Dentro i paesaggi di Emilio Salgari

Emilio Salgari. Il Grande sogno di Ferruccio Parazzoli (Edizioni Ares) è un libro appassionato. Non la “solita” biografia, niente di più lontano da un saggio di critica letteraria.

Parazzoli, che oltre ad aver pubblicato più di una cinquantina di titoli, è stato anche uno dei più importanti editor italiani, inizia raccontando il suo incontro con Salgari:

Imparai ad amarlo e ad attaccarmi a lui come a un guru quando, a undici anni, mi strappò dal buio e mi riportò alla vita. Avevo subito due operazioni in un mese ed ero nel letto di ospedale di una piccola città delle Marche a lottare con volontà incosciente, come può lottare un bambino, per uscire da quel buio, che qualcuno mi aiutasse a tornare al gusto meraviglioso ma lontano della vita, non quello di tutti i giorni, amorevole e apprensivo che leggevo nella presenza e nello sguardo di mia madre e di chi metteva dentro la testa a guardare il bambino che aveva sfiorato la morte. Avevo bisogno di rimettere in funzione la mia fervida fantasia, quella delle azioni eroiche che ci immaginavamo giocando a guardie e ladri nel cortile dei Salesiani, emuli delle cariche del Settimo Cavalleggeri del generale Custer, abili o sfortunati nello sfuggire agli agguati indiani”.

E prosegue, capitolo dopo capitolo, ripercorrendo i paesaggi e i luoghi salgariani: La prateria, Giungla & foreste, Deserti, e così via.

Perché un libro sui paesaggi salgariani?

Dalla casa editrice Ares, qualche tempo fa mi hanno chiesto se mi andava di scrivere un saggio su Salgari per la collana I profili… Sono piombato dalle nuvole. Tutti sanno che sono un salgariano sfegatato, non a caso, quando dirigevo gli Oscar Mondadori, avevo incaricato Vittorio Sarti (Che firma la prefazione del libro di Parazzoli, ndr), uno dei massimi esperti di Salgari, di curare alcuni cofanetti delle sue opere. Quello che non mi aspettavo è che mi venisse chiesto un saggio su di lui, anche perché ne sono già stati scritti parecchi.

Quindi, ha fatto una controproposta?

Ci ho riflettuto finché mi è venuta l’idea. Mi sono chiesto: Perché leggo Salgari? Perché continuo a farlo da quando ero un bambino tanto che ormai ho letto tutti i libri almeno tre o quattro volte? Per quale ragione sa darmi tranquillità, una sorta di felicità?

Perché?

Per due motivi. Il primo ha a che fare con la voce dell’autore. Quando leggi i suoi libri senti la voce di Salgari. È talmente inconfondibile e inimitabile che quando, dopo la sua morte, provarono a pubblicare nuovi romanzi d’avventure con gli stessi personaggi, a sua firma o del figlio Omar, non funzionarono. La ragione è che manca la sua voce appassionata, la voce di uno che sta sognando e che trascina i lettori nel suo immenso sogno.

Il secondo motivo?

Salgari mi trasporta nei Paesi e nei paesaggi . Non li descrive, li fa vivere. Quando leggi delle praterie, della giungla, dei ghiacci, dei deserti, non stai leggendo la descrizione di un luogo, ci stai vivendo dentro.

Ed ecco, allora, alcuni esempi di questi paesaggi tratti dal libro di Parazzoli. O come dice lui, alcuni degli “immensi diorami che ho estrapolato dai suoi libri”.

Prateria: Al nord si stendeva la grande pianura che rasentava le montagne, ricca di erbe rigogliose che avrebbero fatto la fortuna di migliaia di allevatori di bestiame, ma cosparsa per lo più da folte macchie di boschetti cedui, di aceri, di noci, di querce, di ontani, di piante del cotone che bagnavano le loro radici in numerosi torrenti; al sud, invece, si stendeva l’infinita prateria coperta d’immense graminacee, di girasoli, di artemisie, di gruppi di salvia, di menta, di asfodeli di semprevivi campestri e di buffalo-grass, l’erba preferita dai bisonti.

Sahara: I cammelli avevano affrettato il passo, ansiosi di calpestare quelle immense pianure sterili, che meglio si confacevano alle loro zampe. Il terreno scendeva sempre più rapido e le piante portavano già le prime tracce dell’arsura del deserto. Apparivano tisiche, colle foglie giallicce e abbassate, coi rami deboli e i tronchi esili.

Antille: Sotto i flutti, strani molluschi ondeggiavano in gran numero, giuocherellando fra quel- l’orgia di luce. Apparivano le grandi meduse; le pelagie simili a globi luminosi danzanti ai soffi della brezza notturna; le graziose melitee irradianti bagliori di lava ardente e colle loro strane appendici foggiate come croci di Malta; le acalefe scintillanti come se fossero incrostate di veri diamanti; le velelle graziose, sprigionanti, da una specie di crosta, dei lampi di luce azzurra d’una infinita dolcezza, e truppe di beroe dal corpo rotondo e irto di pungiglioni irradianti riflessi verdognoli.

Polo Sud: I raggi solari riflettendosi su quelle superfici bianche venate di un azzurro languido o di un verde pallido, sprigionavano qua e là intorno alle punte o negli angoli, delle tinte superbe. Alcuni di quegli iceberg (è il nome che si dà alle montagne di ghiaccio galleggianti) sembrano enormi diamanti incrostati di zaffiri o di smeraldi, altri sembrava che celassero al loro interno un vero fuoco poiché le loro estremità riflettevano delle tinte rosse, ed altri ancora, che non potevano ricevere la luce solare, parevano zaffiri ma sposati a una sostanza ignota e meravigliosa la quale rifletteva tutti i colori dell’arcobaleno.

Come fa Salgari a trasportare il lettore dentro le ambientazioni dei suoi libri?

Non è una questione di lingua. I critici, a seconda dei casi, la trovano buona, oppure no, meravigliosa, o il contrario. Come dicevo, è la sua voce. È come se lui fosse seduto in poltrona, in vestaglia e ciabatte e cominciasse a sognare. E, intanto, raccontasse il suo sogno. Non si pone il problema dello stile, perché quello che scrive è ciò che in quel momento sta avvenendo nella sua testa.

Ha letto e riletto i suoi libri fin da quando ero bambino. Ma ci sono stati momenti di stacco, allontanamenti e ritorni?

Ci sono stati periodi in cui pensavo a tutt’altro e lavoravo ai miei libri che, con Salgari, non c’entrano nulla. Ma, periodicamente, arrivano momenti, non per forza tragici come all’epoca del mio primo incontro con la sua opera, in cui ho bisogno di essere altrove e di essere forte. Ed è allora che, dalla libreria, prendo uno dei suoi libri e mi dò ossigeno. Capita soprattutto durante l’estate, quando ho meno impegni. Salgari per me è come un grande amico, al quale ricorrere ogni volta che ne sento il bisogno. La mia casa è ricoperta di libri ma io so che sullo scaffale dove tengo le sue opere c’è lui, pronto a darmi una carica di vita, di coraggio, di sogno.

Nel libro racconta che un amico le portò una scatolina contenente un pizzico di sabbia rossastra: quanto rimasto dell’isola di Mompracem.

La scatolina ce l’ho davvero. Ma la fiaba di Sandokan rimasto da solo sull’isola inghiottita poco alla volta dal mare e la spiegazione di come quella sabbia sia arrivata fino a me l’ho inventata io. E la ragione è che mi sono chiesto tante volte: Ma che fine avrà fatto? È diventato vecchio? Dove ha vissuto?

Eppure, a quanto scrive, Sandokan non è un personaggio che lei ama particolarmente.

In effetti, non mi è molto simpatico. Sempre in estrema tensione, digrignante… Talmente ingombrante da offuscare tutto quello che c’è intorno. Persino Tremal-Naik, il grande cacciatore di serpenti della Giungla nera, quando lo incontra, diventa immediatamente il suo “vice”. Preferisco il Corsaro Nero. Pensi soltanto al finale del suo libro, quando guarda Isabella, la donna che ama, allontanarsi su una scialuppa in mezzo ai flutti, condannata a una morte che lui stesso ha deciso per vendicarsi della famiglia di lei. I suoi compagni lo osservano: “Guarda lassù: il Corsaro Nero piange!”. Meraviglioso.

Molte pagine del suo libro mettono in risalto la straordinaria cultura botanica e geografica di Salgari. Da che cosa nasceva questa passione?

Credo dal desiderio di essere vero nella non verità. Si documentava tantissimo nelle biblioteche e aveva lunghi elenchi, luogo per luogo, di tutta la fauna, la flora.

Una precisione che in un certo senso ritroviamo anche nei romanzi scritti da lei.

Ma non l’ho ereditata da Salgari. Viene semplicemente dalla volontà di scrivere bene, di non essere generici: Si sedette sotto un albero… Ma che albero è?

Lei ha una lunga carriera nelle case editrici. Oggi che impressione le fa leggere le classifiche dei libri più venduti?

Le cose sono cambiate, eppure sono sempre uguali. L’editoria è come una nave che magari va più veloce o più lenta, ma non cambia rotta. Certo cambiano gli autori, i gusti – è da capire se in meglio o in peggio – ma, alla fine, le storie sono sempre le stesse. Diverso è solo il modo di raccontarle.

Adesso, però, capita che in classifica ci vadano i tiktoker.

Anche anni fa capitava che ci fossero personaggi che approdavano al libro dopo aver avuto successo in Tv. Quello che proprio non riesco a capire è perché ci è popolare in televisione, piuttosto che su altri media, sia interessato a una cosa piccola come un libro. Forse viene considerata come una sorta di medaglia sul petto. E se è così, mi fa piacere, vuol dire che il libro ha ancora un valore.

Dopo il suo saggio su Salgari, tornerà alla narrativa?

A marzo esce per il Saggiatore una raccolta di mie opere intitolata Elefanti bianchi. Un po’ come i Meridiani di Mondadori, con la differenza che si tratta solo di testi inediti, più di 700 pagine di romanzi, racconti, una pièce teatrale.

Come mai aveva così tanto materiale inedito?

Perché scrivo moltissimo.

In effetti, ha pubblicato una cinquantina di titoli in meno di cinquant’anni. Come fa?

Come si fa? Si scrive. E, poi, io sono vecchio, di tempo ne ho avuto. Anche se ho cominciato tardi, ho pubblicato il mio primo libro a quarant’anni. Queste opere non erano mai uscite perché gli editori pubblicano uno, al massimo due titoli all’anno dello stesso autore. E, invece, io produco di più.

“Gli scrittori sicuramente vanno all’inferno”. Lo ha detto lei.

Sì.

Per quale ragione?

Perché si trovano già in una sorta di inferno, dal momento che guardano in fondo a loro stessi, una cosa che fa male. Lo scrittore è “single” anche quando è in mezzo a centinaia di persone. Vive una condizione perenne di solitudine. Non partecipa mai del tutto alla normalità della vita e ha sempre le orecchie tese. Dagli scrittori bisogna guardarsi: c’è sempre il rischio di ritrovarsi in uno dei loro romanzi. Sono degli spioni, vedono e badano a tutto.