

A 19 anni, avevo già scritto il mio primo spettacolo teatrale. Da giovane ero un autore di commedie e, in Puglia, avevo anche una piccola compagnia teatrale. Poi, a Roma, per tanti anni ho fatto lo sceneggiatore e il regista delle seconde unità. Stavo sempre sui set e mi portavo dietro il copione di quello che poi sarebbe diventato il romanzo Il suggeritore. Nessuno voleva farne un film, dicevano che il genere thriller in Italia non funzionava. Una volta che mi sono creato un pubblico come scrittore, allora, sono tornato dietro la macchina da presa.

Com’è stato dirigere Dustin Hoffman?

Temevo che volesse imporre il suo metodo e, invece, è stato disponibilissimo. Mi ha seguito. Quando facevamo le prove nella sua casa di Londra andavo a trovarlo ogni fine settimana e dormivo lì. Posso dire di aver avuto il mio spazzolino a casa di Dustin Hoffman.

Lo sente ancora? Come sta?

Sta bene, benissimo. È un ragazzino. L’ultima volta che sono andato a trovarlo gli ho portato un caciocavallo pugliese ed è stato capace di mangiarselo tutto in una sera.

Lei ha un metodo come regista?

Sul set uso il metronomo per dare il tempo della recitazione.

Lascerebbe a qualcun altro la regia di un film tratto da un suo libro?

Sì, ma avrei comunque bisogno di ritagliarmi un ruolo creativo dietro la macchina da presa. Devo essere il garante delle mie storie. Altrimenti potrebbe succedere quello che abbiamo visto con Il collezionista di ossa. Il film ha anche avuto successo ma il finale, diverso dal romanzo di Jeffery Deaver, è pessimo.

La gente tornerà al cinema dopo la pandemia?

Ci sono storie che vanno per forza viste al cinema. E chi “confeziona” i film lo fa pensando a un pubblico che esce di casa, trova posteggio, paga il biglietto e si siede in una sala buia. Ma tu la necessità di fare tutto questo gliela devi dare. Quando uscì La ragazza nella nebbia, andavo a vederlo in sala e, quando si arrivava alla scena finale, la gente reagiva all’unisono facendo”Ooooh”. È una cosa che non può succedere sul divano di casa tua.

La pandemia avrà un effetto anche sulle storie che leggeremo e vedremo?

Non solo la pandemia. Anche la guerra. Le storie diventeranno sempre di più un rifugio contro il caos.

Da padre che effetto le fa sentire parlare della possibilità di un Armageddon?

Quello che sta accadendo è surreale. Quello che mi preoccupa è la banalità del male da cui non possiamo proteggere nessuno. Il mio professore di criminologia diceva che gli stupidi sono i più pericolosi. Mi sembra che in questo momento storico gli stupidi siano anche orgogliosi di esserlo. Ma credo di sapere il perché.

Dica.

La ragione è l’interconnettività in cui viviamo, soprattutto quella dei social media.

Non sono sicura di aver capito.

Fino a un po’ di tempo fa l’invasione della Russia avveniva tramite le fake news. È partito tutto da lì. Lo stesso per Trump, i populismi…