Napoleone e la prospettiva nella storia

1, Samuele, 17, 49: Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s’infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra. «Egli è, immobile e libero. Egli sarà, contro gli Dei, Dio, gli Imperatori. Per sempre, Davide che sopraffà Golia, Prometeo che dona il fuoco al popolo».

Le 17 e 49 sono l’inizio di un impero indistruttibile, la costruzione dell’imperituro mito che vale tutti i regni messi insieme. Napoleone non ci pensò mai a un impero fatto di terra, al sudore di conquiste continue, alla snervante e perigliosa amministrazione di contadi e Stati, il materiale umano che possedeva era insufficiente, i francesi troppo imbecilli e pigri e lui non aveva il fisico e la bellezza di Alessandro per farsi portare sul Gange. Voleva solo vincere l’oblio che ammanta le vite degli anonimi, deridere i tiranni e tratteggiare i contorni dell’eroe alla sua figura popolana. «Sant’Elena, Piccola isola nell’Atlantico», scrisse, dopo aver puntato il dito su un mappamondo, quando era ancora ragazzo, quindi levò la mano e se la pose sul fianco, lì dove davvero c’era il nemico, il cancro al piloro che avrebbe ucciso prima suo padre per lasciarne solo miseri resti da ingrasso, e molto dopo lui, per far da piedistallo al suo idolo.

«Vengo come Temistocle alla corte di Persia», scrisse nella lettera, dopo la fuga dall’Elba, con cui si consegnava agli inglesi. E gli inglesi, ebri di vanagloria, ci cascarono, convinti di accrescere il proprio mito e il proprio potere. Fecero da comparse alla recita del protagonista assoluto, ancelle in un thiasos intorno al Dio unico, Napoleone. Sant’Elena è stata la parte finale di una sceneggiatura scritta da giovane da Napoleone, l’antefatto a una soap che il mondo guarderà rapito fino alla fine dei propri giorni. Impossibile non capirlo ora, il capolavoro di un piccolo corso che pianificò da subito la propria immortalità: mentre il padre cacciava titoli nobiliari per elevarsi, lui programmava di farsi stirpe nobile per andare oltre e sopra la nobiltà, diventare un padre del popolo che è il titolo più alto a cui possa ambire chi non sia nato entro i confini dell’Olimpo. Qualcosa di più vicino a un Dio che solo attraverso il contrasto con un Dio si può realizzare: e allora, Prometeo, a cui gli Dei riconoscono il ruolo di contendente, che diventa più idolatrabile di loro stessi, offrendo il fianco aperto al dilanio del becco. Ettore, e non Achille, che assaggia la polvere da sotto le mura di Troia. Temistocle e non Leonida, perseguitato dalla Patria. L’eroe vero è colui che si consegna al nemico per mostrarne la spietatezza, per atterrarlo moralmente. Las Cases, Montholon, Marchand, Antonmarchi, Alì…Napoleon sceglie i compagni d’esilio sapendo cosa diranno dopo; manovra a Longwood le presenze imposte dalla Corona inglese.

Governa tutto in una partita a scacchi che logora gli altri, ferma gli orologi all’ora prescelta, ordina la propria autopsia e avverte e tutela il figlio: attento al fianco. Cesare senza Bruto sarebbe stato grande la metà. Il Cristo si erge su Giuda. Napoleone avrebbe avuto bisogno del tiranno: l’Inghilterra, lo Stato più potente del mondo, avrebbe dovuto scolpirne la statua. Così è stato, non sarebbe potuto essere altrimenti, Napoleone vedeva il futuro, «Sant’Elena, Piccola isola nell’Atlantico», uno scoglio ombroso che lui avrebbe trasformato in una Madonna Addolorata. La sua fortuna è stata il tempo, l’epoca della nascita, nella contemporaneità sarebbe stato al massimo un Putin, o costruito un impero su un social network, avrebbe fondato la NCO e avrebbero riaperto l’Asinara solo per lui; il Sistema che domina il mondo non glielo avrebbe dato lo spazio per costruirsi il mito, non gli si sarebbe mai fatto tiranno contro e immediatamente gli avrebbe scoperto e levato il cancro allo stomaco affidandone la cura a un’intera equipe del San Raffaele non a uno scalcagnato medicaccio irlandese col vizio del bere. Lo avrebbe trattato con cura cingendogli la vita di intellettuali di grido vigenti che ne avrebbero seppellito la memoria prima ancora della morte, come un Craxi qualunque.