A spasso nel tempo con Samuel Beckett

Se Maurice Halbwacks attraversa Londra in compagnia di Charles Dickens per spiegare la memoria collettiva, Samuel Beckett, nel romanzo d’esordio di Maylis Besserie, L’ultimo atto del signor Beckett (Voland, traduzione di Daniele Petruccioli, pp.168), ripensa alle passeggiate per Parigi con James Joyce per ricostruire la propria.

Perché lo scrittore irlandese nel 1989 abita il “terzo tempo”, sia in termini cronologici – per la sua vecchiaia – che spaziali: Tiers temps (da qui il titolo originale in francese) è la residenza per anziani dove vive, condannato alla prossima e certa immobilità.

Un presente che ricorda la prigione di sabbia della sua protagonista, Winnie, in Giorni felici – “Come ha fatto la vita, in modo tanto subdolo, a spingermi a diventare un suo burattino? Un mio burattino. Uno dei miei deliri. Uno dei miei incubi“, si interroga innervosendosi per una forchetta – e che non smette di tornare a un passato in perenne movimento.

È così che Maylis Besserie plasma il romanzo sulla vita di Beckett: un monologo in corsa contro il tempo per recuperare ciò che non è più. Se l’ultimo atto costringe il drammaturgo all’obbedienza di un corpo rallentato sotto le coperte, i ricordi accelerano e vivono in velocità nelle corse con la moglie Suzanne, le fughe dalla madre May, “le scappatelle” con le amanti e il trasporto con urgenza dei feriti in tempo di guerra.

Eppure Maylis Besserie, come nel teatro di Beckett, sa concertare bene i registri di tragico e comico, senza disprezzare l’ironia. Se la quotidianità pone l’autore di fronte allo strazio della perdita – “Non c’è più nessuno. Suzanne. Wilde, Joyce, Lucia. Non c’è più nessuno. Devo sempre ricordarmelo” – non manca di prestargli l’opportunità di deridersi per un fisico composto da “carni molli, ossa cave, avvizzimenti orrendi“, una macchina difettosa che non sa fare altro che educarlo alla rinuncia: “Lo dico pur non essendo più abituato ad alcunché di duro, negli ultimi tempi. Vabbè, glissiamo“.

Proprio come place Saint-Sulpice in Tentativo di esaurimento di un luogo parigino di Georges Perec (sempre Voland, 2011), è Samuel Beckett, con le sue disfunzioni e dolori, denti cariati e visite del fisioterapista, ad essere il centro d’indagine, tra annotazioni metodiche e schede d’infermieri: il corpo, “questo compagno di sventure” che non ha mai saputo tenere il passo della mente.

Chiuso nella sua stanza di Tiers temps, Beckett viaggia attraverso il tempo e ripercorre l’infanzia a Dublino, l’accoltellamento ai suoi danni nelle strade di Parigi, la distruzione di Saint-Lô durante la seconda guerra mondiale, senza dimenticare i più famosi allestimenti in teatro con il regista Roger Blin e il successo in Italia di Aspettando Godot con Vittorio Caprioli e Marcello Moretti.

Un continuo utilizzo del flashback che prepara il romanzo ad essere utilizzato come soggetto cinematografico per le prossime produzioni da biopic. E se per il recupero della memoria Marcel Proust si abbandona al profumo delle madeleine, Beckett pur avendo accolto il francese come lingua principale della sua opera, da buon irlandese, ritorna al passato sorseggiando whiskey. Ognuno ha il correlativo oggettivo che si merita.

Maylis Besserie costruisce con cura un tempo circolare, come un Uroboro che si morde la coda, per analizzare e collegare il quasi fedele dato biografico con le creazioni più famose di Samuel Beckett, un campo in cui l’invadente minaccia della sua infanzia, la presenza della madre, May –  infermiera che tartassa il figlio per il peso e il corpo esile – sembra condannata a ripetersi nella vecchiaia dall’osservazione ingombrante dei camici blu e grigi della casa di cura.

L’ultimo atto del signor Beckett è un romanzo che sfida il cortocircuito tra le dimensioni temporali, una sincope nel presente per recuperare coscienza del passato, perché come ogni finale che si rispetti, ciascuno è destinato a scontrarsi con i propri demoni, a tornare alla propria Ile Maquerelle, il luogo di scontro, della “ma querelle”: il mio duello.