Si isolò come un padre del deserto,
per ritrovare la prima chiamata:
calcò antichi sentieri di gesso.
Iniziò a costeggiare canali,
strade affioranti dalla marea,
evitando il vaiolo delle capitali.
Vennero quartieri contaminati,
Pryp’jat’ fasciata da radiazioni,
i cerchi che segnavano Milano.
Ricordò il calvario di Grossman,
l’agonia sulle catene d’Armenia:
stremato dal cancro si chiedeva
se oltre la frontiera di Caino
avrebbe rivisto l’Orsa in cielo
e i meli imbiancare in aprile.
Vide molte croci senza nome,
ferri nella crosta congelata:
Stat crucis dum volvitur orbis.
Frati cantavano in stagni gelati,
si nutrivano di cielo per osmosi,
cullavano farfalle sulle mani.
Abitavano solitudini e deserti
e intercedevano per i demoni
che versavano piombo nelle vene.
I miti chiedevano una fine in luce
e la rugiada della Maddalena,
avvinta al suo sposo nel giardino.
L’eternità sul palmo della mano
e la stella del mattino, la stella
che mai conosce il tramonto.