Nell’opera poetica, saggistica, teatrale di T. S. Eliot (come amava farsi chiamare) si ritrova un legame fra conoscenza ed espressione artistica di una rara intensità.
Il reale gli appare semplicemente inafferrabile già al tempo degli studi accademici di primo ciclo. È per questo che alla prestigiosa università di Harvard preferisce cambiare da filosofia a letteratura. Scrivere, poetare, rappresentare una storia a teatro, immaginare un romanzo: tutto è in grado di riconnettere mente e senso, razionalità e sensibilità. Ben più della speculazione filosofica.
Dante Alighieri gli appare presto come una sorta di mago del linguaggio più adatto per esplorare la vita quotidiana e il mondo che abitiamo: la lingua dell’allegoria. Il poeta deve cercare, perlomeno, di far intravedere ciò che lui stesso riesce a vedere. L’apparato allegorico è una serie di “chiare immagini visive”; nulla a che fare con la noia del gioco enigmistico al quale spesso lo si associa.
Proprio in tema di far vedere, il primo atto cosciente del poeta è la “similitudine”.
Come dice Daniele Gigli nel suo studio monografico dedicato alle principali opere del premio Nobel anglo-statunitense , T. S. Eliot, nel fuoco del conoscere (Edizioni Ares, Milano, 2021, 166 pp.): “La similitudine, il dire ‘questo è come quello’ (…) è il primo atto cosciente del poeta (…). Eliot non fa quindi che riportare la poesia alla sua origine di oggetto – stupore per l’essere – e di metodo – giudizio“. (p. 14)
L’uomo è colpito dalla meraviglia della bellezza; vivere a contatto con l’arte fa rinnova lo stupore per le similitudini colte dal creatore.
Il lavoro di Gigli riesce a leggere un autore considerato “iper intellettuale e difficile” nel suo legame con gli studi classici, la sensibilità religiosa, il desiderio di un’altra Patria.
Ecco allora il vagare per le aule universitarie.
Segue il trasferimento in Inghilterra già a vent’anni, appena laureato. Last but not least, l’insoddisfazione per le chiese statunitensi; cui fa seguito la scoperta della salvezza nella Chiesa anglicana. Nel 1927 riceve il battesimo dal vescovo di Oxford. È il momento in cui racconta di sentirsi “come se avessi attraversato un fiume larghissimo e profondo” (p. 109).
Quanto alla difficoltà delle opere (condivisa con il meglio dell’arte moderna, da Schönberg a Pound, da Picasso a Joyce), Eliot si convince di “non voler essere capito”, giacchè la sua poesia non è affatto una sorta di comizio.
L’arte serve a rarefare la ricerca della realtà in cui siamo gettati dalla nascita. Il lettore deve imparare a lasciarsi condurre abbandonandosi a una forma mentis altra da quelle abituali che incontra. Suono, ritmo, immagine finiranno per avvolgerlo felicemente ancora prima che un qualsiasi significato si manifesti.
C’è uno spessore di religiosità nell’opera eliotiana: lo si vede dalla concezione dell’arte, dalla conquista della confessione anglicana, dalla scoperta della cultura orientale – confucianesimo e induismo. Potenti fattori conoscitivi che allargano l’orizzonte eliotiano per curvarlo all’infinito.
Mentre il poeta si sposa affrettatamente il padre muore e la terra nordamericana si fa remota. I simbolisti e Baudelaire diventano gli ispiratori del primo periodo compositivo.
La stagione poetica segnata dai capolavori più noti si apre con Ezra Pound che prende Thomas Eliot sotto la propria ala protettiva. Un cambiamento capitale per la lirica dell’intero Novecento e per l’arte moderna più in generale. L’allievo è timido e riservato; il maestro allora lo immerge negli ambienti più aperti e anche spregiudicati della cultura londinese.
È sempre grazie a Pound che Eliot rimane in Inghilterra dedicandosi alla carriera letteraria, rinunciando così a quella accademica negli Stati Uniti. L’intervento dell’autore dei Cantos sui Waste Land (In italiano, La terra desolata) è decisivo e massiccio. Fa riscrivere, tagliare, modificare nel profondo.
Ed è interessante osservare come Gigli scelga per quel primo lavoro poetico eliotiano un altro titolo: Il Paese guasto anziché, appunto, il classico La terra desolata. Salutare operazione che ricorda Renata Colorni che ritraduce la Zauberberg di Thomas Mann, non più come Montagna incantata bensì magica.
Simile come effetto alle opere della Lost generation statunitense a Parigi (Hemingway e Fitzgerald, Dos Passos e la Stein), quella eliotiana appare nel dicembre 1922. Siamo nell’Europa uscita da appena quattro anni dalla Grande Guerra. The Waste Land come inno di una nuova generazione che ha smarrito i propri punti di riferimento, assistendo alla dissoluzione della civiltà che Stefan Zweig chiama Il mondo di ieri.
Seguirà altra potenza di significato, sempre nel miracoloso equilibrio fra conoscenza ed espressione, con i Quattro quartetti (1939/43) a concludere il percorso poetico di Eliot; che passa alla scrittura teatrale in versi (il capolavoro Murder in the Cathedral, 1935 – Assassinio nella cattedrale).
Pensiamo ai due incipit – del ’22 e del ’39.
- La terra desolata, Einaudi, Torino, 1993, p. 17: Aprile è il più crudele dei mesi: genera/ Lillà dalla morta terra, mescola/ Ricordo e desiderio, stimola/ Le sopite radici con la pioggia primaverile.
2. Quattro quartetti, Garzanti, Milano, 1982, p. 5: Il tempo presente e il tempo passato/ Son forse presenti entrambi nel tempo futuro,/ E il tempo futuro è contenuto nel tempo passato/ Se tutto il tempo è eternamente presente/ Tutto il tempo è irredimibile.