Se avete visto SanPa – Luci e ombre a San Patrignano, se pensate che la docu-serie andata in onda su Netflix a fine 2020, sia tra le migliori prodotte negli ultimi anni e vi piacerebbe scoprire come e perché è stata realizzata, allora non potete perdervi il libro Una storia comune. Sanpa: io, noi, tutti, appena pubblicato da HarperCollins.
L’autore, Carlo Gabardini, è lo stesso che ha scritto la serie. E che, dopo la potente reazione scatenata dai cinque episodi che hanno poi ricevuto un premio speciale ai Nastri d’Argento 2021, ha deciso di “continuare a convivere per un altro anno con tutte le domande che avevamo spalancato e che non ne volevano sapere di scrollarmisi di dosso“.
Il risultato sono 280 pagine dove la ricostruzione delle indagini che hanno portato alla realizzazione della serie si alterna all’evocazione dell’Italia degli anni ’80, che Gabardini fa rivivere evocandone atmosfere, desideri e timori, anche attraverso il ricordo delle proprie vicende familiari e personali, come la drammatica storia d’amore con Marco, un giovane che ha tanto amato e che è morto suicida.
“Tutti abbiamo avuto un tossico in casa oppure ci siamo chiesti se il tossico eravamo noi“, scrive Gabardini nel libro, che non ha niente a che vedere con l’ennesima ricostruzione delle vicende della comunità di San Patrignano. Al contrario: la figura di Vincenzo Muccioli qui resta quasi sempre sullo sfondo, pur impregnando ogni pagina, a partire dalla prima dove, dopo aver ricevuto un messaggio su WhatsApp dal produttore cinematografico Gianluca Neri, Gabardini si chiede: “Perché occuparsi della storia di Sanpa? Perché raccontarla oggi?“.
Inizia così un viaggio nella memoria e in una parte della storia d’Italia che sarebbe impossibile comprendere se non contestualizzandolo, facendo rivivere quello che succedeva e che eravamo, e quello che in quel periodo era l’eroina in Italia.
“Penso che non si possa comprendere nulla di Vincenzo Muccioli senza averlo prima inserito nel suo contesto“, scrive l’autore nel libro, “o li riportiamo a quel tempo lì, gli spettatori, altrimenti senza il contorno, senza lo scenario, è impossibile capire cos’ha significato questa vicenda. È necessario ricordare che ogni giorno venivano rubate autoradio, soldi, catenine; che ogni famiglia aveva in casa il figlio maledetto di cui non si poteva parlare anche se chiunque sapeva che se l’era preso la droga; figli a picchiare nonni e genitori per strappar loro qualcosa da vendere al rigattiere per la dose. La metafora degli zombie è molto precisa, le stesse persone che prima pensavi di conoscere all’improvviso, punte dall’eroina, ti si rivoltano contro. Lo Stato assente per impreparazione, famiglie ricche e famiglie povere abbandonate a loro stesse a combattere da sole. Le figlie contro le madri a strapparsi i capelli per la libertà di un buco, fratelli contro sorelle, padri piangenti senza sapere che fare, la prostituzione come alternativa al furto, i morti per strada, sotto gli occhi di tutti“.
E all’improvviso una figura che si erge sopra tutte le altre, Vincenzo Muccioli, romagnolo, primo di due figli, che invece di studiare lascia la scuola e si mette a lavorare con suo padre nel campo delle assicurazioni e poi, dopo aver sposato la figlia di due agiati albergatori, diventato a sua volta padre di due bambini, lascia a Rimini moglie e figli e si trasferisce in un piccolo podere nel comune di Coriano, la cui via d’accesso di chiama San Patrignano, per dedicarsi all’agricoltura e all’allevamento di pregiate razze canine e all’agricoltura.
Qui Vincenzo comincia a interessarsi alla parapsicologia. Crea un “cenacolo” dedito alle sedute spiritiche e alla medicina naturale, dove lui stesso fa il medium e dice di essere la reincarnazione di Cristo. E intanto si avvicina alle problematiche del disagio e dell’emarginazione, specie dopo che, nel 1978, arriva in quella che diventerà la comunità di San Patrignano la prima ospite: una ragazza trentina figlia di amici di famiglia.
Parte tutto da lì: una ragazza tirata fuori dalla droga. Poi tanti altri. Finché i giovani ospiti da salvare non arrivano a trenta e Muccioli fonda la cooperativa di San Patrignano, con l’obiettivo di fornire assistenza gratuita ai tossicodipendenti e agli emarginati.
Arrivano i primi finanziamenti, e soprattutto il determinante aiuto di Gian Marco e Letizia Moratti che, nel corso del tempo, arriveranno a investire 286 milioni di euro. Ma arrivano anche le critiche e le accuse a Muccioli di usare metodi troppo violenti: botte, catene per impedire ai ragazzi in crisi di astinenza di scappare, due suicidi e finanche l’omicidio di un giovane, Roberto Maranzano, da parte di alcuni ragazzi della comunità. Un delitto di cui esistono prove che Muccioli fosse a conoscenza.
Ai due processi scaturiti da questi episodi, l’Italia si divide. Da un lato le madri dei ragazzi salvati che piangono fuori dal tribunale e lo difendono, dall’altro le foto delle catene pubblicate sui giornali e i ragazzi che sfilano davanti ai giudici e raccontano le violenze.
Assolto al “processo delle catene”, Vincenzo Muccioli muore a 61 anni il 19 settembre 1995, poco prima che la Corte di Cassazione stabilisca che sarebbe dovuto essere processato per la morte di Maranzano con la più grave accusa di maltrattamenti seguiti da morte.
Restano le polemiche sulla sua figura di santone o demonio, e sulle cause della sua morte, forse dovuta all’Aids contratta in comunità. “Ma io, alla fine, di Vincenzo Muccioli, cosa penso?“, scrive Gabardini, “tutto il possibile, il bene e il male, sono stato muccioliano, antimuccioliano, soldato, critico, collaborazionista, possibilista, in dubbio, discepolo, contrario. È successo a tutti, in writingroom. È il motivo per cui ci siamo detti chiaramente che questa altalena di giudizi che a un certo punto mette in dubbio il giudicare in sé sarebbe dovuta rimanere un filo conduttore della serie“.
Da qui la risposta alla domanda della prima pagina del libro: “Perché occuparsi della storia di Sanpa? Perché raccontarla oggi?“. Perché, scrive Gabardini, “far finta di dimenticare è sempre un piano fallimentare. Le storie fanno parte di un humus collettivo, spuntano come funghi quando meno te lo aspetti; pensi che sia finalmente finita e sepolta, poi invece basta una pioggia e una spora o un rimorso e risalta fuori tutto“.