“Acido” di Carlo Verdelli è un viaggio negli ultimi 40 anni della storia d’Italia

C’è chi i giornali li fa per noia, chi se li sceglie per professione. Carlo Verdelli li fa per passione. E la passione – a ciglio asciutto – lo ha condotto a pubblicare Acido. 40 anni di storia italiana e storia personale raccontati attraverso i suoi articoli e raggruppati in capitoli (“Il caso è chiuso”, “Lottatori”, “Cognomi”, “Anime nella corrente”, “Luoghi”).

La storia personale nel mondo dei giornali comincia quando, studente, Verdelli si presenta con un amico alla neonata sede di Repubblica a Milano. È il 1979 e Gian Piero Dell’Acqua, cui Acido è dedicato, gli affida il primo pezzo: 15 righe sulla Fiera delle calzature di Milano. Il 22enne aspirante giornalista passerà tutta notte a scrivere e limare quelle righe.

Una passione infedele

Il risultato gli vale l’ingresso in un mestiere cui fino ad allora non aveva pensato. Ma che da quel momento diventa – appunto – passione. Passione professionalmente parlando  “infedele”, come ammette: Epoca, in cui entra redattore ed esce vicedirettore; il Corriere, gruppo dove in una quindicina d’anni di andate e ritorni dirige il settimanale Sette, è vicedirettore del Corriere della Sera, guida la Gazzetta dello Sport e oggi è collaboratore eccellente. Ma c’è anche la direzione di Vanity Fair, che prende quando il neonato settimanale rischia di chiudere e che – con voce bassa e timone sicuro – trasforma in un successo editoriale. Più difficile la direzione editoriale per l’offerta informativa della Rai, i cui nodi di politica e sedimentazioni tirannosaure racconterà poi in un libro, Roma non perdona.

Partigiani si nasce (e non si smette di esserlo)

Ed entusiasmante, ma con un brutto finale, la direzione di Repubblica, conclusa quando la nuova proprietà Elkann gli notifica il licenziamento, esattamente il giorno in cui, secondo le minacce ricevute, doveva morire. A questo è dedicato l’ultimo articolo di Acido, che è anche l’unico pezzo del libro uscito solo sul web e non su carta, perché la redazione scioperò in suo onore. L’editoriale di addio si chiude (Verdelli sa che le ultime righe, assieme alle prime 5, sono le più lette) con una formula rimasta nel cuore: “Partigiani si nasce, e non si smette di esserlo“.

Essere partigiani significa (anche) combattere i luoghi comuni, le visioni predefinite. Lo testimoniano tanti pezzi del libro. Dalla tragica storia di Enzo Tortora, per la quale chi ne fece un mostro non pagò mai, ai dubbi posti sulla vicenda di Rosa e Olindo condannati per gli omicidi di Erba. Come un giornale che – è convinto Verdelli – si apre non necessariamente dalla prima pagina e poi si sfoglia seguendo l’ispirazione (o chiudendolo e basta), Acido si può leggere random, seguendo ognuno il proprio filo di curiosità e ricordi.

Un’idea di giornalismo

A dare una bussola è il titolo. L’autore lo ha scelto pensando ad Alexander e Martina (quarto episodio del libro), la “coppia dell’acido al 37 per cento”: due ragazzi della Milano bene che, nel 2014, sfregiano gli ex di lei. “Una storia triste e tragica insieme: il tipo di racconti che metto insieme ha un po’ quel filo conduttore, non sono racconti di un giornalismo accomodante o rassicurante, ma che sa essere anche brutale nella scelta dei temi e nell’approccio“, spiega l’autore.

Brutale” è aggettivo che ricorre. Nel sottotitolo del libro: “Cronache italiane anche brutali”. Nelle parole di Iacopo Melio, cui è dedicato un altro pezzo. Melio, in carrozzina dalla nascita, all’indomani della vittoria elettorale in Toscana l’anno scorso viene intervistato da Verdelli, che gli chiede peso e altezza per riuscire a “capire lo sforzo che ha dovuto sostenere per diventare un politico“. Melio gli risponde: “Non ho mai trovato nessuno così brutale come lei“. E Verdelli: “Brutale, ma preciso“.

La passione per il mestiere significa nessuna approssimazione: ci sono numeri, indagini e dettagli, che sono ciò che fa poi la differenza. A partire dal pezzo più antico: un’intervista con “pensiero laterale” a Lucio Dalla del 1988 fatta per Duepiù, rivista dove “purtroppo non mi occupavo del core business del giornale, l’educazione sessuale degli adolescenti“, commenta con il suo classico humour sussurrato. Fra i capitoli, c’è anche “qualche astuzia“: Salvini raccontato prima di diventare leader della Lega, il ritratto di Scola fatto prima del conclave dove sarà “battuto” da Bergoglio… Ogni storia però non rimane chiusa nel passato, ma è dotata di un Segue, che ne illustra l’esito.

Perché non ho fatto Tv

Tra i protagonisti raccontati, ci sono anche Enzo Biagi e Sergio Zavoli. Nei tanti cambi professionali, a Verdelli, però, è mancata la televisione da giornalista. Perché? “In tv faccio pena, sono in imbarazzo; fossi stato un po’ più bravo, l’avrei fatto“.

Anche senza tv, la produzione di oltre quarant’anni conta una infinità di articoli. Dove li ha ritrovati, a casa o in archivio? “Le cose che mi piacciono le conservo, sia gli articoli sia i giornali: ho tutta la collezione di Vanity Fair che ogni tanto mi piace guardare, molti numeri della Gazzetta, di Repubblica, del Corriere. Quando sono partito con questa idea di fare un libro di storie, che non è un libro per giornalisti, ho dedicato tempo a scegliere quelle che mi restituiscono ancora emozioni, nella speranza che le diano anche agli altri“. Perché il giornalismo che ama “trasmette informazioni il più possibile curate ed emozioni il meno possibile invadenti, per lasciare che il lettore di volta in volta si crei la propria, di emozione“.

Dove ci porterà l’era digitale

Ma dopo la vita professionale e personale raccontata in Acido, come sarà il futuro del giornalismo? Carlo ha una figlia – Nina – che fa il suo stesso mestiere. Guardando a lei e ai coetanei, dice: “Non ho nostalgie per come eravamo o prevenzioni per come saremo. La speranza è che nel salto di specie che abbiamo fatto, nell’era digitale, la debolezza dei giornali non si traduca in debolezza dei giornalisti“. Non è importante dove scrivi, su carta o su web, in video o in radio: fondamentale è farlo bene, e con passione.

E la passione dove conduce? Al largo. In ogni riunione o chiacchierata, a Verdelli non manca una metafora marinara (promette di chiederne la ragione al suo analista, visto che lui con il mare non ha rapporti particolari). Quindi: “Il giornalismo è come fare una regata. È un lavoro di squadra, se ognuno dà il meglio c’è la possibilità di vincere“.