Qualche maligno, s’immagina un buon numero, ci aveva provato a instillare il dubbio che ad aiutarla a farsi strada nel mondo del foto-giornalismo quando era giovane fosse stato il suo aspetto decisamente attraente. Ma Inge Feltrinelli aveva risposto piccata a quelle illazioni nel suo diario: “C’è chi sostiene che io abbia fatto carriera grazie al mio fascino e alla mia impertinenza. Personalmente conosco colleghe che sono molto più affascinanti e molto più impertinenti di me, e ciononostante hanno avuto meno successo”.
Anche se non le dispiaceva ricordare di essere stata, da ragazza, “piccola, magra e sexy”. Un “misto tra Audrey Hepburn e Leslie Caron”, come scrisse Carlo, il figlio avuto da Giangiacomo Feltrinelli nella sua biografia sul padre, intitolata Senior Service, come la marca di sigarette che il Giangiacomo fumava.
E sempre Carlo, tra l’altro, avrebbe voluto che sua madre scrivesse un memoir,“perché”, disse, “ci sono aspetti della vita di mamma che vorrei conoscere meglio”. Idea che lei rifiutò sempre fino alla sua morte avvenuta nel 2018 a 87 anni.
Chissà, allora, se almeno a parte delle sue curiosità è riuscito a rispondere il libro Ingemaus (ovvero “topolina”, il soprannome che le diedero i suoi genitori da bambina) di Marco Meier, pubblicato proprio da Feltrinelli lo scorso settembre, che si concentra sui primi 30 anni della sua vita.
L’infanzia da “meticcia di primo grado”
Scritto in ordine piuttosto rigorosamente cronologico, il volume parte della nascita di Inge Schönthal il 24 novembre 1930 nella città industriale di Essen (quella delle industrie della famiglia Krupp, grandi produttori di acciaio e armi), tre anni prima della salita al potere di Hitler. “Dettaglio” non da poco, considerato che suo padre era ebreo e, quindi, lei una “meticcia di primo grado”.
Ma la parte su cui vorrei soffermarmi è quella che riguarda la carriera da fotoreporter di Inge avvenuta prima dell’incontro con Gianmarco Feltrinelli perché, poi, lei lo avrebbe seguito a Milano, abbandonando per sempre la fotografia, se non per riprendere la machina da presa in occasioni conviviali, per occuparsi della casa editrice. Prima con lui e poi da sola. A partire già dal 1969, ovvero tre anni prima della morte di lui, nel momento in cui Giangiacomo decise di entrare in clandestinità.
Il talento per la fotografia
Una carriera quella della photorepoter cominciata per caso, grazie alla proposta della fotografa Rosemarie Pierer, che aveva studio ad Amburgo, di farle da assistente. E che svoltò un anno dopo circa, nel 1951. Inge si trovava al porto a fotografare il via vai delle navi mercantili e passeggeri nello scalo. Non un vero e proprio lavoro, per lo più un hobby legato al suo desidero di lasciare un giorno l’Europa per gli Stati Uniti, dove il padre era riuscito a emigrare per evitare di finire in un campo di concentramento.
“È una sera di inizio primavera e Inge è di nuovo al porto di Amburgo a caccia di qualche volto. Macchina fotografica, flash e treppiede a tracolla. A un certo punto, all’altezza di un incrocio, le si affianca una cabriolet Borgward Hansa 1800 bianca. Dal finestrino si sporge un tipo sulla quarantina, capelli impomatati, pettinati all’indietro e occhiali da sole nonostante la luce sia sparita da un pezzo. Le chiede: “È una fotografa?”. Domanda retorica, visto come è bardata Inge, ma forse non è la prima volta che l’uomo la vede in azione. Lui le dice che è alla ricerca di giovani fotografe per la sua nuova rivista femminile. Non le andrebbe di passare lunedì mattina in redazione portando anche qualche scatto? Poi le porge un biglietto da visita e si dilegua. Sul biglietto si legge Hans Huffzky, caporedattore di Constanze, la rivista espressamente progettata per un pubblico femminile e che sta spopolando in edicola”.
Inge a casa di Hemingway
Da lì in avanti, nell’arco di meno di una decina di anni, Inge girerà il mondo fotografando attrici, attori, artisti, scrittori. Tra le sue foto più note, quella a Ernest Hemingway, a Cuba.
Un’altra fortunata coincidenza perché a chiederle di andare a trovarlo (in quel periodo lei si trovava a New York, quindi il viaggio sarebbe stato più breve) era stato l’editore tedesco di Hemingway. Con la missione non tanto di fotografarlo quando di convincerlo a cambiare traduttore.
Inge non avrà successo da questo punto di vista, ma rimarrà a casa dello scrittore per tre settimane conquistandone man mano la fiducia tanto da riuscire a rubare immagini in pose non proprio formali, ma soprattutto portandosi a casa lo scatto di loro due insieme che reggono un enorme merlin per la spada che, ancora oggi, è una delle immagini più note di Hemingway.
La foto rubata di Greta Garbo e l’incontro con Picasso
Il secondo “scoop” della giovane Inge nell’arco di poche settimane. Il primo, mentre era ancora a New York, era stato forse ancora più clamoroso (almeno all’epoca). Per strada aveva riconosciuto e scattato di nascosto un ritratto di Greta Garbo, la diva che aveva deciso di ritirarsi dalle scene parecchi anni prima e di scomparire.
Mentre è del 1955 il reportage con intervista a Pablo Picasso, altra “mission impossible” che Inge riesce a realizzare grazie alla sua bravura nel costruirsi una rete di contatti. Racconta nel suo diario: “Nel corso di questi anni ho messo in piedi una specie di organizzazione molto simile a quelle dei trafficanti di droga e die baristi. Solo che è meno meno criminale della prima e meno alcolica della seconda. Ho amici, conoscenti e colleghi in quasi tutte le capitali e questi a loro volta hanno contatti con ogni genere di persona e organizzazione. Loro aiutano me e io aiuto loro”.
E, infatti, partendo da un’amica giornalista, tramite un piccolo mercante d’arte che le fa da ponte con l’allora più famoso mercante d’arte di Parigi, Daniel Kahnweiler, dopo mesi di lavorio (esasperando anche parecchi interlocutori) eccola a Cannes dove l’artista ha casa. Farsi aprire la porta e incontrarlo non fu facile ma lei era molto determinata. E ci riuscì anche questa volta.
L’incontro con Giangiacomo
Leggendo il libro che prosegue con la cronaca di altri reportage e ritratti importanti (da Billy Wilder a Audrey Hepburn) e quindi, l’incontro “fatale” con Giangiacomo Feltrinelli nella notte tra il 14 e il 15 luglio 1958, viene da chiedersi che cosa sarebbe stato della fotoreporter Inge se , invece, non fosse mai accaduto.
Avrebbe continuato come amava fare nel suo lavoro “a cogliere l’attimo”? Ma anche: le librerie Feltrinelli come le conosciamo ora (che erano il suo “pallino) sarebbero mai esistite?