Dedicato a chi non ama gli happy ending

Francesco Migliaccio, dal 2018, oltre che continuare a lavorare in teatro, è diventato anche la voce di uno dei podcast di maggior successo in Italia.

Demoni urbani, “un’idea nata da Simone Spoladori e Giacomo Zito”, è una “collezione” di delitti (veri) che adesso sta per diventare uno spettacolo teatrale

Il titolo, questa volta, è Amori tossici, perché punta l’attenzione sulle relazioni che malate che finiscono nelle pagine della cronaca nera. Debutto il 18 maggio a teatro degli Arcimboldi a Milano e il 22 dello stesso mese al Brancaccio a Roma

“Un suggerimento, quello dello spettacolo”, dice Migliaccio “di Giuseppe Paternò Raddusa”, ovvero l’autore del libro, legato al podcast e pubblicato da Sperling&Kupfer.

Una raccolta anche in questo caso di delitti famosi come l’omicidio Reggiani e altri casi decisamente meno noti.

Che impressione le fa essere diventato la voce del crimine per migliaia di ascoltatori?

Mi dispiacerebbe se pensassero che ci goda a raccontare questo genere di storie! A volte, ironicamente, mi dicono: “Ah, ma allora sei morboso’”. In realtà, mi fa piacere suscitare una riflessione su quanto di inaspettatamente orribile può capitare nelle nostre città, nei nostri quartieri. Ognuno può essere un potenziale assassino. Spesso a portare a un crimine sono ragioni futili. Così come è vero che l’amore sia una delle principali cause scatenanti. L’amore romantico, l’amore mancato dei genitori verso i figli…

Aveva mai pensato prima di fare uno spettacolo teatrale partendo da un podcast?

Qualche tempo fa. Ma, poi, non se n’è fatto nulla.

Che podcast era?

Lady Killer. Che era andato bene, non tanto quanto Demoni urbani. Narrava storie di serial killer donne dal Cinquecento fino ai giorni nostri. Avrei voluto farne uno spettacolo completamente al femminile, dall’adattamento, alla regia, ai costumi. In cui l’unico elemento maschile sarei stato io.

Perché il genere crime ha così successo?

Per una forma di morbosità che, però, è sana. Anche la Divina commedia è noir. Ma il boom è arrivato durante la pandemia. Si viveva una situazione di tale disagio che ci si voleva fare ancora più male, credo. L’effetto, però, non è stato quello. Se il crime è fatto bene ti spinge a essere critico, a riflettere. I delitti sono uno specchio incredibile della società.

Qual è la sua formazione letteraria?

Da bambino non leggevo perché, come ho scoperto in seguito grazie alla diagnosi fatta a mio figlio, ero dislessico. Avevo difficoltà anche con Topolino. Destino ha voluto che facessi un mestiere che mi porta a leggere in pubblico.

Come fa da dislessico?

Ancora oggi sento di dover fare uno sforzo in più rispetto agli altri. La coscienza di sapere che hai un “problema” ti aiuta. Se conosci i “limiti” sai già dove puoi correggerti. Ma non vorrei parlare troppo di dislessia anche se ammetto che si tratta di un argomento interessante. Per esempio, c’è stato uno spettacolo molto bello – che è anche un libro – che ne parla: Cronache del bambino anatra di Sonia Antinori.

Quindi, tornando alla sua infanzia, da bambino non leggeva niente?

Da piccolo, le storie le ascoltavo. A casa avevamo una nutrita discoteca di 45 giri di racconti, favole, poesie. Lette da grandi attori come Arnoldo Foà. Erano gli anni del mangiadischi. Ricordo ancora adesso l’emozione che mi trasmetteva La piccola fiammiferaia.

Da attore teatrale, sii sente di consigliare qualche dramma o commedia di un autore vivente o meno conosciuto che varrebbe la pena di leggere come un romanzo?

Ci sono autori giovani molto bravi come Emanuele Aldrovandi che amo. Io stesso ho lavorato con un grande autore come Remo Binosi che purtroppo non c’è più. Il suo testo di maggior successo, L’attesa, è stato rappresentato in giro per il mondo. Se non fosse morto prematuramente probabilmente avrei continuato a collaborare con lui e non avrei mai interpretato Euripide, Goldoni, Shakespeare, Pirandello. Saremmo cresciuti insieme.

In Italia sono pochi i testi di autori teatrali contemporanei che riescono a ritagliarsi uno spazio tra i classici.

La drammaturgia contemporanea non è aiutata dalle produzioni, fa fatica. Ho lavorato per sette anni allo Stabile di Trieste e ho provato a proporre alcuni testi, per esempio uno di Francesca Sangalli. Era ispirato alle sedute della figlia di Mussolini, Edda Ciano con un noto psichiatra svizzero, allievo di Freud. Sedute di analisi che andarono avanti fino a quando lui s’innamorò di lei e “mortificò” la professione dell’analista. Una storia stupenda, ma è bastato il nome Edda Ciano, per far scattare l’indignazione. Come se stessi proponendo di fare uno spettacolo fascista.

Com’è arrivato al teatro?

Mio fratello è stato un po’ il mio Pigmalione. Fu lui a credere per primo nel mio talento e mi iscrisse senza dirmi nulla agli esami di ammissione per la scuola dei Filodrammatici. Venni preso da Ernesto Calindri ma, rinunciai per finire il liceo. In seguito, entrai alla scuola del Piccolo.

Fuori dalla cronaca, quali sono le storie d’amore che ama, magari meno noir?

Tristano e Isotta, Romeo e Giulietta… Lo so, alla fine muoiono tutti tragicamente. Ma il grande amore è così, Eros e Thanatos… In fondo una storia d’amore in cui va tutto bene a chi interessa?